PRINCÌPI PER COMPRENDERE LA CIVILTÀ CINESE

La Cina è considerata una civiltà indipendente e unica da parte praticamente di tutti, pertanto non occorre spendere parole per dimostrare un fatto ovvio. Piuttosto, dovremo spenderci nel tentativo di rivelare la struttura del Logos di questa civiltà e di determinarne per quanto possibile la mappa geofisica sia all’interno dei confini della Cina che al di fuori di essa, nonché nel dialogo con le civiltà vicine.

La cultura cinese ha esercitato un’nfluenza enorme e a volte decisiva sui popoli vicini, in primo luogo sulla Corea, sul Vietnam e sul Giappone, che in certe epoche si ritenevano tutti parte della Grande Cina – non nel senso di unità politica, ma come parti indelebili e organiche della civiltà cinese e dell’orizzonte cinese. Questo orizzonte ha avuto un impatto sostanziale anche sui popoli del Tibet così come sui nomadi del Turan confinante con la Cina del Nord. Inoltre, possiamo riscontrare determinate influenze dell’elemento cinese tra i popoli dell’Indocina e del Sud-Est asiatico, così come in Cambogia, Laos, Myanmar, Thailandia, Malesia, e, anche se in misura minore, Indonesia e Filippine.

D’altra parte, la Cina stessa ha in alcuni casi ritradotto tendenze e influenze provenienti da altre civiltà. La Cina è stata fortemente influenzata dai popoli del Turan, che spesso sono venuti a formare il nucleo delle élite dominanti (come tra gli Xianbei, i Mongoli, i Manciuriani, ecc.). [1] Nei periodi più antichi della storia cinese, il fattore indoeuropeo è stato significativo, dal momento che gli Indoeuropei sono rimasti la forza principale della steppa eurasiatica fino ai primi secoli dopo Cristo. [2] È dalle popolazioni indoeuropee che gli antichi cinesi hanno mutuato il cavallo, il carro, e un certo numero di forme culturali, su tutte l’arte della guerra, che gli indoeuropei del Turan avevano sviluppato in maniera prioritaria.

Anche il buddismo, che si è diffuso in Cina dal I al III secolo d.C. ed è venuto a costituire una importante componente della tradizione cinese, nella semantica e nelle origini era indoeuropeo. Il buddismo si diffuse in Cina direttamente dall’India [3], così come dall’Asia centrale e dal bacino del Tarim, che erano abitati da popoli indoeuropei. Un certo ruolo in questo processo è stato svolto dal Tibet che, da un lato, ha conosciuto l’influenza cinese e, dall’altro, ha rappresentato una civiltà in cui il vettore indoeuropeo è stato decisivo.[4].

Nello studio della Cina, possiamo applicare le nostre metodologie di analisi civilizzazionale che ci hanno aiutato a raggiungere il livello di generalizzazione ultima che troviamo nella topografia della noologia. [5] Se riusciremo a cogliere gli aspetti preminenti della struttura noologica della civiltà cinese, se saremo in grado di rilevare le principali caratteristiche (esistenziali) del Dasein cinese, e se riusciremo a individuare quale Logos (o quali Logoi) dei tre principali è dominante in Cina, allora considereremo il nostro compito assolto.

Il significato delle opere di Marcel Granet: «Noi, cinesi»

Nel dipanare la complessità di una cultura cinese profondamente originale, unica e ineguagliabile, ci faremo guidare dalle opere di un autore che, dal nostro punto di vista, pur essendo egli stesso europeo, ha scavato a fondo nelle strutture di questa cultura e ne ha fornito la descrizione più fedele. Stiamo parlando del sociologo francese Marcel Granet (1884-1940), che ha dedicato la sua intera vita accademica allo studio della Cina. Granet ha elaborato la sua metodologia secondo i seguenti principi:

1. Gli autori dell’Europa occidentale che studiano la Cina hanno tutti, senza eccezione, sviluppato le loro interpretazioni da posizioni e paradigmi eurocentrici moderni, reinterpretando in chiave propria le relazioni sociali, le idee politiche, i concetti filosofici, le pratiche religiose e così via, costruendo così un istoriale cinese artificiale visto dalla posizione di un osservatore distaccato che, in ultima istanza, rivendica universalismo e verità, o da posizioni di stampo coloniale diretto (anche se inconscio). Così, qualsiasi interpretazione europea rimarrà inevitabilmente all’interno del quadro paradigmatico della Cina intesa come «società dei barbari», categoria in cui tutte le civiltà sviluppate («non-selvagge») ma qualitativamente diverse nelle loro strutture dalle società europee della modernità, cadono automaticamente. Così, l’orientalismo eurocentrico è unilaterale, tendenzioso e inaffidabile.

2. Gli stessi storici cinesi, riflettendo sull’essenza e sulle strutture della loro civiltà, hanno eretto un istoriale fondato su una o l’altra preferenza dinastica, filosofica, ideologica, o talvolta religiosa, che presenta anche in questo caso una versione unilaterale e ideologizzata che non può essere presa come verità finale, e che deve essere costantemente verificata e corretta.

3. Ci resta da percorrere una terza via, quella dell’immersione nella civiltà cinese, nella sua lingua, storia, filosofia, costumi, riti, arte, politica e società nel suo insieme, cercando di identificarne gli schemi immanentemente intrinseci sulla base di metodologie sociologiche e antropologiche, e cercando di attenerci il più possibile a come i cinesi intendono se stessi senza perdere di vista la distanza necessaria per correggere l’autocoscienza sociale (la coscienza collettiva à laDurkheim) in relazione al processo generale dei suoi cambiamenti storici e alle versioni e alternative dinastiche, religiose e geografiche.

Il metodo di Marcel Granet applicato alla Cina è per molti aspetti simile a quello di Henry Corbin (1903-1978) nel suo profondo studio della civiltà iraniana e irano-islamica, una metodologia che Corbin stesso ha definito la «fenomenologia della religione». [6] È impossibile descrivere correttamente l’autocoscienza di una società se si ritiene deliberatamente che tutto ciò in cui i suoi membri credano sia «pregiudizio ignorante» o «vane chimere». In realtà la Cina può essere compresa solo assumendo la posizione dei cinesi, accettando di credere consapevolmente a come essi vedono il mondo e al mondo che essi costituiscono con la loro visione. Proprio come ha dichiarato Corbin nel suo studio sullo sciismo iraniano – «Noi, sciiti» –, Marcel Granet avrebbe potuto benissimo affermare di sé stesso «Noi, cinesi», senza alcuna intenzione di alterare irreversibilmente la sua identità da europea a cinese. Nello studio dell’identità cinese, l’identità europea (o nel nostro caso russa) dovrebbe, temporaneamente e secondo metodologie antropologiche e sociologiche ben precise, essere dimenticata, per poi (nella misura in cui si desidera) fare ritorno ad essa, arricchiti da una esperienza civilizzazionale e persino esistenziale prima inconcepibile.

Nel suo approccio, Marcel Granet ha combinato la sociologia olistica della scuola di Durkheim e le metodologie della «scuola delle annales», ottenendo la concettualizzazione della società come fenomeno organico e la trattazione dei cambiamenti nella struttura della società nel corso di lunghe fasi storiche non come periodi diversi e strettamente discontinui, con cui le cronache storiche convenzionali operano di solito, ma come processi di continue e graduali mutazioni. I fondamenti di questa metodologia sono stati sostanziati in dettaglio da Fernand Braudel con il suo famoso concetto di «long durée» [7]. Granet ha dedicato alla Cina una serie di opere fondamentali, in particolare: Feste e canzoni dell’antica CinaLa religione dei CinesiDanze e leggende dell’antica CinaStudi sociologici sulla Cina, e le sue due opere più importanti e generalizzanti, La civiltà cinese e Il pensiero cinese. [8-13]

Georges-Albert de Pourvourville e i tradizionalisti

Oltre a Granet, un contributo sostanziale alla comprensione della civiltà cinese è stato fornito da Georges-Albert Puyou de Pourvourville (1862-1939), che ha studiato la civiltà cinese dall’interno, trascorrendo molti anni in Cina, dove adotterà il nome di Matgioi. Pourvourville-Matgioi è stato iniziato alla tradizione taoista da un insegnante cinese e ha riportato le conoscenze acquisite nelle sue opere sulla metafisica cinese, La Via Razionale e La Via Metafisica, nei suoi libri L’Impero di Mezzo e La Cina dei Letterati, e nelle sue traduzioni del Tao Te Ching di Lao Tzu e de Lo spirito delle razze gialle di Quangdzu. [14-19] Un altro eccezionale tradizionalista, Julius Evola (1898-1974), ha successivamente tradotto il Tao Te Ching in italiano. [20]

Pourvourville ha formulato il suo obiettivo nelle seguenti parole:

«Devo qui provarmi a dischiudere al ventesimo secolo occidentale un tesoro nascosto da cinquemila anni e ignorato perfino da alcuni dei suoi custodi. Ma voglio innanzitutto fissare le principali caratteristiche di questa tradizione, grazie alle quali essa ci appare come Tradizione Primordiale, e poi soprattutto determinare, mediante la prova umana e tangibile lasciataci dai loro autori, come i monumenti di tale tradizione risalgano a un'epoca in cui, nelle foreste che ricoprivano l'Europa e lo stesso occidente dell'Asia, gli orsi e i lupi non si distinguevano dagli uomini, i quali erano come loro coperti di peli e mangiavano carne cruda.» [21]

 

Matgioi sottolineava così che riteneva la tradizione cinese essere la più antica e primordiale (similmente a come altri tradizionalisti, come Guénon e Coomaraswamy, vedevano la Tradizione Primordiale nell’induismo). Allo stesso tempo, Pourvourville-Matgioi non ha semplicemente cercato di dimostrare che la tradizione cinese è paragonabile a quella europea, ma, come si può vedere nel passo precedente, egli era convinto che in tutta la sua interezza, profondità e antichità, era superiore alla cultura europea nel suo complesso, per non parlare della cultura europea della modernità, che i tradizionalisti considerano inequivocabilmente come degenerata e in declino.

Pourvourville era vicino a René Guénon (1886-1951), fondatore del tradizionalismo europeo, e fu una delle principali fonti attraverso cui Guénon entrò in contatto con la tradizione cinese. Lo stesso Guénon dedicò un’opera fondamentale, La grande triade, alla metafisica cinese, basandosi in gran parte sulle idee di Matgioi [22]. Le opere di Matgioi e Guénon sono importanti in quanto si approcciano alla metafisica cinese dall’interno, accettando il punto di vista religioso della tradizione taoista nella misura in cui essa risulta accessibile ai popoli di cultura europea. Altre importanti testimonianze della tradizione spirituale cinese sono contenute nelle opere dello storico delle religioni e autore vicino al tradizionalismo, Mircea Eliade (1907-1986), in particolare nella sua opera L’alchimia asiatica, una parte considerevole della quale è dedicata alla tradizione cinese. [23]

L’orizzonte Han: il popolo della Via Lattea

Come per qualsiasi altro popolo, nell’esame di quello cinese è difficile determinare definitivamente quale strato dell’identità, che è necessariamente multilivello e dialetticamente mutevole nelle sue proporzioni nel tempo, dovrebbe essere preso come punto di riferimento. Indubbiamente abbiamo a che fare con una civiltà, e questo significa che si tratta di un Logos formalizzato e riflessivo incarnato nella filosofia, nella tradizione, nella cultura, nella politica e nell’arte. Nell’antichità, la civiltà cinese ha raggiunto la piena manifestazione, cioè la fase di Ausdruck nella terminologia di Leo Frobenius. Possiamo studiare questo Logos, analizzarlo e commentarlo, studiandone e sistematizzandone gli elementi e i livelli. Di per sé, questo è già un compito estremamente complesso, in quanto la civiltà cinese ha attraversato molteplici fasi principali che hanno comportato cambiamenti semantici qualitativi e, conseguentemente, sono state apportate consistenti revisioni al paradigma fondamentale del Logos cinese.

Come abbiamo mostrato nel volume della Noomachìa dedicato alla Geofisica, il Logos di Civiltà rappresenta il livello più alto della formazione civilizzazionale, dal «seminato» del Logos verticale principale (di Apollo, Dioniso e Cibele) al raccolto nella forma di cultura. Il Logos rappresenta l’ultimo stadio, quando le rese delle coltivazioni vengono raccolte nella fase finale del ciclo agrario. Alla base della civiltà giace un orizzonte culturale o esistenziale, o Dasein (in questo caso, il Dasein cinese). Quest’ultimo precede la formazione della civiltà, ma costituisce allo stesso tempo il suo fondamento semantico. Il Dasein, come popolo inteso esistenzialmente, come popolo esistente (la cui esistenza presuppone la storia, cioè il tempo) presuppone anche strutture logologiche su cui viene a fondarsi. [24-25] Dobbiamo quindi studiare la civiltà cinese tenendo costantemente conto dei fondamenti esistenziali su cui è stata eretta.

Tuttavia, per esaminare e interpretare correttamente l’istoriale cinese, cioè le forme dell’essere storico di questo popolo, è necessario discernere l’orizzonte principale che funga da asse semantico da prendere come punto di riferimento. Ciò richiede sempre una scelta, in quanto ogni orizzonte è complesso, composito e co-partecipato simultaneamente da molteplici sotto-orizzonti o strati con orientamenti noologici e traiettorie spesso differenti. Occorre dunque operare da subito una scelta e riconoscere come nucleo esistenziale principale un Dasein che sarà il «soggetto» di questo istoriale. Nel caso dell’orizzonte cinese, gli Han dovrebbero essere considerati questo asse, intesi come il popolo che incarna il Logos cinese che ha costruito questa civiltà, questo Impero e il suo peculiare mondo cinese.

Il popolo Han è emerso come auto-denominazione solo con la dinastia Han del 206-220 a.C., che ha sostituito la breve dinastia Qin, allorché l’unificazione dei territori cinesi venne completata. Il nome «Han» (in cinese: 漢) significa letteralmente «Via Lattea», il che rimanda alla connessione simbolica tra l’identità Han, il cielo e il movimento ciclico. [26] Nelle epoche Qin e Han, diverse tribù insediatesi sul territorio cinese e appartenenti prevalentemente al gruppo linguistico sino-tibetano iniziarono a riconoscere la loro unità – dal punto di vista culture, storico, religioso, e così via. È anche evidente che una certa unità di tradizione era necessariamente caratteristica di forme ancora più antiche di associazioni tribali, come negli Zhou e nei periodi precedenti, la cui memoria è stata impressa in miti e leggende. In ogni caso, è il popolo Han che dovrebbe essere considerato, in senso lato, il polo fondante della storia cinese. Possiamo definire le prime fasi dell’istoriale Han come proto-Han, dopo di che l’identità Han ha cominciato a diffondersi negli orizzonti vicini sia in Cina che altrove, includendo così nella composizione del suo Dasein altri gruppi etnici e culturali. Eppure, in tutte queste fasi, abbiamo a che fare con un insieme semantico che è prevalente e dominante nello spazio della storia e della geografia cinese. I cinesi Han sono il soggetto della civiltà cinese, e possono essere considerati i principali latori del Logos derivante, la cui natura noologica siamo chiamati a discernere nel corso del nostro studio.

Pertanto, la formula fenomenologica da cui saremo guidati dovrebbe essere precisata: il passaggio da «Noi, cinesi» a «Noi, Han» riflette la nostra intenzione di essere solidali con il Dasein Han nella ricostruzione dell’istoriale cinese e di guardare attraverso i suoi occhi la storia, la mitologia, la politica e la religione della Cina.

 

Note:

 

[1] Aleksandr Dugin, Noomahija: vojny uma. Gorizonty i civilizacija Evrazii. Indoevropejskoe nasledie i sledy Velikoj Materi (Noomachìa: guerra della mente. Orizzonti e civiltà dell’Eurasia. Eredità indoeuropea e tracce della Grande Madre), Akademicheskij proekt, Mosca 2017.

[2] Aleksandr Dugin, Noomahija: vojny uma. Logos Turana. Indoevropejskaja ideologija vertikali (Noomachìa: guerra della mente. Il Logos del Turan. LIdeologia Indoeuropea del Verticale), Akademicheskij proekt, Mosca 2017.

[3] Aleksandr Dugin, Noomahija: vojny uma. Velikaja Indija. Civilizacija Absoljuta (Noomachìa: guerra della mente. La grande India. Civiltà dell’Assoluto), Akademicheskij proekt, Mosca 2017.

[4] Aleksandr Dugin, Noomachìa: guerra della mente. Orizzonti e civiltà dell’Eurasia, op. cit. 

[5] Aleksandr Dugin, Noomahija: vojny uma. Geosofija: gorizonty i civilizacii (Noomachìa: guerra della mente. Geosofia: orizzonti e civiltà), Akademicheskij proekt, Mosca 2017.

[6] Ibid. Cfr. anche: Aleksandr Dugin, Noomahija: vojny uma. Iranskij Logos. Svetovaja Vojna i Kul’tura ozhidanija (Noomachìa: guerra della mente. Il Logos iranico. Guerra della Luce e Cultura dellAttesa), Akademicheskij proekt, Mosca 2016.

[7] Fernand Braudel, Écrits sur l’histoire, Arthaud, Parigi 1990. Cfr. anche: Aleksandr Dugin, Noomachìa: guerra della mente. Geosofia: orizzonti e civiltà, op. cit. 

[8] Marcel Granet, Fêtes et chansons anciennes de la Chine, Albin Michel, Parigi 1982.

[9] Marcel Granet, La Religion des Chinois, Albin Michel, Parigi 2010.

[10] Marcel Granet, Danses et légendes de la Chine ancienne, Les Presses universitaires de France, Parigi 2010.

[11] Marcel Granet, Études sociologiques sur la Chine, Les Presses universitaires de France, Parigi 1953.

[12] Marcel Granet, Kitajskaja civilizacija, Algoritm, Mosca 2008.

[13] Marcel Granet, Kitajskaja mysl' ot Konfucija do Lao-czy, Algoritm, Mosca 2008.

[14] Matgioi, La Voie Rationnelle, Les Éditions Traditionnelles, Parigi 2003.

[15] Matgioi, La Voie Métaphysique, Les Éditions Traditionnelles, Parigi 1991

[16] Matgioi, L’Empire du Milieu, Schlercher frère, Parigi 1900.

[17] Matgioi, La Chine des Lettrés, Librairie Hermétique, Parigi 1910.

[18] Le Tao de Laotseu, tradotto dal cinese da Matgioi, Arché, Milano 2004.

[19] L’esprit des races jaunes. Le Traité des Influences errantes di Quangdzu, tradotto dal cinese da Matgioi, Bibliothèque de la Haute Science, Parigi 1896.

[20] Julius Evola, Tao te Ching di Lao-tze, Edizioni Mediterranee, Roma 1997. Altri testi di Evola sul taoismo sono raccolti nell'opuscolo intitolato "Taoismo": Julius Evola, Il Taoismo, Fondazione Julius Evola, Roma 1988.

[21] Matgioi, La Via Metafisica, Basaia Editore Roma, 1983, p. 6.

[22] René Guénon, La Grande Triade. Gallimard, Parigi 1957.

[23] Mircea Eliade, Aziatskaja alhimija (L’alchimia asiatica), Janus-K, Mosca 1998.

[24] Aleksandr Dugin, Noomachìa: guerra della mente. Geosofia: orizzonti e civiltà, op. cit.

[25] Aleksandr Dugin, Martin Hajdegger. Poslednij Bog (Martin Heidegger: Ultimo Dio), Akademicheskij proekt, Mosca 2015.

[26] È anche possibile che il nome della dinastia Han derivi dal fiume Hanshui o Han che attraversa la Cina centrale.

Traduzione di Donato Mancuso

 

Capitolo 1 del volume Noomachìa – Il Dragone Giallo. Le Civiltà dell’Estremo OrienteAkademicheskij proekt, Mosca 2018.