Henry Corbin: l'Eurasia come concetto spirituale

Henry Corbin: l'Eurasia come concetto spirituale

Dall'Irlanda al Giappone

“Sottolineare e ribadire le connessioni, le linee di forza che sottendono la trama del concetto spirituale di Eurasia, dall’Irlanda al Giappone” (1): a questa preoccupazione di P. Masson Oursel, che ispira un programma abbozzato nel 1923 con la Philosophie comparée e proseguito nel 1948 con La Philosophie en Orient (2), Henry Corbin (1903-1978) attribuisce un “particolare valore” (3). Trascendendo il livello delle determinazioni geografiche e storiche, il concetto di Eurasia viene a costituire la "metafora dell'unità spirituale e culturale da ricomporre al termine dell'età cristiana ed in vista dell'oltrepassamento degli esiti di questa" (4). Tali sono, quanto meno, le conclusioni di uno studioso che nell'opera corbiniana ha evidenziato le indicazioni idonee a fondare "quella grande operazione di ermeneutica spirituale comparata, ch'è la Cerca d'una filosofia - anzi: d'una sapienza - eurasiatica" (5). In altri termini, la stessa categoria geofisica di "Eurasia" altro non sarebbe che la proiezione di una realtà geosofica connessa all'Unità originaria, poiché "l'Eurasia è, nella percezione interiore, nel paesaggio dell'anima o di Xvarnah ("Luce di Gloria", nel lessico mazdaico), la Cognitio Angelorum, l'operazione autologica dell'Anthropos Téleios; o anche, infine, l'unità fra Lumen Naturae e Lumen Gloriae. Di qui la possibilità d'accostare l'Eurasia interiore alla conoscenza immaginale della Terra come Angelo" (6).

È lo stesso Henry Corbin a rievocare l'esperienza visionaria del filosofo tedesco Gustav Theodor Fechner, che identificò con la figura di un Angelo il volto della Terra circonfuso di luce gloriosa, e a citare il passo concordante di un rituale avestico: "Noi celebriamo questa liturgia in onore della Terra che è un Angelo" (7). Infatti secondo la dottrina mazdaica la Terra viene percepita nella "persona" del suo Angelo, allorché l'anima, proiettando l'immagine di se stessa, instaura una Imago Terrae che la riflette. L'angelologia mazdaica traduce il mistero di questa proiezione nei termini seguenti: Spenta Armaiti, l'Arcangelo femminile dell'esistenza terrestre, è la madre di Daênâ, l'Angelo femminile che sostanzia l'Anima caelestis, il Corpo di Resurrezione. In tal modo, "la formulazione medesima della categoria geofisica di 'Eurasia' appartiene al processo della Palingenesi, ch'è la Resurrezione alla Luce della Transfigurazione" (8).

La geosofia mazdaica, intimamente connessa all'essenziale carattere sofianico di Spenta Armaiti, si riferisce in primo luogo ad una Terra celeste; applicata allo spazio terrestre, essa ci presenta un kyklos, un orbis, analogo a quello che Omero ha simboleggiato con lo Scudo di Achille e Virgilio con quello di Enea (9), ovvero, per restare in ambito iranico, a quell'attributo dell'Uomo Universale (insân-e kâmil) che è la Coppa di Jamshid. In tale raffigurazione, la Terra è circondata dall'Oceano cosmico ed è suddivisa in sette zone (keshvar) (10); al centro della zona centrale, chiamata Xvaniratha ("ruota luminosa"), "si trova Airyanem Vaejah (pahlavi Erân-Vêj), la culla o il germe degli Ariani (= Iranici). È là che furono creati i Kayanidi, gli eroi leggendari; è là che fu fondata la religione mazdea, da dove si diffuse negli altri keshvar; è là che nascerà l'ultimo dei Saoshyant che ridurrà all'impotenza Ahriman e porterà a compimento la resurrezione e l'esistenza ventura" (11). Situato al centro della superficie terrestre, l'Iran ci appare dunque come "cerniera, non solo geografica, ma anche e soprattutto spirituale" (12), dell'ecumene eurasiatica.

La raffigurazione mazdaica, successivamente rielaborata, entrò a far parte del retaggio culturale che l'Iran trasmise all'Islam. Nel Kitâb al-Tafhîm di Abû Rayhân Mohammad ibn Ahmad Bîrûnî (362/973 - 421/1030) (13) si trova uno schema in cui il cerchio centrale, l'Iran, è circondato da altri sei cerchi, tangenti fra loro, che corrispondono ad altrettante regioni: India, Arabia ed Abissinia, Siria ed Egitto, area slavo-bizantina, Turkestan, Cina e Tibet.

Oriente e Occidente

Secondo la prospettiva islamica, al centro del mondo terrestre si trova la Ka‘ba, il più antico fra i templi di Dio, sorto inizialmente all'epoca di Adamo, poi edificato da Abramo nella sua forma attuale. Sulla pianta e sulla struttura di questo santuario primordiale e centrale meditò Qâzî Sa‘îd Qommî (1042/1633 - 1103/1691-'92) nel primo capitolo del Kitâb asrâr al-Hajj ("Libro dei sensi esoterici del Pellegrinaggio"), che costituisce l'oggetto di un approfondito studio di Henry Corbin (14). "Il principio - spiega quest'ultimo - è sempre lo stesso: le forme di luce (sowar nûrîya), le figure superiori, sono 'impresse' nelle realtà di quaggiù, che le riflettono come specchi (notiamo che, da un punto di vista geometrico, queste considerazioni sarebbero valide anche per la forma del tempio greco)" (15). Ora, sul piano superiore delle realtà archetipiche vi sono quattro "limiti metafisici" (16), due dei quali (l'Intelligenza universale e l'Anima universale) si trovano ad oriente della Realtà ideale, mentre gli altri due (Natura universale e Materia universale) si trovano ad occidente. In virtù della legge delle corrispondenze, gli angoli della Ka‘ba terrena si trovano disposti secondo un ordine analogo: "due di questi angoli sono a oriente, cioè quello in cui è incastonata la Pietra Nera (l'angolo iracheno) e quello yemenita; gli altri due sono a occidente e sono l'angolo occidentale e il siriano" (17). Sono questi i due orienti (mashriqayni) e i due occidenti (maghribayni) ai quali fa allusione il versetto 17 della Sura del Misericordioso, puntualmente citata da Corbin.

Il versetto coranico ne richiama un altro, quello che inizia con le parole: "A Dio appartengono l'Oriente e l'Occidente" (Sura della Vacca, 115). "Gottes ist der Orient! - Gottes ist der Okzident!": così ce lo restituisce Wolfgang Goethe, del quale Corbin ci mostra in più di un'occasione la convergenza con la sapienza islamica. Ma la coppia "Oriente-Occidente" ritorna nel Versetto della Luce, parzialmente riportato in epigrafe al primo capitolo dello studio su L'uomo di luce del sufismo iraniano: "... una lampada che brucia con l'olio d'un ulivo che non è né dell'Oriente né dell'Occidente, che s'infiamma senza che il fuoco neppure la tocchi... Ed è luce su luce".

Tra l'oriente e l'occidente, come tra il settentrione e il mezzogiorno, corrono linee ideali da cui dipende non solo l'orientamento geografico, ma anche le categorie antropologiche. Nella prospettiva del simbolismo spirituale, queste direzioni orizzontali assumono un senso in base al modo in cui l'essere umano vive la dimensione verticale della sua presenza nello spazio e nel tempo; ed è un orientamento di questo genere a costituire uno dei temi principali del sufismo iraniano. "Si tratta (...) della Ricerca di un Oriente di cui ci viene detto, o di cui si comprende all'istante, che non è situato né situabile sulle nostre carte geografiche. Questo Oriente non è compreso in alcuno dei sette climi (i keshvar); è infatti l'ottavo clima. E la direzione in cui questo 'ottavo clima' va cercato non è quella orizzontale ma quella verticale. Questo Oriente mistico sovrasensibile, luogo dell'Origine e del Ritorno, oggetto della Ricerca eterna, è al polo celeste; esso è il Polo, un estremo nord così estremo da essere la soglia della dimensione 'al di là' " (18). La geografia sacra dell'Iran fa corrispondere questo Polo celeste alla montagna cosmica di Qâf, là dove inizia quel mondo di Hûrqalyâ che è illuminato dal sole di mezzanotte. È il paese degli Iperborei (19), i quali "simboleggiano l'uomo la cui anima ha raggiunto una completezza e un'armonia tali da essere priva di negatività e di ombra, anima che non è né dell'oriente né dell'occidente" (20).

Ishrâq, nome verbale che in arabo designa l'irraggiare del sole dal punto in cui esso sorge, è un termine peculiare della sapienza islamica dell'Iran. Ishrâqîyûn o Mashriqîyûn ("Orientali") sono i sapienti della Persia antica, chiamati così "non certo soltanto per la loro localizzazione geografica, ma perché la loro conoscenza era orientale, nel senso che si fondava sulla rivelazione interiore (kashf) e sulla visione mistica (moshâhadat)" (21). Tuttavia il significato dell'Oriente come Oriente illuminativo, direzione che conduce al Polo spirituale, non è un concetto che caratterizzi in maniera esclusiva il pensiero tradizionale dell'Iran. "Questo orientamento era già dato ai misti dell'orfismo. Lo troviamo nel poema di Parmenide dove, guidato dalle figlie del Sole, il poeta intraprende un viaggio verso l'Oriente. Il senso delle due direzioni, destra e sinistra, Oriente e Occidente del Cosmo, è fondamentale nella gnosi valentiniana. (...) Ibn 'Arabî (1240) innalza a simbolo la propria partenza per l'Oriente; del viaggio che dall'Andalusia lo porta sino alla Mecca e a Gerusalemme egli fa il proprio Isrâ’, omologandolo a un'ekstasis che ripete l'ascensione del Profeta di Cielo in Cielo, sino al 'Loto del limite'. Qui l'Oriente geografico e 'letterale' diviene simbolo dell'Oriente 'reale', ovvero del polo celeste" (22).

Umbilicus Terrae

Nella geografia sacra risultante dalle esplorazioni spirituali di Henry Corbin, il termine occidentale dell'Eurasia è rappresentato dalle isole britanniche. Qui i fedeli della chiesa celtica primitiva venivano designati in irlandese come céle Dé: denominazione che, resa con Amici Dei, "si ritrova nella gnosi islamica (Awliyâ’ Allâh) e nella mistica renana (Gottesfreunde)" (23). Questi Coli Dei, "stabilitisi in Inghilterra a York, in Scozia a Iona, nel Galles, in Irlanda, (...) avevano come simbolo preferito la colomba, simbolo femminile dello Spirito Santo. In questa linea non ci si stupirà di scoprire che la loro tradizione è mescolata al druidismo, e che la loro letteratura abbraccia anche i poemi di Taliesin. Così, anche l'epopea della Tavola Rotonda e la ricerca del santo Graal sono state riferite ai riti dei Coli Dei" (24). A questa stessa fratellanza spirituale viene ricondotta l'esistenza del santuario di Kilwinning, sulla montagna di Heredom, da dove si irradiò quell'Ordine regale al quale il re Robert I Bruce avrebbe affiliato i Templari, realizzando la convergenza di celtismo e templarismo.

All'altra estremità dell'Eurasia si estende la Cina, "l'estremo limite del mondo umano, del mondo cioè che può essere esplorato dall'uomo in normali condizioni di coscienza" (25). Influssi taoisti si sarebbero d'altronde esercitati sulla ierocosmologia del sufismo centroasiatico e su alcune tecniche di recitazione del dhikr adottate dalla scuola di Najm Kobrâ (26). Fra i templi che sorgono ai confini della Cina ce n'è uno, descritto nel X secolo dallo storico arabo Mas‘ûdî (27), che nella sua struttura obbedisce al paradigma architettonico dei templi sabei; lo stesso Mas‘ûdî aveva visto quello di Harrân (l'antica Carrhae), sulla soglia del quale aveva potuto leggere l'epigrafe di sapore platonico "Chi conosce se stesso è deificato" (Man 'arafa nafsahu ta'allaha). "Iscrizione di sapore platonico" (28), certo, in cui "il termine tecnico arabo è l'equivalente della theôsis dei mistici bizantini" (29); ma anche esplicazione del precetto delfico, che sarà definitivamente convalidato dal hadîth qudsî "Chi conosce se stesso conosce il suo Signore" (Man 'arafa nafsahu 'arafa rabbahu). D'altronde gli ermetisti sabei di Harrân apporteranno in dote all'Islam la loro eredità, derivante da un'antica sapienza siriaca o sirobabilonese reinterpretata alla luce del neoplatonismo.

Equidistante dalla Scozia e dalla Cina è Al-Quds, "la città santa" per antonomasia. Nel luogo da cui ebbe inizio l'Assunzione del Messo di Dio - secondo Corbin un vero e proprio Umbilicus Terrae - "assume una funzione omologa a quella della Ka‘ba" (30) la Cupola della Roccia (Qubbat al-Sakhrat). Tale edificio, correntemente chiamato Moschea di Omar, "forma un ottagono regolare sormontato da una cupola: esso fu il prototipo delle chiese templari costruite in Europa, mentre la cupola era il simbolo dell'Ordine e figurava sul sigillo del Grande Maestro" (31). Questo intreccio di linee spirituali diverse fa di Gerusalemme il simbolico condominio microcosmico in cui si rispecchia la molteplicità tradizionale del macrocosmo eurasiatico, quella molteplicità di forme che Henry Corbin ci presenta nella sua essenziale unità.

La contrapposizione radicale fra Gerusalemme ed Atene, identificate come poli emblematici rispettivamente del monoteismo e del politeismo, è il punto in cui convergono tra loro gli zeloti delle presunte "radici giudaico-cristiane" dell'Europa e certi fautori di un malinteso "paganesimo" greco. Sostenere una posizione di questo genere, che vorrebbe ridurre ad uno schemino ideologico una relazione ben più profonda, complessa e articolata di quanto non immaginino "giudeo-cristiani" e "neopagani", significa ignorare come la più rigorosa dottrina metafisica dell'Unità (il Tawhîd integrale della metafisica islamica) non escluda affatto la molteplicità connessa alla gerarchia dei Nomi divini. Tra coloro che lo hanno compreso perfettamente vi è proprio Henry Corbin, il quale, stabilendo un ideale "parallelismo tra Ibn ‘Arabî da una parte (...) e Proclo dall'altra" (32) e richiamandosi al commento dello Scolarca di Atene al Parmenide platonico, rievoca l'incontro dei fisici della Scuola Ionica coi metafisici della Scuola Italica, convenuti gli uni e gli altri nella città-simbolo di Atene per partecipare alle Panatenaiche. "Celebrare queste feste - egli scrive - significa trovare nella Scuola Attica di Socrate e di Platone la mediazione capace di elevare i due estremi ad un livello superiore" (33).

 

1. Henry Corbin, L’Iran e la filosofia, Guida, Napoli 1992, p. 62.

2. P. Masson-Oursel, La Philosophie en Orient, in Histoire de la philosophie, a cura di É. Bréhier, Paris 1948, 1° fasc. suppl.

3. Henry Corbin, L’Iran e la filosofia, cit., ibidem.

4. Glauco Giuliano, Nitartha. Saggi per un pensiero eurasiatico, La Finestra, Lavis 2004, p. 14.

5. Glauco Giuliano, Nitartha, cit., p. 221.

6. Glauco Giuliano, Nitartha, cit., p. 16.

7. Sîrôza, ventesimo giorno, cit. in: Henry Corbin, Corpo spirituale e Terra celeste. Dall'Iran mazdeo all'Iran sciita, Adelphi, Milano 1986, p. 35.

8. Glauco Giuliano, Nitartha, cit., p. 16, n. 25.

9. Iliade, XVIII, 478-608; Eneide, VIII, 626-728.

10. La divisione settenaria dello spazio terrestre ritorna in altre culture tradizionali: cfr. Claudio Mutti, Gentes. Popoli, territori, miti, Effepi, Genova 2010, pp. 19-20.

11. Henry Corbin, Corpo spirituale e Terra celeste, cit., pp. 47-48.

12. Glauco Giuliano, Nitartha, cit., p. 22.

13. Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, Adelphi, Milano 1989, pp. 153-155.

14. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, Boringhieri, Torino 1983, pp. 79-138. Su Qâzî Sa'îd Qommî, cfr. Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, cit., pp. 343-344.

15. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., pp. 88-89.

16. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., p. 89.

17. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., p. 90.

18. Henry Corbin, L'uomo di luce nel sufismo iraniano, Edizioni Mediterranee, Roma 1988, p. 8.

19. Sull'Iperborea e su analoghe rappresentazioni tradizionali della settentrionale "terra di luce", cfr. Claudio Mutti, op. cit., pp. 15-23.

20. Henry Corbin, L'uomo di luce nel sufismo iraniano, cit., p. 48.

21. Henry Corbin, Storia della filosofia islamica, cit., p. 211.

22. Henry Corbin, L'uomo di luce nel sufismo iraniano, cit., pp. 66-67.

23. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., p. 282 n. 217.

24. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., pp. 231-232.

25. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., p. 11.

26. Henry Corbin, L'uomo di luce nel sufismo iraniano, cit., pp. 64 e 87.

27. Mas'ûdî, Les prairies d'or, ed. e trad. Barbier de Maynard, Paris 1914, vol. IV, p. 52.

28. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., p. 12.

29. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., p. 52, n. 7.

30. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., p. 240.

31. Henry Corbin, L'immagine del Tempio, cit., p. 224.

32. Henry Corbin, Il paradosso del monoteismo, Marietti, Casale Monferrato 1986, p. 8.

33. Henry Corbin, Il paradosso del monoteismo, cit., p. 13.