IL LOGOS DELL’EUROPA: CATASTROFE E ORIZZONTI DI UN ALTRO INIZIO

Europa à la Dumézil

La moderna civiltà europea rappresenta la continuazione storica della civiltà mediterranea. Questa continuità è dominata dalla componente indoeuropea, dacché la tradizione indoeuropea costituisce la principale matrice linguistica e culturale dell’Europa. Se ripensiamo alla ricostruzione del sistema trifunzionale ad opera di Dumezil, otterremo immediatamente una mappa sociologica dell’Europa, la cui struttura sociale è dominata dal principio costantemente riprodotto delle tre caste dominanti: sacerdoti, guerrieri e produttori. In effetti, nelle varie fasi storiche europee e sotto nomi diversi, non incontriamo altro che tale stratificazione sociale.

L’espressione classica di quest’ordine è fornito dall’epoca più antica delle società mediterranee, a cominciare dalle conquiste achee e dalla Grecia omerica. Tale sistema è caratteristico dell’Antica Grecia e di Roma, ad eccezione dei periodi di declino, caratterizzati da un rafforzamento delle posizioni politiche degli «abitanti della città», che rappresentavano un misto di caste superiori con la presenza di contadini sradicati che diedero vita ad un nuovo tipo di mercante fino ad allora estraneo alle società classiche indoeuropee. Questo tipo di mercante potrebbe essere nato proprio dal degrado e dalla materializzazione della casta guerriera (descritto nella Repubblicadi Platone con il fenomeno della timocrazia), o dal basso, attraverso una deviazione specifica del tipo sociale di ex contadini o artigiani urbani. Non si può escludere che questo sia stato il risultato di influenze del tutto estranee al circolo culturale indoeuropeo – si pensi alla cultura fenicia o, più in generale, alle culture semitiche, dove il commercio era un’occupazione sociale diffusa. Nelle città-stato della Grecia, gli «abitanti della città», cioè i «cittadini» avevano creato uno specifico milieu sociale, in cui le tre funzioni classiche della società indoeuropea trovarono manifestazione parodica. Almeno, è così che Aristotele presentava le cose nella sua Politica. La potestà dei re-sacerdoti (la sacra monarchia) divenne tirannia. Il dominio dell’aristocrazia militare lasciò il posto al dominio di un’oligarchia finanziaria. E l’autogoverno organico di comunità etnicamente omogenee e solidali (politeia) divenne una «democrazia», ovvero il governo di una folla disordinata ed eterogenea, unita solo dall’area urbana di residenza.

Roma, nella sua ascesa, ha ripristinato nuovamente le proporzioni della gerarchia trifunzionale indoeuropea. Tuttavia, anche nell’Impero Romano, i periodi di declino furono caratterizzati da fenomeni simili di ascesa di una maggioranza urbana indifferenziata. La diffusione del Cristianesimo, che di per sé non è un fenomeno culturale tipicamente indoeuropeo, ma porta piuttosto caratteristiche essenziali della tradizione semitica, ha tuttavia stimolato una rinascita delle società indoeuropee del mondo greco-romano, il cui culmine è stato il Medioevo europeo.

Alla fine del Medioevo, la «società civile» della città ha rialzato ancora una volta la testa, il ruolo della «classe commerciale» è cresciuto e, infine, l’Europa borghese rappresentata da Inghilterra, Paesi Bassi e Francia ha stabilito il modello normativo democratico e sociale. È importante notare come la figura principale di questa Europa dell’era moderna sia stata quella del borghese (mercante, imprenditore, uomo d’affari), che nelle classiche società indoeuropee era alla periferia o del tutto assente. Un’analisi sociologica dettagliata del ruolo e della funzione della borghesia è stata effettuata dai noti sociologi europei come Max Weber [1] (in uno spirito apologetico) e Werner Sombart [2] (da un punto di vista critico).

Così, secondo Dumézil, la moderna civiltà dell’Europa occidentale è indoeuropea nella sua natura e struttura originale, il che significa che alberga nel suo cuore il modello trifunzionale. Ma la Modernità ha introdotto in questa struttura e gradualmente ha stabilito nel suo cuore un elemento che geneticamente è del tutto estraneo alla civiltà indoeuropea e che concettualmente confligge con la sua matrice classica.

Il declino dell’Europa à laSpengler, Danilevskij e Sorokin

Se l’analisi trifunzionale di Dumezil mostra la deviazione dell’Europa dell’era moderna dal paradigma indoeuropeo, altri autori che hanno esercitato un approccio civilizzazionale (Spengler, Danilevskij, Sorokin, ecc.), sono del parere che il ciclo della civiltà europea sia entrato nella sua fase calante. Il mondo romano-germanico (secondo Danilevskij) sta vivendo la sua vecchiaia, sta perdendo vitalità ed energia, si sta disintegrando in materialità e sensualità. Spengler ha costruito la sua intera teoria per suffragare la tesi che lo spirito faustiano dell’Occidente l’abbia portato alla catastrofe spirituale, con la sua vita culturale che svanisce e viene sostituita da una civiltà puramente tecnica e alienata. Pitirim Sorokin, da parte sua, ha sostenuto che l’Europa nella Modernità è giunta al termine della sua fase sensista [3] nello sviluppo del suo sistema socioculturale e si trova sull’orlo dell’abisso.

Tutte queste testimonianze suggeriscono che il quadro complessivo della civiltà europea in epoca moderna (comunque sia definito dai diversi autori) ne rappresenti la fase terminale, un’era di decrepitezza, decadenza, degrado e agonia. Ciò significa che il Logos europeo si situa nell’ultimo terzo della sua manifestazione ciclica, all’estremo opposto rispetto all’infanzia dell’Europa rappresentata dall’antichità greco-romana, in una fase susseguente all’età della maturazione del Medioevo europeo.

La desacralizzazione dell’Europa (à laGuénon e Evola)

Una diagnosi ancora più brutale dell’Europa moderna è stata formulata dai tradizionalisti. Secondo Guénon, la modernità europea è diventata l’espressione di un’anticiviltà, l’incarnazione di tutto ciò che è contrario allo spirito, alla Tradizione, alla sacralità. La secolarizzazione, l’umanesimo, il naturalismo, il meccanicismo e il razionalismo, secondo Guénon, sono l’essenza dello spirito di perversione che colpisce tutte le società, ma che solo nell’Europa moderna ha acquisito quest’assoluta e completa incarnazione ed è stato elevato al rango di norma e di principio. Anche le società tradizionali hanno conosciuto periodi di degrado, ma l’Europa moderna ha costruito un’antisocietà nel senso pieno del termine, dove tutte le proporzioni normali sono rovesciate: la dimensione trascendente divina è respinta, la religione è spinta alla periferia sociale; al contrario, la materia, la quantità, l’effimero, la sensualità, l’individualismo e l’egoismo sono innalzati come valori massimi.

Guénon afferma che tutto ciò che è legato alla Tradizione in Europa non è realmente europeo, e lo si può trovare in forma molto più pura e completa tra i popoli dell’Est. Ciò che è autenticamente europeo è la frammentazione della Tradizione, la sua distorsione e perversione, la sua riduzione al più basso livello umano e razionale. Guénon interpreta l’Occidente letteralmente, come la terra dove il sole della spiritualità scompare e inizia la «notte degli dèi». 

Pressoché la medesima valutazione dell’Europa moderna è presente in Evola, il quale tuttavia riteneva che la tradizione europea esistente nell’antichità e nel Medioevo, e che affonda le sue radici nell’epoca eroica, possa ancora essere restaurata, e che l’Occidente possa essere salvato dall’abisso in cui la Modernità l’ha fatto sprofondare. Evola ha perseguito per una vita intera la restaurazione di questo spirito eroico dell’Occidente. Ma per quanto riguarda l’Europa dell’era moderna, Evola ha espresso le valutazioni più severe e più negative, ritenendo che in questo periodo abbiamo a che fare con un’Anti-Europa, con la sua estrema degenerazione e auto-parodia. La borghesia viene considerata da Evola una classe decadente, e la democrazia, il razionalismo, lo scientismo e l’umanesimo forme di una malattia spirituale e sociopolitica.

Guénon ed Evola hanno entrambi riconosciuto la completa e profonda desacralizzazione dell’Europa, ma Evola ha sperato nella possibilità di una risacralizzazione, mentre Guénon l’ha ritenuta improbabile, prevedendo per l’Europa una morte incombente e inevitabile.

L’indice di genere dell’Europa moderna

Nel determinare l’«indice di genere» della moderna civiltà europea, le opinioni dei diversi autori sono profondamente divergenti. Da un lato, secondo la logica di Bachofen e Wirth, l’Europa si fonda sul patriarcato e queste tendenze patriarcali (appollinismo, dominio della razionalità maschile) non fanno che aumentare nella misura in cui ci si allontana dall’antico matriarcato. A prima vista la modernità, nella forma della filosofia e della scienza razionalistica, conferma questa valutazione. In effetti, molti filosofi della vita (da Friedrich Nietzsche a Henri Bergson, Ludwig Klages, Max Scheler, Georg Simmel, Theobald Ziegler, Hermann Keyserlingi, ecc.), sono partiti da tale analisi, invocando la liberazione dal «dominio paterno» nella cultura europea. Ma d’altra parte, Evola e alcuni altri pensatori, come Otto Weininger, hanno sottolineato come l’era moderna abbia reso preminenti valori materialistici, sensuali, empirici, che sono piuttosto tipici del cosmo femminile. Evola ha quindi sostenuto la tesi secondo cui viviamo nell’epoca del Kali Yuga, in cui trionfano i principi della «femminilità nera», del caos, della confusione e della morte, che corrispondono agli aspetti più negativi dell’elemento femminile.

In questo senso, l’Europa è il fulcro di una «ginecocrazia nera», il regno della dea Kali, dove, al contrario, non c’è posto per il principio veramente maschile ed eroico. Se le origini della tradizione europea, secondo Evola, risiedono nel tipo eroico maschile, la modernità europea ne è un diretto antipode. Su questo tema, tuttavia, i teorici delle civiltà hanno espresso opinioni diametralmente opposte.

Euro-ottimismo

Tali punti di vista sono tipici di quegli autori che tendono a considerare la civiltà europea come una delle tante. Anche coloro che si sono definiti sostenitori dell’Europa moderna (ad esempio, Toynbee o Huntington) hanno creduto che la Modernità non fosse semplicemente l’antitesi dei fondamenti classici della cultura europea, ma una versione del suo sviluppo. Hanno quindi proposto di rafforzare e difendere l’Europa e i suoi valori in uno spirito di moderato conservatorismo occidentale.

La stragrande maggioranza degli europei interpreta la Modernità in modo completamente diverso, convinti che l’Europa abbia percorso la distanza più lunga lungo l’unico possibile percorso universale di sviluppo storico, che i valori europei siano i migliori e universali, e quindi vincolanti, che esista un’unica civiltà – la civiltà europea – mentre tutto il resto è espressione di una sotto-civiltà, cioè di una velata barbarie o di uno stato selvaggio, e che la Modernità offra un livello di cultura, filosofia, conoscenza, tecnologia, moralità, diritto, economia e sviluppo sociopolitico che supera fondamentalmente non solo ogni stadio storico delle società extraeuropee, ma anche tutto ciò che l’Europa era stata in precedenza.

Pertanto, le origini della stessa civiltà europea sono valutate positivamente solo nella misura in cui hanno portato ad una «modernità benedetta»; per il resto, relativamente alla Modernità, esse rappresentano qualcosa di imperfetto, ingenuo o inutile, già da tempo superato dall’era moderna, che si caratterizza per aver integrato in sé tutto il meglio, scartando e superando al contempo tutti elementi peggiori.

Per questa visione del mondo ufficiale propria dell’Occidente moderno, fare appello all’antichità europea o alle società extraeuropee non può avere alcun senso in quanto la verità è contenuta nel momento attuale della storia occidentale (americano-europea) che si è sviluppata come avanguardia di tutta l’umanità, e domani questa verità sarà necessariamente ancora più perfetta e completa di oggi. Questa teoria del progresso, sebbene ampiamente respinta dall’élite intellettuale, filosofica e umanistica dell’Occidente nell’ultimo secolo, rimane il mito dominante della politica occidentale, della cultura di massa occidentale, dell’economia occidentale, dell’educazione occidentale e della visione ordinaria del mondo dell’uomo occidentale.

La struttura iniziale del Logos mediterraneo: la radicale vittoria di Apollo

Ora metteremo in relazione questi modelli di valutazione della moderna civiltà dell’Europa occidentale con la struttura dei tre Logoi della Noomachìa. Ma prima c’è un dato importante da considerare. La civiltà mediterranea, di cui la moderna civiltà occidentale è e ritiene di essere la prosecutrice, non ha solo un carattere greco-romano né unicamente indoeuropeo (se si considerano le tribù barbariche dell’Europa occidentale medievale). Inizialmente, anche il Logos greco includeva influenze semitico-fenicie, così come rimane aperta la questione dell’origine etnoculturale dei culti mediorientali della Grande Madre. Abbiamo visto come Herman Wirth abbia ricondotto il matriarcato alle radici protoindoeuropee, con il centro nell’Atlantide polare. Ma, secondo Frobenius, questo circolo culturale (talasso-oceanico), con un’enfasi sul numero 4, il simbolismo dello spazio, il matriarcato, rappresenta un’antitesi dello stile civilizzazionale indoeuropeo, considerando il Sole femminile e la Luna maschile. Spengler (così come Frobenius) hanno fatto risalire il codice culturale indoeuropeo al Turan patriarcale, ed Evola vide nell’eroismo patriarcale la fonte dei classici europei. In ogni caso, l’influenza semitica e i motivi matriarcali possono essere considerati (contrariamente alla visione di Herman Wirth) un fattore estraneo al codice culturale normativo europeo. Lo confermano indirettamente gli insegnamenti degli gnostici, che identificavano il «malvagio demiurgo» con il dio giudaico dell’Antico Testamento. I seguaci dello gnostico Basilide, che invocavano il superamento della prigione demiurgica, dissero di se stessi: «non siamo più giudaici, ma non siamo ancora ellenici» [4].

La diffusione del Cristianesimo nell’Impero Romano, con il recepimento dell’Antico Testamento quale componente teologica principale della nuova religione, ha indubbiamente aumentato l’impatto della cultura semitica sul contesto europeo, anche se la portata e la profondità dell’influenza dell’elemento semitico sono state variabili. Almeno nella prima fase della cristianizzazione dell’Impero Romano e nel Medioevo, questo elemento non si è manifestato così attivamente e vividamente, in quanto il fondamento della società cristiana era venuto a formarsi dalla filosofia ellenica e dalla cultura giuridica romana, mantenendo i tratti principali della civiltà indoeuropea.

Nel complesso, possiamo immaginare il ciclo del Logos occidentale come un ciclo di quattromila anni che va dall’inizio del secondo millennio a.C. (l’invasione achea del Mediterraneo) fino al 2000 d.C., cioè ai giorni nostri. Naturalmente, in tutto questo vasto periodo storico, il Logos della civiltà mediterranea, anche nella sua dimensione indoeuropea, è mutato molte volte. Tuttavia, alcuni parametri si sono conservati inalterati, o sono stati trasformati secondo traiettorie tipiche di questa specifica civiltà – indoeuropea e mediterranea, da un lato, e occidentale moderna (europea-occidentale), dall’altro.

Possiamo dire che si tratta di due sezioni polari della Noomachìa: iniziale e finale. Lo stesso si può dire di altre civiltà, delle quali ci occuperemo singolarmente in altra sede. Qui ci interessa l’Europa: dalle sue origini al momento attuale.

Non v’è dubbio che gli araldi della cultura primordiale (achea) e delle relative tribù indoeuropee nell’Occidente (Italia) e nell’Oriente (Anatolia) del Mediterraneo fossero chiari rappresentanti dell’ideologia trifunzionale, della civiltà di tipo eroico, della società maschile, patriarcale, sacrale e guerriera. Si può dire che il loro Logos fosse principalmente un Logos solare, e Apollo (o i suoi prototipi) e Zeus hanno funto da sua principale personificazione nel mito. Si è trattato di una filosofia uranica celeste, dominata dalla verticalità, da una serie di simboli maschili, e dal regime diurno dieretico (secondo Gilbert Durand). Pertanto, dovremmo presumere che un certo elemento apollineo faccia parte delle fondamenta e degli assetti di partenza della civiltà mediterranea. Esso non è stato un risultato dell’evoluzione o il frutto di influenze esterne. Gli ascendenti degli antichi greci che arrivarono in questa zona erano (secondo Guénon ed Evola) latori di questo circolo culturale solare iperboreo. O quanto meno, questo Logos solare costituiva l’asse dell’élite politica e castale della civiltà mediterranea, cioè delle sue due caste superiori – sacerdoti e guerrieri. Ma la dominazione del Logos solare interesserà anche i rappresentanti della terza funzione che, con l’ellenizzazione, assorbiranno le strutture dell’ideologia olimpica-uranica.

Tuttavia, gli antichi Achei non giunsero in un luogo vuoto. Questa zona era un tempo abitata da popoli di diversa cultura e ideologia (pelasgici, minoici, ecc.). Questa cultura era con ogni probabilità strutturata secondo un codice culturale matriarcale, le cui manifestazioni le incontriamo nel Logos di Cibele e in epoche successive.

Gli studi di Bachofen, Wirth e Frobenius hanno dimostrato chiaramente che la stessa area mediterranea era un tempo un campo culturale dominato dalle strutture della Grande Madre. Pertanto, il Logos Indoeuropeo, Acheo, Apollineo e patriarcale ha affermato il suo dominio su di uno spazio con una cultura fino ad allora strutturata in modo matriarcale. La conseguente collisione dei due Logoi – il Logos apollineo dei nuovi arrivati e il Logos matriarcale degli indigeni –, cioè questo specifico episodio della Noomachìa, si è concluso con il trionfo pieno e senza riserve del Logos di Apollo. La cultura mediterranea, matrice della cultura europea, è in primo luogo, nel senso più alto, originariamente e fondamentalmente una cultura del Logos solare. Si può dire che il pitagorismo e il platonismo siano stati momenti di una rivoluzione conservatrice, durante la quale l’élite intellettuale del mondo ellenico si è resa conto della necessità di sistematizzare, classificare ed «enciclopedizzare» il suo codice fondamentale. Ma questo codice culturale apollineo/platonico era dominante e prevalente ben prima di Pitagora e Platone, essendo la costante fondamentale di questa civiltà nel suo complesso, dall’inizio alla fine (cioè, fino al suo stato attuale).

La civiltà mediterranea nasce così come istituzionalizzazione dell’irreversibile vittoria olimpica degli dèi sui titani, di Apollo e Zeus sulle creature della Grande Madre, del Logos solare sul Logos nero, del mondo delle idee su una pellicola di spazio (χώρα, chora).

In questa situazione, è cruciale localizzare il Logos intermedio, il Logos oscuro di Dioniso. Nella radicale vittoria di Apollo su Rea-Cibele, di Apollo su Pitone, dell’Olimpo su Otri e degli dèi sui titani, Dioniso è stato interpretato come figura al fianco degli dèi. Attraverso di esso viene veicolata la comunicazione tra l’alto e il basso ontologico, teologico, cosmologico e gnoseologico – ma secondo le condizioni imposte della parte superiore. Il dominio di Apollo nella civiltà mediterranea ha predeterminato anche il destino di Dioniso. Esso viene concepito come raggio celeste rivolto verso la terra e l’inferno, come l’amato figlio dell’olimpico Zeus, come il sole che scende nella notte. Da qui la scelta stessa del genere di questo dio. Per quanto androgino in virtù della sua posizione intermedia, egli è concepito come un dio maschile, come sposo e salvatore. La sua traiettoria è da lì a qui; egli è un testimone degli dei e un dio tra gli dei.

Il Logos di Dioniso diventa la matrice per guerrieri e contadini. Da qui la sua spedizione in India [5] e i culti vegetali che lo accompagnano. Ma la sua guerra e i suoi culti agrari non sono associati agli sforzi materiali e alla vita lavorativa, bensì al gioco e ai festeggiamenti. Egli è il dio dei misteri che servono ad elevare la terra, a innalzarla al cielo, per aprire ai mortali la via dell’eternità. Apollo incarna l’ordine divino che non conosce il caos. È il dio dei re e dei sacerdoti, un dio che non tollera impurità o compromessi. È il dio di un orizzonte superiore. Non porta all’ordine, egli è ordine.

Dioniso invece discende nel caos, pronto ad affrontare l’imperfetto, a tradurre il caos in ordine, a perfezionare l’imperfetto. Il suo ruolo nella civiltà mediterranea del Logos solare è anch’esso luminoso, benché qualitativamente più scuro di Apollo.

Dioniso funge da guida per la seconda e ancor più per la terza casta della società indoeuropea, così come per le donne che si trovano alla periferia del sistema patriarcale, ma che attraverso il culto di Dioniso si integrano nell’intero tessuto civilizzazionale.

Questa è la struttura iniziale e fondamentale della Noomachìa per la regione mediterranea (nella sua versione ellenistica, poi greco-romana e infine dell’Europa occidentale). Tale è il profilo originario del Logos della civiltà mediterranea: esso è assolutamente dominato da Apollo; Cibele le è completamente subordinata e da esso sopraffatta; e Dioniso, che comunica tra le parti superiore e inferiore della topografia noetica e cosmologica, trasmette principalmente i raggi eidetici del cielo alle masse della terra e alle creature che vi abitano.

Tre punti di vista sul destino dell’Occidente

L’assetto di partenza della civiltà mediterranea ha predeterminato le proporzioni di base della sua esistenza storica fino ad oggi. Di conseguenza, quando parliamo del «declino dell’Europa», o della crisi della civiltà occidentale, ci riferiamo consapevolmente o inconsapevolmente alla crisi del Logos della Luce, alla tragedia di Apollo. Tutto ciò è stato esplicitamente discusso da Julius Evola, ma qualcosa di simile è certamente da intendersi per tutti gli altri autori hanno formulato per la civiltà occidentale una diagnosi fatale. Sia intenzionalmente che istintivamente, disquisendo sulla crisi dell’Occidente, noi intendiamo la crisi dell’Occidente apollineo, di quell’Occidente che conosciamo dall’antichità e dal Medioevo. È Apollo compianto da coloro che registrano la natura catastrofica della cultura occidentale moderna.

In tal caso, l’episodio finale del ciclo storico della civiltà mediterranea dovrebbe essere considerato la «dipartita di Apollo», il suo «ritiro», la sua «scomparsa», la sua «fuga». Nella fattispecie, il punto di partenza della civiltà mediterranea è il momento radicale della vittoria di Apollo su Cibele, mentre il punto finale, quello in cui ci troviamo, è l’indebolimento di Apollo, la sua caduta, la fine del suo regno. Anche gli enigmatici miti sulla fine del regno di Zeus, legati in particolare ai racconti della sua ingestione della titanide Meti e alla nascita di Atene, potrebbero essere direttamente correlati a questo. La fine della civiltà occidentale è la fine del regno del Logos solare di Apollo.

Di conseguenza, dalla prospettiva dello stesso Logos apollineo, questa evoluzione storica rappresenta un movimento verso il basso, il cui punto più alto è l’inizio della cultura mediterranea, mentre il più basso è lo stato attuale della civiltà occidentale. Se immaginiamo lo stesso schema in modo più naturalistico, nella prima fase (il secondo millennio a.C.) abbiamo lo stadio iniziale, l’infanzia di Apollo, dalla metà del primo millennio a.C. al Medioevo europeo abbiamo la maturità di Apollo (che coincide con la fioritura del platonismo), cui segue la decrepitezza e la degenerazione del Logos solare nel razionalismo dell’era moderna, fino all’irrazionale agonia del Postmoderno.

Ma se ora ripercorriamo la stessa parabola dalla prospettiva del Logos nero di Cibele, l’immagine che otterremo sarà significativamente diversa. Il punto di partenza è la subordinazione del femminile al maschile. Ma per il Logos di Cibele questo inizio apollineo non corrisponde in realtà al suo inizio. Il logo di Cibele affonda le sue radici nel lontano passato preindoeuropeo, o in territori adiacenti che non sono indoeuropei, come quello egiziano o semitico (se ci limitato al Mediterraneo). Pertanto, Cibele vede l’invasione di Apollo come un episodio abbastanza recente rispetto al tempo profondo e sotterraneo della Grande Madre. Essa accetta la sconfitta nella titanomachìa e gigantomachìa e, raggiunta la metà del suo percorso, piange i figli morti per mano degli olimpionici. Tuttavia, man mano il potere di Apollo si indebolisce, essa si libera gradualmente, le ferite dei titani guariscono e questi cominciano lentamente a farsi strada fino alla superficie della Terra.

Il primo dei titani a salire sull’Olimpo è Prometeo. Questo titano si sforza di imitare gli dèi, di condividere con loro la sua saggezza ctonica e di acquisire le loro sacre qualità. Per la Grande Madre il tempo è progresso, e ciò è del tutto giustificato, visto che man mano che gli dèi si indeboliscono, la forza dei titani cresce. La Modernità (il «Nuovo Tempo») è il loro tempo. Il «progresso» non può che essere inteso come il progresso delle forze ctoniche e ipocitoniche, la liberazione di antiche potenze imprigionate nel Tartaro. È la rivincita del Monte Otri, il contrattacco dell’esercito dei giganti sui Campi Flegrei. L’assalto all’Olimpo. Questa è l’essenza della Modernità. La fine della civiltà occidentale e il cammino che conduce a tale obiettivo è, secondo le forze ctoniche, il vero sviluppo, il reale progresso, l’avvicinarsi del tanto atteso trionfo.

D’altra parte, la fase finale di tale progresso potrebbe essere il «regno della donna» [6]. Ciò corrisponde alla definizione della tradizione indù del periodo attuale come Kali Yuga, il regno della dea nera Kali. I Libri sibillini[7] contengono una profezia che si riferisce specificamente alla civiltà occidentale:

Allora [8] il mondo governato dalle mani di una donna

Sarà e in tutto sarà obbediente.

E quando sul mondo intero regnerà la vedova

E getterà l’oro e l’argento nel mare divino, e il bronzo e il ferro [9] degli uomini effimeri

Getterà nel mare, allora tutti gli elementi

Del mondo si sentiranno vedovi, quando Dio che abita l’etere

Avvolgerà il cielo, come si avvolge il rotolo di un libro;

Cadrà tutta la multiforme volta celeste sulla terra divina

E nel mare; fluirà di fuoco devastante una cateratta

Inarrestabile, e brucerà la terra, e brucerà il mare

E la volta celeste, e i giorni e la stessa creazione

Fonderà in uno e veglierà fino alla purificazione.

E più non ci saranno le sfere brillanti degli astri,

Né la notte, né l’aurora, né i molti giorni d’affanno,

Né primavera né estate né inverno né autunno.

E allora il giudizio del gran Dio sopraggiungerà nel mezzo

Del grande eone, quando tutto questo accadrà.

(Libro III, 76-92)

 

Coloro per i quali la civiltà occidentale non è in crisi semplicemente, nel complesso, non ne fanno parte. Non sono la voce della civiltà occidentale, ma la voce del Logos nero. Oggi solo un non-europeo può essere euro-ottimista. 

Ora, veniamo a Dioniso. Come vede egli il destino dell’Occidente oggi? Qui tutto si complica. La zona di Dioniso, il suo regno, si trova tra il Logos solare di Apollo e il Logos nero di Cibele. Egli rimane identico a se stesso tanto in cielo quanto in terra, essendo prossimo a entrambe le nature – divina e umana. Dioniso comprende sia la logica del patriarcato che del matriarcato. Ma nella cultura mediterranea, come abbiamo visto, Dioniso risulta essere integrato nel modello dell’ordine apollineo e ne è il vettore ai livelli ctonici dell’essere. Il suo posto è nell’esercito degli dèi. Ha i suoi conti da regolare con i titani, che nel mito lo smembrano. Il destino di Dioniso in Occidente è inseparabile da quello di Apollo. Quindi, seguendo questa direttrice, anch’egli percepisce la Modernità come «tempi bui» e condivide il fato di tutti gli altri dèi olimpici. In questo senso, possiamo parlare di una «fuga di Dioniso» (la fuga di questo dio appare ripetutamente, per esempio, nella storia di Licurgo, quando si precipita in mare).

Tuttavia, Dioniso non è così strettamente legato ad Apollo. Nel regno di Apollo, egli appare come il Figlio del Padre, ma se lo guardiamo da un’altra prospettiva, può benissimo essere il Figlio della Madre. Il suo legame con Cibele, che lo guarisce dalla follia [10], si dispiega in un’altra direzione. Ci avviciniamo qui ad un argomento molto complesso e, in apparenza, anche pericoloso, che può essere formulato come «Dioniso e il suo doppio» [11]. Il Logos oscuro, che diffonde la luce in aree del mondo dove il sole di Apollo non penetra normalmente, può acquisire tratti inquietanti al «crepuscolo». In questi «crepuscoli» (il «crepuscolo degli dei» di Wagner, il «crepuscolo degli idoli» di Nietzsche, o il «crepuscolo degli eroi» di Evola) egli stesso può essere percepito come un «titano». Dopo tutto, Eraclito nel frammento 15 diceva: «una stessa identica cosa sono Ade e Dioniso» [12]. Il senso del Logos di Dioniso è che esso non è «una stessa identica cosa» con Ade. Ma una somiglianza rimane… A ciò si correlano il tema delle «ombre di Dioniso» [13] e l’ambiguità di certi temi «dionisiaci» decadenti che Gilbert Durand distingue nella Postmodernità come suoi tratti caratteristici [14], così come l’apprensione di Julius Evola verso la figura di Dioniso e la civiltà dionisiaca con tratti decadenti che egli ha in dote e che conduce all’età del ferro (Kali Yuga). Qui possiamo anche richiamare le idee di Guénon sulla «grande parodia» e l’«apertura dell’uovo del mondo dal basso», nonché i suoi avvertimenti sul particolare pericolo rappresentato da alcune tradizioni sacre che enfatizzano il livello cosmico intermedio e possono rivelare il loro potenziale distruttivo nell’era critica della fine del ciclo [15].

In questo senso, acquisisce particolare importanza quanto abbiamo detto a proposito del campo di Dioniso nella civiltà mediterranea e del suo destino. Nell’ottica della Grande Madre, questo campo può essere messo in discussione, come nel caso della metà «maschile» dell’androgino femminile Agdistis. O anche cambiare del tutto: allora, al posto di Dioniso il Salvatore, può sorgere l’immagine della «Salvatrice» [16]. Questo è un «altro Dioniso», non europeo, diverso da quello che conosciamo dall’epoca della storia classica. Si tratta di un «altro Dioniso», un «proto-Dioniso», o «post-Dioniso».

Se per il Dioniso solare il «tramonto dell’Europa» è il raggiungimento del punto di mezzanotte di questa civiltà, seguito da una nuova alba – il «ritorno di Dioniso» –, per il suo doppio ctonico è il raggiungimento di una meta segreta, il centro dell’inferno, e lo scopo è di fissare il tempo nel suo culmine infernale, rendendo così l’inferno eterno, perenne.

In questo caso, a differenza della visione lineare e catastrofica del Logos solare e del progressivo titanismo del Logos nero, la relazione del Logos oscuro di Dioniso con la moderna cultura occidentale (Europeo-occidentale) diventa altamente ambigua, in quanto basato sulla difficile operazione della «differenziazione dei Dionisi».

 

Note

 

[1] Max Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus,1905. Trad. italiana: L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Biblioteca Univ. Rizzoli, 1991.

 

[2] Werner Sombart, Il borghese, Longanesi, 1983.

 

[3] Pitirim Sorokin interpretava la dinamica sociale della storia alla stregua di una catena di paradigmi sociali che denominò ideazionista, idealista e sensista. L’ideazionismo consiste nel dominio assoluto dello spirito sulla materia, l’ascetismo, e nella sottomissione violenta del mondo materiale alle aspirazioni spirituali e religiose. La fase idealista è equilibrata e basata sulla coesistenza armoniosa di spirito e materia; in essa la parte spirituale è leggermente dominante, ma senza essere esclusiva (come nella fase ideativa). Il sensismo si caratterizza per il dominio assoluto della materia sullo spirito, del corpo sull’anima. Sorokin ha sottolineato come la natura ciclica della società segua un’unica catena di successione: dall’ideazionista all’idealista, alla sensista. [NdT]

 

[4] Aleksandr Dugin, V poiskah temnogo Logosa. Filosofsko-bogoslovskie ocherki(Alla ricerca del Logos oscuro. Saggi filosofici e teologici), Academic Project, 2013.

 

[5] Secondo Diodoro Siculo, Dioniso attraversa tutta l’India, dopo essere sopraggiunto da occidente. Durante il viaggio, alle popolazioni autoctone, tramanda la coltivazione dei frutti, la scoperta del vino e di tutto ciò che è utile alla vita. [NdT]

 

[6] L’apocalisse cristiana lo descrive con il simbolo della meretrice di Babilonia, la «donna ammantata di porpora».

 

[7] Oracoli sibillini, Città Nuova, 2008, p. 93.

 

[8] Dopo la venuta del titano Beliar.

 

[9] Questa è una chiara allusione alle quattro epoche dell’oro, dell’argento, del bronzo e del ferro, che terminano con il «regno della donna».

 

[10] Il mito di Dioniso è ricchissimo di interpretazioni e di sviluppi. Stando alla tradizione, dopo essere stato allevato dalle ninfe del monte Nisa, Èra, che sempre lo cercava, lo scovò e lo fece uscire di senno. In preda alla follia Dioniso errò attraverso l’Egitto e la Siria, e con un folto seguito di fedeli risalì le coste dell’Asia fino a giungere in Frigia, dove fu accolto affettuosamente dalla dea Cibèle, che lo purificò e lo fece rinsavire, iniziandolo ai riti del suo culto. [NdT]

 

[11] Cfr. Aleksandr Dugin, Radikal’nyj sub’ekt i ego dubl’(Il Soggetto Radicale e il suo doppio), Evrazijskoe dvizhenie, Mosca 2009. Trad. italiana: Soggetto Radicale – Teoria e fenomenologia, AGA Editrice, 2019.

 

[12] Cfr. Eraclito, Fr. 93 [15 DK; 50 Marc.]: «εἰ μὴ γὰρ Διονύσῳ πομπὴν ἐποιοῦντο καὶ ὕμνεον ᾆσμα αἰδοίοισιν, ἀναιδέστατα εἴργαστ' ἄν· ὡυτὸς δὲ Ἀίδης καὶ Διόνυσος, ὅτεῳ μαίνονται καὶ ληναΐζουσιν». Trad. italiana: «Se non fossero per Dioniso la processione che si mettono a fare e l’inno agli organi sessuali che innalzano, le azioni da loro compiute sarebbero le più vergognose; ma una stessa identica cosa sono Ade e Dioniso, per il quale delirano e celebrano baccanali», in Eraclito, Francesco Fronterotta (a cura di), Frammenti, BUR, 2013, p. 356. [NdT]

 

[13] Michel Maffesoli, L’Ombre de Dionysos, contribution à une sociologie de l’orgie, Méridiens-Klincksieck, Parigi 1985. Trad. italiana: L’ombra di Dioniso, Garzanti, 1990.

 

[14] Gilbert Durand,Figures mythiques et visages de l’œuvre. De la mythocritique à la mythanalyse, Berg International, Parigi 1979.

 

[15] È in questo senso che Guénon descrive il degradamento della tradizione egiziana, così come alcune delle correnti di ciò che egli chiama «ermetismo perverso».

 

[16] La teoria di un «messia donna» è presente nella setta ebraica di Jacob Frank, che ha influenzato un certo numero di organizzazioni mistiche in Europa nei secoli XVIII-XX. Cfr. Charles Novak, Jacob Frank le faux messie: Déviance de la kabbale ou théorie du complot, Editions L’Harmattan, Parigi 2012.

 

Traduzione di Donato Mancuso