Caso Dugin

Oggi 11 giugno si sarebbe dovuto tenere presso il Rettorato dell’Università degli Studi di Messina un convegno che avrebbe avuto come protagonista il filosofo russo Aleksandr Dugin. Ma dopo la protesta della Fiap, la Federazione Italiana Associazioni Partigiane, l’amministrazione universitaria ha preferito non concedere alcun locale per l’evento.

Ne parliamo con Camilla Scarpa, editore italiano delle opere di Dugin, nonché responsabile della traduzione della celebre opera duginiana “La quarta teoria politica” (Nova Europa Edizioni, Milano, 2017).

– Iniziamo con una domanda semplice: chi è Aleksandr Dugin?

Aleksandr Dugin è un filosofo e politologo russo, considerato – più a torto che a ragione – il “Rasputin” di Vladimir Putin. L’epiteto di “ideologo” del Presidente Russo è però impreciso: Dugin preferisce definirsi “ideologo della Russia”, e nel suo saggio “Putin contro Putin” (AGA, Cusano Milanino, 2018) tratteggia luci e ombre intrinseche all’operato di Putin, figura chiave del periodo di transizione che la Russia sta vivendo, da trent’anni a questa parte.

– Su alcune testate messinesi il filosofo russo è stato definito filo-nazista. C’è un fondo di verità in questa definizione?

Anche riconoscendo alla definizione l’inevitabile margine di tolleranza proprio delle generalizzazioni mediatiche, no. Nella sua opera più sistematica, “La quarta teoria politica”, Dugin analizza le tre teorie che hanno animato la storia politica del Novecento: liberalismo, comunismo e fascismo/nazional-socialismo, e ne propone una quarta in grado di superarle, dialetticamente, tutte. In un’ottica descrittiva, quindi, non si può ritenere Dugin più “fascista” di un Renzo De Felice. In un’ottica prescrittiva, si scambia per nazismo quello che, alla lontana, può rassomigliare piuttosto a un etno-nazionalismo, nel quale però, a ben vedere, la razza non è affatto l’elemento cardine, e l’accento è piuttosto posto sull’elemento imperiale – e non nazionale/nazionalista! – che caratterizza la Russia.

– Non è raro, però, leggere di intellettuali italiani tendenzialmente di sinistra che mettono in guardia dal pensiero di Dugin.

Veniamo così alla ricezione delle idee duginiane in Italia. È innegabile che, dagli anni ’90 in poi, il nazionalbolscevismo e l’eurasiatismo abbiano attecchito e dato vita a contaminazioni più interessanti negli ambienti a vario titolo “di destra” (si pensi alla rivista “Orion”). Ciò è successo, a parer mio, non per una natura intrinsecamente conservatrice o reazionaria del tradizionalismo di Dugin (che anzi, potrebbe avere altrettanto senso in un’ottica rivoluzionaria internazionalista se non addirittura “terzomondista”) bensì per una ben radicata titubanza degli ambienti “di sinistra” nei confronti di determinate discipline e autori, pur degni di attenzione: uno fra tutti Carl Schmitt.

– La cancellazione del convegno previsto all’Università di Messina avviene dopo qualche mese dallo stop improvviso e immotivato alla vendita delle opere di Dugin sul portale online Amazon.

La vicenda della rimozione delle opere di Dugin dalla piattaforma di Amazon è esemplificativa della strategia con cui operano i cosiddetti “poteri forti” nella postmodernità: ammantando di tecnicismo burocratico, indecifrabile e quindi indiscutibile, le proprie deliberazioni squisitamente “politiche” – che, se fossero dichiaratamente tali, sarebbero quantomeno criticabili.

– Ma perché questo clima censorio nei confronti di Dugin?

È presto detto: la sua Quarta Teoria Politica è un manifesto per una resistenza allo status quo, una sorta di “bignami” del dissenso nell’epoca della globalizzazione e del postliberalismo. Peraltro, Dugin non è l’unico autore istruttivo in tal senso: altri subiranno il suo stesso destino, se non cederanno a pressioni economiche che per ora si manifestano in modo più sottile e subdolo, ma altrettanto inquietante.

– In conclusione, cos’è lo spesso evocato e tanto temuto “eurasiatismo”?

Prima di tutto, è il caso di precisare che Dugin è un esponente del neo-eurasiatismo piuttosto che dell’eurasiatismo classico – quello di Leontiev, Trubeckoj, Gumilev, per intenderci. Mentre quest’ultimo si limitava all’ambito storico-filosofico e antropologico, il “Movimento Internazionale Eurasiatista” aggiunge al mix la geopolitica, declinata in senso multipolare. L’eurasiatismo, quindi, non è imperniato su un imperialismo russo uguale e contrario a quello statunitense che si prefigge di combattere, ma piuttosto su un pluralismo filosofico e culturale, di cui la Russia rappresenta un polo. Ha senso – ed è auspicabile – che l’eurasiatismo sia “tanto temuto” solo dai difensori dello status quounipolare inaugurato dalla fine della “guerra fredda”, peraltro ormai oggettivamente in declino.