MANIFESTO DEL GRANDE RISVEGLIO. CONTRO IL GRANDE RESET Schede primarie
Schede primarie
Il Grande Reset
I cinque punti del Principe Carlo
Nel 2020, al forum di Davos, il fondatore del forum Klaus Schwab e Carlo, il principe del Galles, hanno proclamato un nuovo corso per l’umanità, il Grande Reset.
Il piano, secondo il principe del Galles, consiste in cinque punti:
- catturare l’immaginazione e la volontà dell’umanità – il cambiamento avverrà solo se la gente lo vuole davvero;
- la ripresa economica deve indirizzare il mondo sulla via dell’occupazione, dei mezzi di sussistenza e di crescita sostenibili. Le strutture di stimolo di vecchia data che hanno avuto effetti perversi sul nostro ambiente planetario e sulla natura stessa devono essere reinventate;
- i sistemi e i procedimenti devono essere riprogettati per far avanzare le transizioni a tasso zero a livello globale. La tariffazione del carbone può costituire una via cruciale per un mercato sostenibile;
- la scienza, la tecnologia e l’innovazione devono essere rivitalizzate. L’umanità è sull’orlo di scoperte catalizzatrici che altereranno la nostra visione di ciò che è possibile e redditizio nel quadro di un futuro sostenibile;
- gli investimenti devono essere riequilibrati. L’accelerazione degli investimenti verdi può offrire opportunità di lavoro nell’energia verde, nell’economia circolare e nella bioeconomia, nell’ecoturismo e nelle infrastrutture pubbliche verdi.
Il termine “sostenibile” rientra nel più importante concetto del Club di Roma: “sviluppo sostenibile”. Questa nozione si basa a sua volta su un’altra teoria – i “limiti della crescita”, secondo la quale la sovrappopolazione del pianeta ha raggiunto un punto critico (il che implica la necessità di ridurre il tasso di natalità).
Il fatto che la parola “sostenibile” sia usata nel contesto della pandemia da Covid-19, che, secondo alcuni analisti, dovrebbe portare al declino della popolazione, ha causato una reazione significativa a livello globale.
I punti principali del Grande Reset sono:
- il controllo della coscienza pubblica su scala globale, che è il cuore della “cancel culture” – l’introduzione della censura sulle reti controllate dai globalisti (punto 1);
- la transizione verso un’economia ecologica e il declino delle strutture industriali moderne (punti 2 e 5);
L’ingresso dell’umanità nel cosiddetto Quarto ordine economico (a cui è stata dedicata la precedente riunione di Davos), cioè la graduale sostituzione della forza lavoro con i cyborg e l’implementazione dell’intelligenza artificiale avanzata su scala globale (punto 3).
L’idea principale del “Grande Reset” è la prosecuzione della globalizzazione e il rafforzamento del globalismo in seguito a una serie di fallimenti: la presidenza conservatrice dell’antiglobalista Trump, la crescente influenza di un mondo multipolare – soprattutto di Cina e Russia, l’ascesa dei paesi islamici come Turchia, Iran, Pakistan, Arabia Saudita e il loro sottrarsi all’influenza dell’Occidente.
Al forum di Davos, i rappresentanti delle élite liberali globali hanno annunciato la mobilitazione delle loro strutture in previsione della presidenza di Biden e della vittoria dei democratici negli Stati Uniti, cosa che desideravano fortemente.
Implementazione
Il segnavia dell’agenda globalista è la canzone di Jeff Smith “Build Back Better” (lo slogan della campagna di Joe Biden). Nel senso che dopo una serie di battute d’arresto (come un tifone o l’uragano Katrina), la gente (cioè i globalisti) ricostruisce infrastrutture migliori di quelle che aveva prima.
Il “Grande Reset” inizia con la vittoria di Biden.
I leader mondiali, i capi delle grandi corporazioni – Big Tech, Big Data, Big Finance, ecc. – si sono riuniti e mobilitati per sconfiggere i loro avversari – Trump, Putin, Xi Jinping, Erdogan, l’Ayatollah Khamenei, e così via. Per cominciare, si è cercato di strappare la vittoria a Trump usando nuove tecnologie – attraverso la “cattura dell’immaginazione” (punto 1), l’introduzione della censura su Internet, e la manipolazione del voto per corrispondenza.
L’arrivo di Biden alla Casa Bianca permette ai globalisti di passare alla fase successiva.
Questo influenzerà tutti i settori della vita – i globalisti riprendono il cammino da dove Trump e altri poli del nascente multipolarismo li avevano fermati. Ed è qui che il controllo mentale (attraverso la censura e la manipolazione dei social media, la sorveglianza totale e la raccolta di dati di tutti) e l’introduzione di nuove tecnologie giocano un ruolo chiave.
L’epidemia da Covid-19 è una scusa che giustifica tutto questo. Con il pretesto dell’igiene sanitaria, il Grande Reset prevede di alterare drammaticamente le strutture di controllo delle élite globaliste sulla popolazione mondiale.
L’insediamento di Joe Biden e i decreti che ha già firmato (ribaltando praticamente tutte le decisioni di Trump) indicano che si è iniziato a mettere in atto il piano.
Nel suo discorso sul “nuovo” corso della politica estera degli Stati Uniti, Biden ha espresso le principali direzioni della politica globalista. Può sembrare “nuovo”, ma solo in parte, e solo in confronto alle politiche di Trump. Nel complesso, Biden ha semplicemente annunciato un ritorno al precedente vettore:
- mettere gli interessi globali davanti agli interessi nazionali;
- rafforzare le strutture del governo mondiale e i suoi rami sotto forma di organizzazioni e strutture economiche sovranazionali;
- rafforzare il blocco NATO e la cooperazione con tutte le forze e i regimi globalisti;
- promuovere e approfondire il rinnovamento democratico su scala globale, che in pratica si traduce in:
1) una escalation nelle relazioni con quei paesi e regimi che contrastano la globalizzazione americanocentrica – prima di tutto, Russia, Cina, Iran, Turchia, ecc;
2) una maggiore presenza militare degli Stati Uniti in Medio Oriente, Europa e Africa;
3) la proliferazione dell’instabilità e delle “rivoluzioni di colore”;
4) l’uso diffuso di “demonizzazione”, “de-platforming” e ostracismo della rete (cancel culture) contro tutti coloro che hanno opinioni diverse da quella globalista (sia all’estero che negli stessi Stati Uniti).
Così, la nuova leadership della Casa Bianca non solo non mostra la minima volontà di avere un dialogo alla pari con nessuno, ma si limita a serrare il proprio discorso liberale, che non tollera alcuna obiezione. Il globalismo sta entrando in una fase totalitaria. Questo rende più che probabile che scoppino nuove guerre, con un aumento del rischio di una Terza guerra mondiale.
La geopolitica del “Grande Reset”
La globalista Foundation for Defence of Democracies, che esprime la posizione dei circoli neoconservatori statunitensi, ha recentemente pubblicato un rapporto che raccomanda a Biden che alcune delle posizioni di Trump – come una maggiore opposizione alla Cina e una maggiore pressione sull’Iran sono positive, e che Biden dovrebbe continuare a muoversi lungo questi assi in politica estera.
Gli autori del rapporto, invece, hanno condannato le azioni di politica estera di Trump come:
1) il lavoro teso alla disgregazione della NATO;
2) la riconciliazione con “leader totalitari” (cinese, nordcoreano, e russo);
3) un “cattivo” accordo con i talebani;
4) il ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria.
Così, il “Grande Reset” in geopolitica si tradurrà in una combinazione di “promozione della democrazia” e “strategia aggressiva neoconservatrice di dominazione su larga scala”, che è il principale vettore della politica “neoconservatrice”. Allo stesso tempo, viene consigliato a Biden di portare avanti e intensificare il contrasto all’ Iran e alla Cina, ma l’obiettivo principale dovrebbe essere la lotta alla Russia. E questo richiede il rafforzamento della NATO e l’espansione della presenza degli Stati Uniti in Medio Oriente e in Asia centrale.
Al pari di Trump, la Russia, la Cina, l’Iran e qualche altro paese islamico sono visti come i maggiori ostacoli.
In tal modo, i progetti ambientalisti e le innovazioni tecnologiche (prima fra tutte l’introduzione dell’intelligenza artificiale e della robotica) si combinano con l’ascesa di una politica militare aggressiva.
Una breve storia dell’ideologia liberale
Il globalismo come culmine del Nominalismo
Per capire chiaramente cosa rappresenta su base storica la vittoria di Biden e il “nuovo” corso di Washington verso il “Grande Reset”, bisogna considerare l’intera storia dell’ideologia liberale, a partire dalle sue radici. Solo così saremo in grado di capire la gravità della nostra situazione. La vittoria di Biden non è un episodio casuale, e l’annuncio di un contrattacco globalista non è semplicemente l’agonia di un progetto fallito. La faccenda è molto più seria. Biden e le forze alle sue spalle incarnano il culmine di un processo storico che è iniziato nel Medioevo, ha raggiunto la sua maturità nella Modernità con l’emergere della società capitalista, e che oggi sta raggiungendo la sua fase finale – quella delineata teoricamente da principio.
Le radici del sistema liberale (= capitalista) risalgono alla disputa scolastica sugli universali. Questa disputa divideva i teologi cattolici in due campi: alcuni riconoscevano l’esistenza dell’universale (specie, genere, universalia), mentre altri credevano solo in certe realtà concrete – individuali –, e interpretavano i loro nomi generalizzanti come sistemi convenzionali di classificazione puramente esterni, rappresentanti un “flatus vocis”. Coloro che erano convinti dell’esistenza dell’universale, della specie, attingevano alla tradizione classica di Platone e Aristotele. Essi vennero chiamati “realisti”, cioè coloro che riconoscevano la “realtà degli universalia”. Il rappresentante più importante dei “realisti” fu Tommaso d’Aquino e, in generale, la tradizione dei monaci domenicani.
I sostenitori dell’idea che solo le cose e gli esseri individuali sono reali vennero chiamati “nominalisti”, dal latino “nomen”. Il principio secondo cui “gli enti non debbono essere moltiplicati oltre il necessario” risale precisamente a uno dei principali difensori del “nominalismo”, il filosofo inglese William Occam. Prima ancora, le stesse idee erano state sostenute da Roscellino di Compiègne. Sebbene i “realisti” abbiano vinto la prima fase del conflitto e gli insegnamenti dei “nominalisti” siano stati anatemizzati, più tardi le strade della filosofia dell’Europa occidentale – specialmente dell’era moderna – furono tracciate da Occam.
Il “nominalismo” pose le basi del futuro liberalismo, sia ideologicamente che economicamente. Qui gli esseri umani erano visti solo come individui e nient’altro, e tutte le forme di identità collettiva (religione, classe, ecc.) dovevano essere abolite. Allo stesso modo, la cosa in sé era vista come proprietà privata assoluta, come una realtà concreta e distinta che poteva essere facilmente attribuita come bene di questo o quel proprietario individuale.
Il nominalismo prevalse prima di tutto in Inghilterra, si diffuse nei paesi protestanti e gradualmente divenne la principale matrice filosofica dell’era moderna – nella religione (relazioni individuali dell’uomo con Dio), nella scienza (atomismo e materialismo), nella politica (presupposti della democrazia borghese), nell’economia (mercato e proprietà privata), nell’etica (utilitarismo, individualismo, relativismo, pragmatismo), ecc.
Capitalismo: la prima fase
Partendo dal nominalismo, possiamo tracciare tutto il percorso storico del liberalismo, da Roscellino e Occam fino a Soros e Biden. Per comodità, dividiamo questa storia in tre fasi.
La prima fase è stata l’introduzione del nominalismo nell’ambito della religione. L’identità collettiva della Chiesa, come intesa dal Cattolicesimo (e ancor più dall’Ortodossia), venne sostituita dai protestanti in quanto individui che potevano d’ora in poi interpretare le Scritture basandosi solo sul loro ragionamento e rifiutando qualsiasi tradizione. Così molti aspetti del Cristianesimo – i sacramenti, i miracoli, gli angeli, la ricompensa dopo la morte, l’apocalisse, ecc. – vennero riconsiderati e scartati poiché non soddisfacevano i “criteri razionali”.
La Chiesa come “corpo mistico di Cristo” è stata distrutta e sostituita da club di hobbisti nati dal libero consenso dal basso. Questo ha creato un gran numero di sette protestanti in disputa. In Europa e nella stessa Inghilterra, dove il nominalismo aveva prodotto i suoi frutti più consistenti, il processo fu in qualche modo attenuato, e i protestanti più accaniti si precipitarono nel Nuovo Mondo e vi stabilirono la loro società. Più tardi, in seguito all’affermazione del modello metropolitano, emersero gli Stati Uniti.
Parallelamente alla distruzione della Chiesa come “identità collettiva” (qualcosa di “comune”), iniziò lo smantellamento degli stati [ordini sociali medievali, NdT]. La gerarchia sociale di sacerdoti, aristocrazia e contadini fu sostituita da indefiniti “cittadini”, secondo il senso originale della parola “borghese”. La borghesia soppiantò tutti gli altri strati della società europea. Ma il borghese non era altro che la miglior espressione dell’“individuo”, un cittadino senza appartenenza clanistica, tribale o castale, ma detentore di proprietà privata. E questa nuova classe cominciò a ricostruire la società europea su nuove fondamenta.
Allo stesso tempo, anche l’unità sovranazionale rappresentata dalla Sede Papale e dall’Impero Romano d’Occidente – altra espressione di “identità collettiva” – fu abolita. Al suo posto si instaurò un ordine basato su Stati nazionali sovrani, una sorta di “individuo politico”. Un ordine che venne consolidato con la Pace di Westfalia al termine della guerra dei Trent’anni.
Così, dalla metà del XVII secolo, in Europa occidentale si era affermato un ordine nei suoi tratti principali borghese (detto altrimenti, il capitalismo).
La filosofia del nuovo ordine fu per molti versi anticipata da Thomas Hobbes e sviluppata da John Locke, David Hume e Immanuel Kant. Adam Smith applicò questi princìpi al campo economico, dando origine al liberalismo come ideologia economica. Di fatto, il capitalismo, basato sull’applicazione sistematica del nominalismo, divenne una coerente visione sistemica del mondo. Il senso della storia e del progresso era ormai quello di “liberare l’individuo da ogni forma di identità collettiva” e portare questo vettore al suo limite logico.
Nel Ventesimo secolo, grazie al periodo delle conquiste coloniali, il capitalismo originario dell’Europa occidentale è diventato una realtà globale. L’approccio nominalista ha prevalso nella scienza e nella cultura, nella politica e nell’economia, nel pensiero quotidiano dei popoli occidentali e di tutta l’umanità.
Il Ventesimo secolo e il trionfo della globalizzazione: la seconda fase
Nel Ventesimo secolo, il capitalismo ha dovuto far fronte a una nuova sfida. Questa volta non si trattava di contrastare le usuali forme di identità collettiva – religiosa, di stato, castale, ecc. – ma teorie artificiali e anche moderne (come lo stesso liberalismo) che rifiutavano l’individualismo e lo contrastavano con nuove forme di identità collettiva (combinate concettualmente).
Socialisti, socialdemocratici e comunisti hanno contrastato i liberali con le identità di classe, chiamando i lavoratori di tutto il mondo a unirsi per rovesciare il potere della borghesia globale. Questa strategia si dimostrò efficace, e in alcuni grandi Paesi (anche se non in quelli industrializzati e occidentali come Karl Marx, il fondatore del comunismo, aveva preconizzato), nacquero rivoluzioni proletarie.
Parallelamente ai comunisti ebbe luogo, questa volta in Europa occidentale, la presa del potere da parte di forze caratterizzate da un estremo nazionalismo. Esse agivano in nome della “nazione” o di una “razza”, contrapponendo di nuovo l’individualismo liberale a qualcosa di “comune”, un qualche “essere collettivo”.
I nuovi oppositori del liberalismo non afferivano più all’onda inerziale del passato, come nelle fasi precedenti, ma erano latori di progetti modernisti sviluppati nello stesso Occidente. E tuttavia essi si basavano anche sul rifiuto dell’individualismo e del nominalismo. Questo venne ben compreso dai teorici del liberalismo (soprattutto da Hayek e dal suo discepolo Popper), che unirono “comunisti” e “fascisti” sotto il generico nome di “nemici della società aperta”, intraprendendo una serrata battaglia nei loro confronti.
Servendosi tatticamente della Russia sovietica, il capitalismo riuscì inizialmente ad avere la meglio sui regimi fascisti, e questo fu il risvolto ideologico della seconda guerra mondiale. La conseguente guerra fredda tra Est e Ovest alla fine degli anni Ottanta si concluse infine con la vittoria liberale sui comunisti.
Così, il progetto di liberazione dell’individuo da ogni forma di identità collettiva e il “progresso ideologico” come inteso dai liberali entrò in una nuova fase. Negli anni Novanta, i teorici liberali iniziarono a parlare della “fine della storia” (F. Fukuyama) e del “momento unipolare” (C. Krauthammer).
Questa si è rivelata una chiara evidenza dell’entrata del capitalismo nella sua fase più avanzata – la fase del globalismo. Infatti, è stato in questo momento che negli Stati Uniti ha trionfato la strategia globalista delle élite al potere, delineata nella Prima guerra mondiale dai Quattordici punti di Wilson, ma che alla fine della Guerra fredda accomunava le élite di entrambi i partiti – democratici e repubblicani, questi ultimi rappresentati principalmente dai “neoconservatori”.
Gender e Postumanesimo: la terza fase
Dopo aver sconfitto il suo ultimo nemico ideologico, ossia il campo socialista, il capitalismo è giunto a un nodo cruciale. L’individualismo, il mercato, l’ideologia dei diritti umani, la democrazia e i valori occidentali hanno vinto su scala globale. Sembrerebbe che l’agenda sia compiuta – nessuno oppone più all’“individualismo” e al nominalismo un qualcosa di serio e sistematico.
A questo punto, il capitalismo entra nella sua terza fase. A ben vedere, dopo aver sconfitto il nemico esterno, i liberali hanno scoperto altre due forme di identità collettiva. Prima di tutto, il genere. In fondo, anche il genere è qualcosa di collettivo: sia maschile che femminile. Così il passo successivo è stato la distruzione del genere come qualcosa di oggettivo, essenziale e insostituibile.
Il genere doveva essere abolito, come tutte le altre forme di identità collettiva, già soppresse in precedenza. Da qui la politica di genere, la trasformazione della categoria di genere in qualcosa di “opzionale” e dipendente dalla scelta individuale. Anche qui abbiamo a che fare con lo stesso nominalismo: perché doppia entità? Una persona è una persona in quanto individuo, mentre il genere può essere scelto arbitrariamente, proprio come da tempo si sceglie la religione, la professione, la nazione e lo stile di vita.
Questo è diventato il principale programma dell’ideologia liberale negli anni Novanta, dopo la sconfitta dell’Unione Sovietica. Certo, oppositori esterni si ergevano sulla strada della politica di genere – quei Paesi che presentavano ancora resti della società tradizionale, i valori della famiglia, ecc. –, così come i circoli conservatori nello stesso Occidente. Combattere i conservatori e gli “omofobi”, cioè i difensori della visione tradizionale dell’esistenza dei sessi, è diventato il nuovo obiettivo degli aderenti al liberalismo progressista. Molte sinistre si sono unite a loro, sostituendo le politiche di genere e la difesa dell’immigrazione selvaggia alle precedenti istanze anticapitalistiche.
Con la riuscita istituzionalizzazione delle norme di genere e a seguito delle migrazioni di massa, che stanno atomizzando le popolazioni nello stesso Occidente (il che si adatta perfettamente a un’ideologia dei diritti umani che opera con l’individuo senza tener conto degli aspetti culturali, religiosi, sociali o nazionali), è diventato palese che ai liberali è rimasto un ultimo passo da fare: abolire l’essere umano.
Dopo tutto, anche quella umana è un’identità collettiva, il che vale a dire che essa è da superare, da abolire, da distruggere. Questo è ciò che esige il principio del nominalismo: una “persona” è solo un nome, un vuoto sussulto d’aria, una classificazione arbitraria e quindi sempre questionabile. Esiste solo l’individuo – umano o no, maschio o femmina, religioso o ateo, dipende dalla sua scelta.
Così, l’ultimo passo che rimane ai liberali, che hanno percorso secoli verso il loro obiettivo, è quello di sostituire gli umani, anche se parzialmente, con cyborg, reti di intelligenza artificiale e prodotti di ingegneria genetica. L’umano opzionale segue logicamente il genere opzionale.
Questa agenda è già abbastanza presagita dal postumanesimo, dal postmodernismo e dal realismo speculativo in filosofia, e tecnologicamente sta diventando sempre più realistica di giorno in giorno. I futurologi e i sostenitori dell’accelerazione del processo storico (accelerazionisti) guardano con fiducia al prossimo futuro, quando l’intelligenza artificiale sarà paragonabile, nei parametri di base, all’essere umano. Questo momento è chiamato la Singolarità. Il suo arrivo è previsto entro 10-20 anni.
L’ultima battaglia dei liberali
Questo è il contesto in cui va collocata la vittoria di Biden negli Stati Uniti. Questo è il significato del “Grande Reset” o dello slogan “Build Back Better”.
Negli anni Duemila, i globalisti hanno affrontato una serie di problemi che non erano tanto ideologici quanto di natura “civilizzazionale”. Dalla fine degli anni Novanta, non ci sono state praticamente ideologie più o meno coerenti nel mondo in grado di sfidare il liberalismo, il capitalismo e il globalismo. Seppure in misura diversa, questi principi sono stati accettati da tutti o quasi. Tuttavia, l’attuazione del liberalismo e delle politiche di genere, così come l’abolizione degli Stati-nazione in favore di un governo mondiale, si è arenata su più fronti.
Tutto ciò è stato sempre più contrastato dalla Russia di Putin, dotata di armi nucleari e di una tradizione di storica opposizione all’Occidente, nonché da un certo numero di tradizioni conservatrici che si mantengono nella società.
La Cina, sebbene attivamente impegnata nella globalizzazione e nelle riforme liberali, non ha avuto fretta di applicarle al sistema politico, mantenendo il dominio del Partito Comunista e rifiutando la liberalizzazione politica. Inoltre, sotto Xi Jinping, le tendenze nazionali nella politica cinese hanno cominciato a crescere. Pechino ha abilmente usato il “mondo aperto” per perseguire i suoi interessi nazionali e persino di civiltà. E questo non faceva parte dei piani dei globalisti.
I Paesi islamici hanno continuato la loro lotta contro l’occidentalizzazione e, nonostante i blocchi e le pressioni, hanno mantenuto (come l’Iran sciita) i loro regimi inconciliabilmente anti-occidentali e anti-liberali. Le politiche dei grandi Stati sunniti come la Turchia e il Pakistan sono diventate sempre più indipendenti dall’Occidente.
In Europa, un’ondata di populismo ha cominciato a sorgere quando è esploso il malcontento europeo autoctono per l’immigrazione di massa e le politiche di genere. Le élite politiche europee sono rimaste completamente subordinate alla strategia globalista, come si è visto al Forum di Davos nelle relazioni dei suoi teorici Schwab e del principe Carlo, ma le società stesse sono entrate in tensione e talvolta sono insorte sfociando in una rivolta diretta contro le autorità – come nel caso delle proteste dei “gilet gialli” in Francia. In alcuni luoghi, come l’Italia, la Germania o la Grecia, i partiti populisti si sono addirittura fatti strada in Parlamento.
Infine, nel 2016, negli stessi Stati Uniti, Donald Trump è riuscito a diventare Presidente, sottoponendo l’ideologia, le pratiche e gli obiettivi globalisti a una severa e diretta critica. Ed è stato sostenuto da circa la metà degli americani.
Tutte queste tendenze anti-globaliste agli occhi degli stessi globalisti non potevano che sommarsi andando a comporre un quadro inquietante: la storia degli ultimi secoli, con il suo progresso apparentemente ininterrotto dei nominalisti e dei liberali, veniva messa in discussione. Non si trattava semplicemente del disastro di questo o quel regime politico. Era la minaccia della fine del liberalismo in quanto tale.
Anche gli stessi teorici del globalismo sentivano che qualcosa non andava. Fukuyama, per esempio, ha abbandonato la sua tesi della “fine della storia” e ha suggerito ha suggerito di mantenere gli Stati nazionali sotto il dominio delle élite liberali per preparare meglio le masse alla trasformazione finale in post-umanità, sostenuta con metodi rigidi. Un altro globalista, Charles Krauthammer, ha dichiarato che il “momento unipolare” è finito e che le élite globaliste non sono riuscite a trarne vantaggio.
Questo è esattamente lo stato di panico e di quasi isterismo in cui i rappresentanti dell’élite globalista hanno trascorso gli ultimi quattro anni. Ed è per questo che la questione della rimozione di Trump come presidente degli Stati Uniti era una questione di vita o di morte per loro. Se Trump avesse mantenuto la sua carica, il fallimento della strategia globalista sarebbe stato irreversibile.
Ma Biden è riuscito – con le buone o con le cattive – a spodestare Trump e a demonizzare i suoi sostenitori. È qui che entra in gioco il Grande Reset. Non c’è davvero nulla di nuovo in esso – è una continuazione del principale vettore della civilizzazione europea occidentale in direzione del progresso, interpretato nello spirito dell’ideologia liberale e della filosofia nominalista. Non rimane invero molto da fare: liberare gli individui dalle ultime forme di identità collettiva – completare l’abolizione del genere e muoversi verso un paradigma postumanista.
I progressi dell’alta tecnologia, l’integrazione delle società in social network strettamente controllati, come ormai emerge, da élite liberali in modo apertamente totalitario, e il perfezionamento delle modalità di tracciamento e influenza delle masse rendono il raggiungimento degli obiettivi liberali finali a portata di mano.
Ma per fare il salto decisivo, devono, repentinamente e senza più badare alle apparenze, spianare la strada alla finalizzazione della storia. E questo implica che la rimozione di Trump sia il segnale che dà il via all’attacco di tutti gli altri ostacoli.
Abbiamo così determinato la nostra posizione sul piano storico. E nel farlo, abbiamo ottenuto un quadro più completo di ciò che è il Grande Reset. Esso non è altro che l’inizio dell’“ultima battaglia”. I globalisti, nella loro lotta per il nominalismo, il liberalismo, la liberazione individuale e la società civile, si presentano come “guerrieri della luce”, che portano alle masse progresso, liberazione da migliaia di anni di pregiudizi, nuove possibilità – e forse anche l’immortalità fisica e le meraviglie dell’ingegneria genetica.
Chiunque si opponga a costoro è, ai loro occhi, parte delle “forze delle tenebre”. E secondo questa logica, i “nemici della società aperta” devono essere affrontati in tutta la loro severità. “Se il nemico non si arrende, sarà distrutto”. Il nemico è chiunque metta in discussione il liberalismo, il globalismo, l’individualismo, il nominalismo in tutte le loro manifestazioni. Questa è la nuova etica del liberalismo. Non c’è niente di personale. Tutti hanno il diritto di essere liberali, ma nessuno ha il diritto di essere altro.
Lo scisma negli Stati Uniti: il trumpismo e i suoi nemici.
Il nemico interno
In un contesto più circoscritto rispetto al quadro generale della storia del liberalismo che va da Occam a Biden, l’eventuale vittoria di Trump nella battaglia per la Casa Bianca nell’inverno 2020-2021, così lacerante per i democratici in quanto tale, possederebbe anche un enorme significato ideologico. Questo ha a che fare primariamente con i processi che si stanno svolgendo all’interno della stessa società americana.
Il fatto è che dopo la caduta dell’Unione Sovietica e l’inizio del “momento unipolare” negli anni Novanta, il liberalismo globale non aveva avversari esterni. Almeno, così sembrava all’epoca nel contesto della ottimistica prospettiva della “fine della storia”. Anche se tali previsioni si sono rivelate premature, Fukuyama non si è semplicemente chiesto se il futuro fosse arrivato – stava rigidamente attenendosi alla logica stessa dell’interpretazione liberale della storia, e così, con qualche rettifica, la sua analisi risultava generalmente corretta.
In effetti, le norme della democrazia liberale – il mercato, le elezioni, il capitalismo, il riconoscimento dei “diritti umani”, le norme della “società civile”, l’adozione di trasformazioni tecnocratiche, e il desiderio di abbracciare lo sviluppo e l’implementazione dell’alta tecnologia (specialmente quella digitale) – si erano in qualche modo affermate presso l’umanità intera. Se alcuni persistevano nella loro avversione alla globalizzazione, questo poteva essere visto come mera inerzia, come una riluttanza ad essere “benedetti” dal progresso liberale.
In altre parole, non si trattava di un’opposizione ideologica, ma solo di uno spiacevole contrattempo. Le differenze di civiltà sarebbero state gradualmente cancellate. L’adozione del capitalismo da parte della Cina, della Russia e del mondo islamico avrebbe prima o poi comportato processi di democratizzazione politica, l’indebolimento della sovranità nazionale, e avrebbe infine portato all’istituzione di un sistema planetario – un governo mondiale. Non era una questione di lotta ideologica, ma di tempo.
Fu in questo contesto che i globalisti fecero ulteriori passi per portare avanti il loro programma di base di abolizione di tutte le forme residue di identità collettiva. Questo ha comportato in primo luogo la politica di genere e l’intensificazione dei flussi migratori destinati a erodere definitivamente l’identità culturale delle stesse società occidentali – europee e americane. Così, la globalizzazione assestava il suo colpo più forte a se stessa.
In questo contesto, un “nemico interno” ha cominciato ad emergere nell’Occidente stesso. Stiamo parlando di tutte quelle forze che mal sopportavano la distruzione dell’identità sessuale, la demolizione dei resti della tradizione culturale (attraverso le migrazioni) e l’indebolimento della classe media. Anche gli orizzonti postumanisti dell’imminente Singolarità e la sostituzione degli umani con l’Intelligenza Artificiale sono risultati sempre più preoccupanti. E sul piano filosofico, non tutti gli intellettuali hanno accolto le conclusioni paradossali della Postmodernità e del realismo speculativo.
Inoltre, è emersa una chiara contraddizione tra le masse occidentali, che vivono nel contesto delle vecchie norme della Modernità, e le élite globaliste, che cercano a tutti i costi di accelerare il progresso sociale, culturale e tecnologico come inteso nell’ottica liberale. Così, un nuovo dualismo ideologico ha cominciato a prendere forma, questa volta all’interno dell’Occidente anziché all’esterno. I nemici della “società aperta” sono ora apparsi all’interno della stessa civilizzazione occidentale. Si è trattato di coloro che rifiutano gli obiettivi ultimi del liberalismo e non accettano le politiche di genere, le migrazioni di massa, o l’abolizione degli Stati nazionali e della sovranità.
Allo stesso tempo, tuttavia, questa crescente resistenza, genericamente indicata come “populismo” (o “populismo di destra”), attingeva alla stessa ideologia liberale – capitalismo e democrazia liberale – ma interpretava questi “valori” e “punti di riferimento” nella vecchia accezione piuttosto che nella nuova.
La libertà è stata concepita qui come la libertà di avere qualsiasi opinione, non solo quelle conformi alle norme della correttezza politica. La democrazia è stata interpretata come governo della maggioranza. La libertà di cambiare genere andrebbe accompagnata alla libertà di rimanere fedeli ai valori della famiglia. La disponibilità ad accettare i migranti che esprimessero il desiderio e dimostrassero la loro capacità di integrarsi nelle società occidentali è stata strettamente differenziata dall’accettazione generalizzata di tutti senza distinzione, accompagnata da continue scuse ai nuovi arrivati per il loro passato coloniale.
Gradualmente, il “nemico interno” dei globalisti ha raggiunto proporzioni importanti e una grande influenza. La vecchia democrazia lanciava una sfida alla nuova.
Trump e la rivolta dei deplorables
Tutto ciò è culminato nella vittoria di Donald Trump nel 2016. Trump ha costruito la sua campagna proprio su questa spaccatura della società americana. La candidata globalista, Hillary Clinton, ha incautamente chiamato i sostenitori di Trump, cioè il “nemico interno”, “deplorables”, cioè “patetici”, “deplorevoli”. I “deplorables” hanno risposto eleggendo Trump.
Così, la frattura all’interno della democrazia liberale è diventata un fatto politico e ideologico cruciale. Coloro che interpretavano la democrazia alla “vecchia maniera” (come dominio della maggioranza) non solo si sono ribellati alla nuova interpretazione (governo della minoranza diretta contro la maggioranza incline a prendere una posizione populista, intrisa di… beh, sì, certo, “fascismo” o “stalinismo”), ma sono riusciti a vincere e a portare il loro candidato alla Casa Bianca.
Trump, da parte sua, ha dichiarato la sua intenzione di “prosciugare la palude”, cioè di eliminare il liberalismo nella sua strategia globalista e di “rendere l’America di nuovo grande”. Notate la parola “di nuovo”. Trump voleva tornare all’era degli Stati-nazione, fare una serie di passi contro la corrente della storia (come la intendevano i liberali). In altre parole, il “buon vecchio ieri” in opposizione al “globalista oggi” e al “post-umanista domani”.
I quattro anni successivi sono stati un vero incubo per i globalisti. I media controllati dai globalisti hanno accusato Trump di ogni possibile nefandezza – compreso il “lavorare per i russi” giacché anche i “russi” persistevano nel loro rifiuto del “brave new world”, sabotando le istituzioni sovranazionali – fino a e incluso il governo mondiale – e impedendo le sfilate dei gay pride.
Tutti gli oppositori della globalizzazione liberale sono stati logicamente raggruppati insieme, comprendendo non solo Putin, Xi Jinping, alcuni leader islamici, ma anche – pensate un po’! – il presidente degli Stati Uniti d’America, il numero uno del “mondo libero”. Per i globalisti questo è stato un disastro. Finché Trump non è stato deposto – attraverso le rivoluzioni colorate, i disordini architettati, i metodi fraudolenti di conteggio dei voti prima utilizzati solo contro altri Paesi e regimi – non potevano sentirsi a loro agio.
Solo dopo aver ripreso le redini della Casa Bianca, i globalisti hanno cominciato a rinsavire. E sono tornati alle… vecchie abitudini. Ma nel loro caso, “vecchio” (ricostruito) voleva dire tornare al “momento unipolare” – all’epoca pre-Trump.
Il trumpismo
Trump ha cavalcato l’onda del populismo nel 2016 come nessun altro leader europeo è riuscito a fare. Egli è diventato così un simbolo dell’opposizione alla globalizzazione liberale. Certo, non stiamo parlando di un’ideologia alternativa, ma semplicemente di una resistenza disperata alle ultime conclusioni derivanti dalla logica e persino dalla metafisica del liberalismo (e del nominalismo). Trump non ha affatto sfidato il capitalismo o la democrazia, ma solo le forme che avevano assunto nella loro ultima fase e la loro graduale e coerente attuazione. Ma anche questo è stato sufficiente a segnare una spaccatura fondamentale nella società americana.
È così che il fenomeno del “trumpismo” ha preso forma, superando per molti versi la dimensione della personalità stessa di Donald Trump. Trump ha giocato sull’onda della protesta anti-globalizzazione. Ma è chiaro che non era e non è una figura ideologica. Eppure, è stato intorno a lui che ha iniziato a formarsi un blocco di opposizione. La conservatrice americana Ann Coulter, autrice del libro In Trump we Trust, ha poi riformulato il suo credo nel “In Trumpism we trust”.
Non è tanto Trump stesso, quanto piuttosto la sua linea di opposizione ai globalisti, ad essere diventata il nucleo del trumpismo. Nel suo ruolo di presidente, Trump non è stato sempre all’altezza del suo articolato compito. E non è stato in grado di realizzare nulla che fosse anche solo vicino a “prosciugare la palude” e sconfiggere il globalismo. Ma nonostante questo, è diventato un centro di attrazione per tutti coloro che erano consapevoli o semplicemente percepivano il pericolo proveniente dalle élite globaliste e dagli inseparabili rappresentanti di Big Finance e Big Tech.
Così, il nucleo del Trumpismo ha cominciato a prendere forma. L’intellettuale conservatore americano Steve Bannon ha giocato un ruolo importante in questo processo, mobilitando ampi segmenti di giovani e disparati movimenti conservatori a sostegno di Trump. Bannon stesso era ispirato da importanti autori antimodernisti come Julius Evola, e la sua opposizione al globalismo e al liberalismo aveva quindi radici più profonde.
Un ruolo importante nel trumpismo è stato giocato da coerenti paleo-conservatori – isolazionisti e nazionalisti – del calibro di Buchanan, Ron Paul, così come gli aderenti alla filosofia anti-liberale e anti-modernista (quindi, fondamentalmente anti-globalista) come Richard Weaver e Russell Kirk, che erano stati emarginati dai neocon (i globalisti di destra) sin dagli anni Ottanta.
La forza trainante della mobilitazione di massa dei “trumpisti” è stata l’organizzazione in rete QAnon, che ha espresso le sue critiche al liberalismo, ai democratici e ai globalisti sotto forma di teorie del complotto. Hanno diffuso un fiume di accuse e denunciato i globalisti di essere coinvolti in scandali sessuali, pedofilia, corruzione e satanismo.
Essendo poco inclini all’analisi filosofica e ideologica approfondita, i sostenitori di QAnon si sono limitati a formulare intuizioni sulla natura sinistra dell’ideologia liberale – resasi evidente nelle fasi finali della sua trionfante espansione sull’umanità. Parallelamente, QAnon ha esteso la sua influenza, ma allo stesso tempo ha impresso alla critica anti-liberale dei tratti grotteschi.
Sono stati i sostenitori di QAnon, in quanto avanguardia del populismo cospirativo di massa, a guidare le proteste del 6 gennaio, quando i supporter di Trump hanno preso d’assalto il Campidoglio indignati per il furto delle elezioni. Non hanno raggiunto alcun obiettivo, se non dare a Biden e ai democratici un pretesto per demonizzare ulteriormente il “trumpismo” e tutti gli oppositori del globalismo, equiparando qualsiasi conservatore all’“estremismo”. È seguita un’ondata di arresti, e i membri più convinti dei “Nuovi Democratici” hanno proposto che tutti i diritti sociali – compresa la possibilità di acquistare biglietti aerei – andrebbero revocati ai sostenitori di Trump.
Poiché i social media sono regolarmente monitorati dai sostenitori dell’élite liberale, raccogliere informazioni su quasi tutti i cittadini statunitensi e le loro preferenze politiche non è stato un problema. Così, l’arrivo di Biden alla Casa Bianca implica che il liberalismo ha assunto caratteristiche apertamente totalitarie.
D’ora in poi, il trumpismo, il populismo, la difesa dei valori della famiglia, e ogni accenno di conservatorismo o di disaccordo con i principi del liberalismo globalista negli Stati Uniti sarà pressoché equivalente a un crimine – all’odio e al “fascismo”.
Eppure, il trumpismo non è scomparso con la vittoria di Biden. In un modo o nell’altro, ha ancora il consenso di coloro che hanno votato per Donald Trump nelle ultime elezioni – e sono più di 70 milioni di elettori.
È chiaro dunque che il “trumpismo” non finirà affatto con Trump. Metà della popolazione statunitense si è effettivamente trovata in una posizione di opposizione radicale, e i trumpisti più coerenti rappresentano il nucleo dell’underground anti-globalizzazione all’interno della cittadella del globalismo stesso.
Qualcosa di simile sta accadendo nei Paesi europei, dove i movimenti e i partiti populisti sono sempre più consapevoli di essere dissidenti privati di ogni diritto e soggetti a persecuzione ideologica sotto l’apparente dittatura globalista.
Non importa quanto i globalisti che hanno ripreso il potere negli Stati Uniti vogliano presentare i quattro anni precedenti come uno “sfortunato malinteso” e dichiarare la loro vittoria come il definitivo “ritorno alla normalità”, il quadro oggettivo è lontano dagli incantesimi tranquillizzanti della upper class globalista. Non sono solo i Paesi con una diversa identità di civiltà a mobilitarsi contro di essa e contro la sua ideologia, ma questa volta anche metà della sua stessa popolazione, che gradualmente si rende conto della gravità della sua situazione e comincia a cercare un’alternativa ideologica.
Queste sono le circostanze nelle quali Biden è salito a capo degli Stati Uniti. Lo stesso suolo americano sta bruciando sotto i piedi dei globalisti. E questo dà alla “battaglia finale” una dimensione speciale, aggiuntiva. Non è l’Occidente contro l’Oriente, non gli USA e la NATO contro tutti gli altri, ma i liberali contro l’umanità – compreso quel segmento di umanità che si trova sul territorio dell’Occidente stesso, ma che si sta allontanando sempre più dalle proprie élite globaliste. Questo è ciò che definisce le condizioni di partenza di questa battaglia.
Individuum e dividuum
Un altro punto essenziale deve essere chiarito. Abbiamo visto che tutta la storia del liberalismo consiste nella successiva liberazione dell’individuo da ogni forma di identità collettiva. Il punto conclusivo nel processo di questa attuazione logicamente perfetta del nominalismo sarà il passaggio al postumanesimo e la probabile sostituzione dell’umanità con un’altra civilizzazione di macchine, questa volta postumana. Ecco a cosa porta il coerente individualismo, preso come qualcosa di assoluto.
Ma qui la filosofia liberale approda a un paradosso fondamentale. La liberazione dell’individuo dalla sua identità umana, alla quale le politiche di genere lo preparano trasformando consapevolmente e intenzionalmente l’essere umano in un mostro perverso, non può garantire che questo nuovo – progressista! – essere mantenga un carattere individuale.
Inoltre, lo sviluppo delle tecnologie informatiche in rete, l’ingegneria genetica e la stessa ontologia orientata agli oggetti, che rappresenta il culmine del postmodernismo, indicano chiaramente che il “nuovo essere” non sarà tanto un “animale” quanto una “macchina”. È in questa prospettiva che verosimilmente si offriranno prospettive di “immortalità” sotto forma di conservazione artificiale dei ricordi personali (che sono abbastanza facili da simulare).
Così, l’individuo del futuro, come compimento di tutto il programma del liberalismo, sarà incapace di garantire proprio quello che è stato l’obiettivo principale del progresso liberale – cioè la sua individualità. L’essere liberale del futuro, anche in teoria, non è un individuum, qualcosa di “indivisibile”, ma piuttosto un “dividuum”, cioè qualcosa divisibile e composto da parti sostituibili. Tale è la macchina – essa è composta da una combinazione di parti.
Nella fisica teorica, si è passati da tempo dalla teoria degli “atomi” (cioè “unità di materia indivisibile”) alla teoria delle particelle, che sono concepite non come “parti di un tutto” ma come “parti senza un tutto”. Anche l’individuo nel suo insieme si scompone nelle parti che lo compongono, che possono essere riassemblate, ma che possono anche non essere assemblate, bensì utilizzate come biocostruttori. Da qui le figure di mutanti, chimere e mostri che abbondano nella narrativa moderna, popolando le più imaginifiche (e quindi, in un certo senso, anticipatrici e persino pianificate) versioni del futuro.
I postmodernisti e i realisti speculativi hanno già preparato il terreno per tutto ciò, proponendo di sostituire il corpo umano inteso come qualcosa di intero con l’idea di un “parlamento di organi” (B. Latour). In questo modo, l’individuo – anche come unità biologica – diventerebbe qualcosa d’altro, mutando proprio nel momento in cui raggiunge la sua incarnazione assoluta.
Il progresso umano nell’interpretazione liberale finisce inevitabilmente con l’abolizione dell’umanità.
Questo è ciò che sospettano tutti coloro che intraprendono la lotta contro il globalismo e il liberalismo, anche se molto vagamente. Benché QAnon e le loro teorie cospirative anti-liberali distorcano la realtà limitandosi a presentare tratti sospetti e grotteschi che i liberali possono facilmente confutare, la realtà, se descritta in modo sobrio e oggettivo, risulta molto più spaventosa delle sue più allarmanti e mostruose premonizioni.
“Il Grande Reset” è effettivamente un piano per l’eliminazione dell’umanità. Perché questa è precisamente la conclusione a cui la linea del “progresso” liberalmente inteso conduce logicamente: sforzarsi di liberare l’individuo da tutte le forme di identità collettiva non può che non portare alla liberazione dell’individuo da se stesso.
Il Grande Risveglio
Il Grande Risveglio: un grido nella notte
Ci accostiamo adesso ad una tesi che rappresenta il diretto opposto del “Grande Reset”: la tesi del “Grande Risveglio”.
Questo slogan è stato proposto per la prima volta dagli antiglobalisti americani, come il conduttore del canale televisivo alternativo Infowars, Alex Jones, che ha subito la censura globalista e il de-platforming dai social network nella prima fase della presidenza Trump, e gli attivisti di QAnon. È importante che questo avvenga negli Stati Uniti, dove serpeggia una forte tensione tra le élite globaliste e i populisti che hanno avuto un loro uomo alla Presidenza, anche se per soli quattro anni ed irrigidito da ostacoli amministrativi e dai limiti dei propri orizzonti ideologici.
Privi di un solido bagaglio ideologico e filosofico, questi anti-globalisti sono stati tuttavia in grado di cogliere l’essenza dei più importanti processi in corso nel mondo moderno. Il globalismo, il liberalismo e il Grande Reset, in quanto espressioni della determinazione delle élite liberali a portare a termine i loro piani con qualsiasi mezzo – compresa la dittatura vera e propria, la repressione su larga scala e le campagne di totale disinformazione – hanno incontrato una resistenza crescente e sempre più consapevole.
Alex Jones termina i suoi programmi con lo stesso grido di battaglia: “Voi siete la Resistenza!”. In questo caso, Alex Jones stesso o gli attivisti di QAnon non hanno visioni del mondo rigorosamente definite. Da questo punto di vista, sono rappresentativi delle masse, gli stessi “deplorables” così tristemente umiliati da Hillary Clinton. Ciò che si sta risvegliando ora non è un campo di oppositori ideologici del liberalismo, nemici del capitalismo, o avversari ideologici della democrazia. Non sono nemmeno conservatori. Sono solo persone – persone in quanto tali, le più comuni e semplici. Ma... persone che vogliono essere e rimanere umane, disporre e conservare la loro libertà, il loro genere, la loro cultura, e legami vivi e concreti con la loro Patria, con il mondo che li circonda, con il popolo.
Il Grande Risveglio non attiene alle élite e agli intellettuali, ma al popolo, alle masse, alla gente in quanto tale. In questo caso, il risveglio non concerne un’analisi ideologica. Si tratta di una reazione spontanea delle masse, scarsamente competenti sul piano filosofico, che si sono improvvisamente rese conto, come il bestiame davanti al macello, che il loro destino è già stato deciso dai loro governanti e che non c’è più posto per l’essere umano nel futuro.
Il Grande Risveglio è spontaneo, in gran parte inconscio, intuitivo e cieco. Non costituisce affatto uno sbocco di consapevolezza, di deduzione, di analisi storica profonda. Come abbiamo visto nei filmati del Campidoglio, gli attivisti trumpiani e i rappresentanti di QAnon sembrano personaggi dei fumetti o supereroi della Marvel. Il complottismo è una malattia infantile dell’antiglobalismo. Ma, d’altra parte, è l’inizio di un processo storico fondamentale. È così che emerge il polo di opposizione al corso stesso della storia nel suo senso liberale.
Per questo la tesi del Grande Risveglio non deve essere frettolosamente intrisa di dettagli ideologici, sia che si tratti di conservatorismo fondamentale (compreso il conservatorismo religioso), di tradizionalismo, di critica marxista del capitale o di protesta anarchica fine a se stessa. Il Grande Risveglio è qualcosa di più organico, più spontaneo e allo stesso tempo tettonico. È così che l’umanità viene improvvisamente illuminata dalla coscienza della vicinanza alla sua fine imminente.
Ed è per questo che il Grande Risveglio è così importante. Ed è per questo che viene dall’interno degli Stati Uniti, quella civilizzazione dove il crepuscolo del liberalismo è più spinto. È un grido dal centro dell’inferno stesso, da quella zona dove il nero futuro è già in parte giunto.
Il Grande Risveglio è la risposta spontanea delle masse umane al Grande Reset. Naturalmente, si può essere scettici al riguardo. Le élite liberali, soprattutto oggi, controllano tutti i principali processi di civilizzazione. Controllano le finanze del mondo e possono fare qualsiasi cosa con esse, dall’emissione illimitata a qualsiasi manipolazione degli strumenti e delle strutture finanziarie. Nelle loro mani c’è l’intera macchina militare statunitense e la gestione degli alleati della NATO. Biden promette di rafforzare l’influenza di Washington in questa struttura, che negli ultimi anni si era quasi disintegrata.
Quasi tutti i giganti dell’alta tecnologia sono subordinati ai liberali – computer, iPhone, server, telefoni e reti sociali sono strettamente controllati da pochi monopolisti che sono membri del club globalista. Questo significa che il Big Data, cioè l’intero corpo di informazioni su praticamente tutta la popolazione della terra, ha un proprietario e un padrone.
Tecnologia, centri scientifici, formazione, cultura, media, medicina e servizi sociali globali sono completamente nelle loro mani.
I liberali nei governi e nei circoli di potere sono membri organici di queste reti planetarie aventi tutte la stessa sede.
I servizi segreti dei Paesi occidentali e i loro agenti in altri regimi lavorano – reclutati o corrotti, costretti a collaborare o come volontari – per i globalisti.
Ci si chiede: come possono in questa situazione i sostenitori del “Grande Risveglio” ribellarsi al globalismo? Come – senza disporre di particolari risorse – possono affrontare efficacemente l’élite globale? Quali armi usare? Quale strategia seguire? E, inoltre, su quale ideologia fare affidamento? – perché i liberali e i globalisti di tutto il mondo sono uniti e hanno un’idea comune, un obiettivo comune e una linea comune, mentre i loro avversari sono eterogenei non solo in società diverse, ma anche all’interno di una stessa società.
Naturalmente, queste contraddizioni nei ranghi dell’opposizione sono ulteriormente esacerbate dalle élite al potere, che sono abituate a dividere per dominare. Musulmani contro cristiani, sinistra contro destra, europei contro russi o cinesi, ecc.
Ma il Grande Risveglio sta avvenendo non a causa, bensì a dispetto di tutto questo. L’umanità stessa, l’uomo come eidos, l’uomo come comune, l’uomo come identità collettiva, e in tutte le sue forme, organica e artificiale, storica e innovativa, orientale e occidentale, si sta ribellando ai liberali.
Il Grande Risveglio è solo l’inizio. Non è ancora cominciato. Ma il fatto che abbia un nome, e che questo nome sia apparso proprio nell’epicentro delle trasformazioni ideologiche e storiche, negli Stati Uniti, sullo sfondo della drammatica sconfitta di Trump, della disperata presa del Campidoglio, e della crescente ondata di repressione liberale, poiché i globalisti non nascondono più la natura totalitaria della loro teoria e della loro pratica, è di grande (forse cruciale) importanza.
Il Grande Risveglio contro il “Grande Reset” è la rivolta dell’umanità contro le élite liberali al potere. Inoltre, è la ribellione dell’uomo contro il suo nemico secolare, il nemico della stessa razza umana.
Se c’è chi proclama il “Grande Risveglio”, per quanto ingenue possano sembrare le sue formule, questo significa già che non tutto è perduto, che un nocciolo di Resistenza sta maturando nelle masse, che queste cominciano a mobilitarsi. Da questo momento inizia la storia di una rivolta mondiale, una rivolta contro il Grande Reset e i suoi adepti.
Il Grande Risveglio è un lampo di coscienza alle soglie della Singolarità. È l’ultima opportunità di prendere una decisione alternativa in merito al contenuto e alla direzione del futuro. La completa sostituzione degli esseri umani con nuove entità, nuove divinità, non può essere semplicemente imposta con la forza dall’alto. Le élite devono sedurre l’umanità, ottenere da essa un certo consenso, benché vago. Il Grande Risveglio richiede un deciso “No”!
Questa non è però la fine della guerra, nemmeno la guerra stessa. Essa anzi non è ancora iniziata. Ma è la possibilità di un tale inizio. Un nuovo inizio nella storia dell’uomo.
Come abbiamo visto, negli stessi Stati Uniti, gli oppositori del liberalismo – sia Trump che i trumpisti – sono pronti a rifiutare l’ultima fase della democrazia liberale, ma non pensano nemmeno a una critica completa del capitalismo. Difendono l’ieri e l’oggi contro un domani incombente e minaccioso. Ma non possiedono un orizzonte ideologico compiuto. Cercano di salvare lo stadio precedente della stessa democrazia liberale, lo stesso capitalismo, dai suoi stadi più tardivi e avanzati. E questo contiene di per sé una contraddizione.
Anche la sinistra contemporanea ha dei limiti nella sua critica al capitalismo, sia perché condivide una concezione materialista della storia (Marx condivideva la necessità del capitalismo mondiale, che sperava sarebbe stato poi superato dal proletariato mondiale), sia perché i movimenti socialista e comunista sono stati recentemente occupati dai liberali e riorientati dalla guerra di classe contro il capitalismo alla protezione dei migranti, delle minoranze sessuali e alla lotta contro “fascisti” immaginari.
La destra, per contro, è confinata nei suoi Stati-nazione e nelle sue culture, non vedendo che i popoli di altre civiltà sono nella stessa disperata situazione. Le nazioni borghesi emerse all’alba dell’era moderna rappresentano un vestigio della civilizzazione borghese. Questa civilizzazione oggi sta distruggendo e abolendo ciò che essa stessa ha creato solo ieri, utilizzando nel frattempo tutte le limitazioni dell’identità nazionale per mantenere l’umanità in uno stato frammentato e conflittuale dal confronto che impedisce di affrontare i globalisti.
Dunque, esiste il Grande Risveglio, ma non ha ancora una base ideologica. Se è veramente storico, e non un fenomeno effimero e puramente periferico, allora ha semplicemente bisogno di un fondamento – uno che vada oltre le ideologie politiche esistenti che sono emerse in epoca moderna nello stesso Occidente. Rivolgersi a una qualsiasi di esse significherebbe automaticamente ritrovarsi nella prigionia ideologica della formazione del capitale.
Così, nel cercare una piattaforma per il Grande Risveglio che è scoppiato negli Stati Uniti, dobbiamo guardare oltre la società americana e la piuttosto breve storia americana e guardare ad altre civiltà, soprattutto alle ideologie non liberali della stessa Europa, per trovare ispirazione. Ma anche questo non basta, perché parallelamente alla decostruzione del liberalismo, dobbiamo trovare appoggio nelle diverse civiltà dell’umanità, tutt’altro che esaurite dall’Occidente da cui proviene la principale minaccia e dove – a Davos, in Svizzera! – è stato proclamato il “Grande Reset”.
L’Internazionale delle Nazioni contro l’Internazionale delle Elites
Il “Grande Reset” vuole rendere il mondo nuovamente unipolare per poi orientarsi verso una non-polarità globalista, dove le élite diventeranno completamente internazionali e la loro residenza sarà dispersa in tutto lo spazio del pianeta. Questo è il motivo per cui il globalismo comporta la fine degli stessi Stati Uniti come Paese, come Stato, come società. Questo è ciò che i trumpisti e i sostenitori del Grande Risveglio percepiscono, a volte intuitivamente. Biden rappresenta una condanna per gli Stati Uniti. E poi per tutti gli altri.
Di conseguenza, per la salvezza delle persone, dei popoli e delle società, il Grande Risveglio deve prendere avvio dal concetto di multipolarismo. Non si tratta solo della salvezza dell’Occidente in sé, e nemmeno della salvezza di tutti gli altri dall’Occidente, ma della salvezza dell’umanità, occidentale e non occidentale, dalla dittatura totalitaria delle élite capitaliste liberali. E questo non può essere fatto solo dai popoli dell’Ovest o dai popoli dell’Est. Qui è necessario agire insieme. Il Grande Risveglio richiede un’internazionalizzazione della lotta dei popoli contro l’internazionalizzazione delle élite.
Il multipolarismo è il punto di riferimento più importante e la chiave della strategia del Grande Risveglio. Solo facendo appello a tutte le nazioni, culture e civiltà dell’umanità possiamo raccogliere forze sufficienti per opporci efficacemente al “Grande Reset” e all’orientamento verso la Singolarità.
Ma in questo caso l’intero quadro dell’inevitabile scontro finale risulta essere molto meno disperato. Se diamo uno sguardo a tutto ciò che potrebbero diventare i poli del Grande Risveglio, la situazione si presenta sotto una luce un po’ diversa. L’Internazionale dei Popoli, una volta che cominciamo a pensare in queste categorie, non risulta essere né un’utopia né un’astrazione. Inoltre, possiamo già vedere facilmente un enorme potenziale e come questo possa essere sfruttato nella lotta contro il “Grande Reset”.
Elenchiamo brevemente le risorse su cui il Grande Risveglio può contare su scala globale.
La guerra civile americana: la scelta del nostro campo
Negli Stati Uniti, abbiamo un appiglio nel trumpismo. Anche se Trump stesso ha perso, questo non significa che lui stesso si sia lavato le mani, rassegnato a una vittoria rubata, e che i suoi sostenitori – 70milioni di americani – si siano calmati e abbiano dato per scontata la dittatura liberale. Non è così. Da adesso in poi, un potente movimento sotterraneo antiglobalista sarà presente negli stessi Stati Uniti, numeroso (metà della popolazione!), amareggiato e spinto a disprezzare il totalitarismo liberale. La distopia di 1984 di Orwell non è stata incarnata da un regime comunista o fascista, ma si è inverata oggi in un regime liberale. Ma l’esperienza del comunismo sovietico e persino della Germania nazista mostrano che la resistenza è sempre possibile.
Oggi, gli Stati Uniti sono essenzialmente in uno stato di guerra civile. I liberali-bolscevichi hanno preso il potere, e i loro oppositori sono stati sbattuti all’opposizione e sono sul punto di passare all’illegalità. Un’opposizione di 70milioni di persone è una cosa seria. Certo, sono sparpagliati e possono essere messi in crisi dalle incursioni punitive dei democratici e dalla nuova tecnologia totalitaria dei Big Tech.
Ma è troppo presto per liquidare il popolo americano. Chiaramente, esso ha ancora un certo margine di forza, e metà della popolazione statunitense è pronta a difendere la propria libertà individuale a qualsiasi costo. E oggi la questione è esattamente questa: Biden o la libertà. Naturalmente, i liberali cercheranno di abolire il Secondo Emendamento e di disarmare la popolazione, che sta diventando sempre meno fedele all’élite globalista. È probabile che i democratici cercheranno di abbattere lo stesso sistema bipartitico introducendo un regime essenzialmente monopartitico, secondo lo spirito dell’attuale stato della loro ideologia. Questo è liberal-bolscevismo.
Ma le guerre civili non hanno mai un esito scontato. La storia è aperta, e la vittoria di entrambe le parti è sempre possibile. Soprattutto se l’umanità si rende conto di quanto sia importante l’opposizione americana per la vittoria universale sul globalismo. Non importa cosa pensiamo degli Stati Uniti, di Trump e dei trumpisti, tutti noi dobbiamo semplicemente sostenere il polo americano del Grande Risveglio. Salvare l’America dai globalisti, e quindi contribuire a renderla di nuovo grande, è il nostro comune compito.
Il populismo europeo: superare la destra e la sinistra
L’ondata di populismo anti-liberale non si placa nemmeno in Europa. Anche se il globalista Macron è riuscito a contenere le violente proteste dei “Gilet Gialli” e i liberali italiani e tedeschi hanno isolato e bloccato i partiti di destra e i loro leader dall’andare al potere, questi processi sono inarrestabili. Il populismo esprime lo stesso Grande Risveglio, solo sul suolo europeo e con una specificità europea.
Per questo polo di resistenza, una nuova riflessione ideologica è estremamente importante. Le società europee sono molto più attive ideologicamente di quelle americane, e quindi le tradizioni della politica di destra e di sinistra – e le loro contraddizioni intrinseche – sono molto più sentite.
Sono proprio queste contraddizioni che le élite liberali stanno sfruttando per mantenere il loro dominio nell’Unione Europea.
Il fatto è che l’odio per i liberali in Europa sta crescendo contemporaneamente da due versanti: la sinistra li vede come rappresentanti del grande capitale, sfruttatori che hanno perso ogni decenza, e la destra li vede come provocatori di una migrazione di massa artificiale, distruttori delle ultime vestigia dei valori tradizionali, demolitori della cultura europea e seppellitori della classe media. Allo stesso tempo, per la maggior parte, sia i populisti di destra che quelli di sinistra hanno messo da parte le ideologie tradizionali che non rispondono più alle esigenze storiche, ed esprimono le loro opinioni in forme nuove, talvolta contraddittorie e frammentarie.
Il rifiuto delle ideologie del comunismo ortodosso e del nazionalismo è generalmente positivo; dà ai populisti una nuova base molto più ampia. Ma è anche la loro debolezza.
Tuttavia, la cosa più fatale del populismo europeo non è tanto la sua de-ideologizzazione quanto la persistenza del profondo e reciproco rifiuto tra destra e sinistra che perdura dalle epoche storiche precedenti.
L’emergere di un polo europeo del Grande Risveglio deve comportare la risoluzione di questi due compiti ideologici: il superamento definitivo del confine tra destra e sinistra (cioè l’obbligatorio rifiuto dell’“antifascismo” artificioso di alcuni e dell’“anticomunismo” artificioso di altri) e l’elevazione del populismo come tale – il populismo integrale – a modello ideologico indipendente. Il suo senso e il suo messaggio dovrebbero consistere in una critica radicale del liberalismo e del suo stadio più alto, il globalismo, combinando allo stesso tempo la richiesta di giustizia sociale e la conservazione dell’identità culturale tradizionale.
In questo caso, il populismo europeo acquisirà anzitutto una massa critica che ad oggi è fatalmente mancante, dato che i populisti di destra e di sinistra sprecano tempo e sforzi per regolare i conti tra loro, e, in secondo luogo, diventerà un polo importantissimo del Grande Risveglio.
La Cina e la sua identità collettiva
Gli oppositori del Grande Reset hanno un altro significativo alleato: la Cina contemporanea. Certo, la Cina ha approfittato delle opportunità offerte dalla globalizzazione per rafforzare l’economia della sua società. Ma la Cina non ha accettato lo spirito stesso del globalismo, il liberalismo, l’individualismo e il nominalismo dell’ideologia globalista. La Cina ha preso dall’Occidente solo ciò che l’ha resa più forte, ma ha rifiutato ciò che l’avrebbe resa più debole. Questo è un gioco pericoloso, ma finora la Cina l’ha gestito con successo.
Infatti, la Cina è una società tradizionale con migliaia di anni di storia e un’identità stabile. E chiaramente intende rimanere tale in futuro. Questo è particolarmente chiaro nelle politiche dell’attuale leader cinese, Xi Jinping. Egli è pronto a fare compromessi tattici con l’Occidente, ma è inflessibile nel garantire che la sovranità e l’indipendenza della Cina crescano e si rafforzino.
Che i globalisti e Biden agiscano in solidarietà con la Cina è un mito. Sì, Trump ci ha creduto e Bannon lo ha detto, ma questo è il risultato di un orizzonte geopolitico ristretto e di una profonda incomprensione dell’essenza della civiltà cinese. La Cina seguirà il proprio corso e rafforzerà le strutture multipolari. Di fatto, la Cina è il polo più importante del Grande Risveglio, un aspetto che diventerà chiaro se prendiamo come punto di partenza la necessità di un’internazionalizzazione dei popoli. La Cina è un popolo con una distinta identità collettiva. L’individualismo cinese non esiste affatto, e se esiste, è un’anomalia culturale. La civiltà cinese è il trionfo del clan, del folk, dell’ordine e della struttura su ogni individualità.
Naturalmente, il Grande Risveglio non deve diventare cinese. Non deve essere affatto uniforme – perché ogni nazione, ogni cultura, ogni civiltà ha il proprio spirito e il proprio eidos. L’umanità è diversa. E la sua unità può essere avvertita più acutamente solo quando si confronta con una grave minaccia che incombe su tutti noi. E questo è precisamente ciò che rappresenta il Grande Reset.
L’Islam contro la globalizzazione
Un altro alleato del Grande Risveglio è costituito dai popoli della civiltà islamica. Che il globalismo liberale e l’egemonia occidentale siano radicalmente rifiutati dalla cultura islamica e dalla stessa religione islamica su cui tale cultura si basa è ovvio. Certo, durante il periodo coloniale e sotto il potere e l’influenza economica dell’Occidente, alcuni Stati islamici si sono trovati nell’orbita del capitalismo, ma praticamente in tutti i paesi islamici c’è un rifiuto sostenuto e profondo del liberalismo e specialmente del moderno liberalismo globalista.
Questo si manifesta sia in forme estreme – il fondamentalismo islamico – sia in forme moderate. In alcuni casi, singoli movimenti religiosi o politici si fanno portatori dell’iniziativa antiliberale, mentre in altri casi lo Stato stesso si assume questa missione. In ogni caso, le società islamiche sono ideologicamente preparate per un’opposizione sistematica e attiva alla globalizzazione liberale. I progetti del Grande Reset non contengono nulla, anche teoricamente, che possa piacere ai musulmani. Ecco perché l’intero mondo islamico nel suo insieme rappresenta un enorme polo del Grande Risveglio.
Tra i paesi islamici, l’Iran sciita e la Turchia sunnita sono i più ostili alla strategia globalista. Va detto che, se la motivazione principale che guida l’Iran è l’idea religiosa dell’avvicinarsi della fine del mondo e dell’ultima battaglia, dove il nemico principale – Dajjal – è chiaramente riconosciuto come l’Occidente, il liberalismo e il globalismo, la Turchia è guidata più da considerazioni pragmatiche, dal desiderio di rafforzare e preservare la sua sovranità nazionale e garantire l’influenza turca in Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale.
La politica di Erdogan di graduale allontanamento dalla NATO combina la tradizione nazionale di Kemal Ataturk con il desiderio di giocare il ruolo di leader dei musulmani sunniti, ma entrambi sono realizzabili solo in opposizione alla globalizzazione liberale, che prevede la completa secolarizzazione delle società. l’indebolimento (e, al limite, l’abolizione) degli Stati nazionali, e nel frattempo la concessione dell’autonomia politica a gruppi etnici minoritari, una mossa che sarebbe devastante per la Turchia a causa del grande e piuttosto attivo fattore curdo.
Il Pakistan sunnita, che esprime un’altra forma di combinazione tra politiche nazionali e islamiche, si sta gradualmente distaccando dagli Stati Uniti e dall’Occidente.
Anche se i Paesi del Golfo sono più dipendenti dall’Occidente, uno sguardo più attento all’Islam arabo, e ancor più all’Egitto, che è un altro Stato importante e indipendente nel mondo islamico, rivela sistemi sociali che non hanno nulla a che fare con l’agenda globalista e sono naturalmente predisposti a schierarsi con il Grande Risveglio.
Quest’ultimo viene ostacolato solo dalle contraddizioni tra gli stessi musulmani – non solo tra sciiti e sunniti, ma anche conflitti regionali tra gli stessi singoli Stati sunniti –, abilmente esacerbate dall’Occidente e dai centri di controllo globalisti.
Il contesto del Grande Risveglio potrebbe diventare anche una piattaforma ideologica per l’unificazione del mondo islamico nel suo complesso, poiché l’opposizione al “Grande Reset” è un imperativo incondizionato per pressoché tutti i Paesi islamici. Questo è ciò che rende possibile assumere la strategia dei globalisti e l’opposizione ad essa come denominatore comune. La consapevolezza della portata del Grande Risveglio permetterebbe, entro certi limiti, di smorzare le contraddizioni locali contribuendo alla formazione di un altro polo della resistenza globale.
La missione della Russia: essere in prima linea nel Grande Risveglio
Infine, il polo più importante del Grande Risveglio è costituito dalla Russia. Nonostante il fatto che la Russia si sia in parte lasciata contagiare dalla civilizzazione occidentale, attraverso la cultura illuminista durante il periodo zarista, sotto i bolscevichi, e soprattutto dopo il 1991, in ogni fase – nell’antichità come nel presente – l’identità profonda della società russa è rimasta profondamente diffidente verso l’Occidente, specialmente verso il liberalismo e la globalizzazione. Il nominalismo è profondamente estraneo al popolo russo nelle sue stesse fondamenta.
L’identità russa ha sempre dato la priorità al comune – il clan, il folk, il popolo, la Chiesa, la tradizione, la nazione e l’autorità, e persino il comunismo ha rappresentato – sebbene in senso artificiale, in termini di classe – un’identità collettiva opposta all’individualismo borghese. I russi hanno ostinatamente rifiutato e continuano a rifiutare il nominalismo in tutte le sue forme. E questa è una piattaforma comune sia al periodo zarista che a quello sovietico.
Dopo il fallito tentativo di integrazione nella comunità globale negli anni Novanta, grazie al fallimento delle riforme liberali, la società russa si è ancora più convinta di quanto il globalismo e gli atteggiamenti e princìpi individualistici siano estranei ai russi. Questo è ciò che determina il sostegno generale al corso conservatore e sovranista di Putin. I russi rifiutano il “Grande Reset” sia da destra che da sinistra – e questo, insieme alle tradizioni storiche, all’identità collettiva e alla percezione della sovranità e della libertà statuale come il valore più alto, non è una caratteristica momentanea, ma di lungo periodo, che giace alle fondamenta della civiltà russa.
Il rifiuto del liberalismo e della globalizzazione si è particolarmente accentuato negli ultimi anni, poiché il liberalismo stesso ha rivelato le sue caratteristiche profondamente repulsive alla coscienza russa. Questo ha giustificato una certa simpatia dei russi per Trump e un parallelo profondo disgusto per i suoi avversari liberali.
Da parte di Biden, l’atteggiamento verso la Russia è abbastanza simmetrico. Lui e le élite globaliste in generale vedono la Russia come il principale avversario di civiltà, che rifiuta ostinatamente di accettare il vettore del progressismo liberale e difende ferocemente la sua sovranità politica e la sua identità.
Naturalmente, anche la Russia di oggi non dispone di un’ideologia compiuta e coerente che possa rappresentare una seria minaccia al Grande Reset. Inoltre, le élite liberali radicate al vertice della società sono ancora forti e influenti in Russia, e le idee, le teorie e i metodi liberali dominano ancora l’economia, l’istruzione, la cultura e la scienza. Tutto questo indebolisce il potenziale della Russia, disorienta la società e pone le basi per crescenti contraddizioni interne. Ma, nel complesso, la Russia è il più importante – se non il principale! – polo del Grande Risveglio.
Questo è esattamente ciò a cui tutta la storia russa ha condotto, esprimendo la intrinseca convinzione che i russi stanno affrontando qualcosa di grande e decisivo nella drammatica situazione della Fine dei Tempi, la fine della storia. Ma è proprio questa fine, nella sua versione peggiore, che il progetto del Grande Reset implica. La vittoria del globalismo, del nominalismo e l’avvento della Singolarità significherebbe il fallimento della missione storica russa, non solo nel futuro ma anche nel passato. Dopo tutto, il senso della storia russa è stato diretto proprio verso il futuro, e il passato è stato solo una preparazione per esso.
E in questo futuro, che si sta vieppiù avvicinando, il ruolo della Russia non è solo quello di prendere parte attiva al Grande Risveglio, ma anche di stare in prima linea, proclamando l’imperativo dell’Internazionale dei Popoli nella lotta contro il liberalismo, la piaga del XXI secolo.
Il risveglio della Russia: un rinascimento imperiale
Cosa significa per la Russia in tali circostanze “risvegliarsi”? Significa ripristinare pienamente la scala storica, geopolitica e di civiltà della Russia, diventando un polo del nuovo mondo multipolare.
La Russia non è mai stata “solo un paese”, tanto meno “solo uno tra gli altri paesi europei”. Nonostante tutta l’unità delle nostre radici con l’Europa, che risale alla cultura greco-romana, la Russia in tutte le fasi della sua storia ha seguito un suo percorso particolare. Questo ha avuto un impatto anche sulla nostra scelta ferma e incrollabile dell’Ortodossia e in generale del bizantinismo, che ha determinato in gran parte il nostro allontanamento dall’Europa occidentale, che ha scelto il Cattolicesimo e poi il Protestantesimo. Nell’epoca moderna, questo stesso fattore di profonda sfiducia nell’Occidente si è riflesso nel fatto che non siamo stati così intaccati dallo spirito stesso della Modernità insito nel nominalismo, nell’individualismo e nel liberalismo. E anche quando abbiamo mutuato alcune dottrine e ideologie dall’Occidente, queste erano spesso critiche, cioè contenevano in sé il rifiuto del principale paradigma di sviluppo – liberalcapitalistico – della civiltà europea occidentale, che pure era così prossima a noi.
L’identità della Russia è stata anche molto influenzata dal vettore orientale – turanico. Come hanno dimostrato i filosofi eurasiatisti, tra cui il grande storico russo Lev Gumilev, la statualità mongola di Gengis Khan ha rappresentato per la Russia un’importante esperienza di organizzazione centralizzata di tipo imperiale, che ha largamente predeterminato la nostra ascesa come Grande Potenza dal XV secolo, quando l’Orda d’Oro crollò e la Russia moscovita si insediò nello spazio dell’Eurasia nordorientale. Questa continuità con la geopolitica dell’Orda ha naturalmente portato alla potente espansione delle epoche successive. Ad ogni svolta, la Russia ha difeso e affermato non solo i suoi interessi, ma anche i suoi valori.
Così, la Russia si è rivelata essere l’erede di due imperi che sono crollati all’incirca nello stesso momento, nel XV secolo: l’impero bizantino e quello mongolo. L’impero è diventato il nostro destino. Anche nel XX secolo, con tutto il radicalismo delle riforme bolsceviche, la Russia è rimasta un impero contro ogni previsione, questa volta sotto le spoglie dell’impero sovietico.
Ciò significa che la nostra rinascita è inconcepibile senza il ritorno alla missione imperiale, sancita nel nostro destino storico.
Questa missione è diametralmente opposta al progetto globalista del “Grande Reset”. Ed è naturale aspettarsi che nel loro slancio decisivo i globalisti faranno tutto ciò che è in loro potere per impedire un Rinascimento Imperiale in Russia. Proprio di questo abbiamo bisogno: di un Rinascimento Imperiale. Non per imporre la nostra verità russa e ortodossa agli altri popoli, culture e civiltà, ma per far rivivere, fortificare e difendere la nostra identità e per aiutare gli altri nel loro rinascimento, a fortificare e difendere la loro (per quanto è in nostro potere). La Russia non è l’unico bersaglio del “Grande Reset”, anche se per molti versi il nostro Paese è il principale ostacolo all’esecuzione dei loro piani. Ma questa è la nostra missione – essere il “Katéchon”, “colui che trattiene”, impedendo l’arrivo del Male finale nel mondo.
Tuttavia, agli occhi dei globalisti, anche le altre civiltà, culture e società tradizionali sono da sottoporre a smantellamento, riformattazione e trasformazione in una massa cosmopolita globale indifferenziata, e nel prossimo futuro da sostituire con nuove – postumane – forme di vita, organismi, meccanismi o loro ibridi. Pertanto, il risveglio imperiale della Russia è destinato ad essere un simbolo della rivolta universale dei popoli e delle culture contro le élite liberali globaliste. Attraverso la rinascita come impero, come impero ortodosso, la Russia sarà un esempio per gli altri imperi – quello cinese, turco, persiano, arabo, indiano, così come quello latinoamericano, africano… e quello europeo. Invece del dominio di un unico “Impero” globalista del Grande Reset, il risveglio russo dovrebbe coincidere con l’inizio di un’era caratterizzata da molteplici Imperi, che riflettono e incarnano la ricchezza delle umane culture, tradizioni, religioni e sistemi valoriali.
Verso la vittoria del Grande Risveglio
Se aggiungiamo il trumpismo statunitense, il populismo europeo (sia di destra che di sinistra), la Cina, il mondo islamico e la Russia, e prevediamo che a un certo punto anche la grande civiltà indiana, l’America Latina e l’Africa, che sta entrando in un altro ciclo di decolonizzazione, e tutti i popoli e le culture dell’umanità in generale possano unirsi a questo campo, non abbiamo semplici pedine marginali, sparse e confuse che cercano di opporsi alle potenti élite liberali che stanno portando l’umanità al massacro finale, ma un vero e proprio fronte che comprende attori di varie scale, dalle grandi potenze con economie planetarie e armi nucleari alle influenti e numerose forze e correnti politiche, religiose e sociali.
Il potere dei globalisti, dopo tutto, si basa su insinuazioni e “miracoli neri”. Essi dominano non sulla base di un potere reale, ma su illusioni, simulacri e immagini artificiali, che cercano maniacalmente di instillare nelle menti degli uomini.
Del resto, il Grande Reset è stato proclamato da un pugno di vecchi globalisti degeneri e ansimanti sull’orlo della demenza (come lo stesso Biden, l’avvizzita canaglia Soros, o il grasso borghese Schwab) e da una marmaglia marginale e pervertita selezionata per illustrare le fulminee opportunità di carriera per tutti i “deplorables”. Naturalmente, hanno le borse e la stampa, i truffatori di Wall Street e i drogati inventori della Silicon Valley che lavorano per loro. I disciplinati agenti dell’intelligence e gli obbedienti generali dell’esercito sono subordinati a loro. Ma questo è trascurabile rispetto a tutta l’umanità, agli uomini di lavoro e di pensiero, alla profondità delle istituzioni religiose e alla ricchezza fondamentale delle culture.
Il Grande Risveglio sta ad indicare che abbiamo carpito l’essenza di quella strategia fatale, assassina e suicida del “progresso” come la intendono le élite liberali globaliste. E se la comprendiamo, allora siamo capaci di spiegarla agli altri. I risvegliati possono e devono risvegliare tutti gli altri. E se riusciamo in questo, non solo il “Grande Reset” fallirà, ma un giusto verdetto sarà emesso su coloro che hanno fatto della distruzione dell’umanità, prima nello spirito e ora nel corpo, il loro scopo.