Gli interessi e i valori della Russia dopo il conflitto georgiano


Gli interessi e i valori della Russia dopo il conflitto georgiano

Rinnovo del dibattito

Dopo gli eventi che di Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia del sud, e il conflitto Russo-Georgiano si è levata, all’interno della stampa occidentale, una nuova ondata di discussioni concernente gli interessi ed i valori. La propaganda essenzialmente si è comportata secondo le leggi della guerra, lasciandosi andare ad ogni sorta di esternazioni pur di diffamare la Russia e demonizzare il suo comportamento in Georgia, presentando dall’altro lato, un’immagine di Saakashvili nel ruolo della vittima. Tuttavia, attraverso il flusso della guerra d’informazioni, sono emerse anche alcune questioni legittime. Per esempio sono stati offerti tentativi di analizzare il conflitto osseto-georgiano attraverso raffronti con la situazione in Jugoslavia o l’invasione degli USA in Iraq, che rappresentano una sorta di precedente. E nel contempo, sullo sfondo generale dell’isteria antirussa, si sono fatte sentire le prime voci che hanno sollevato la questione inerente all’equilibrio degli interessi e dei valori. Cogliendo i retroscena della situazione, questo è quanto emerso dal dibattito non appena la tensione della propaganda bellica unitamente alla sua disinformazione e ai suoi stereotipi, improntati sulla denigrazione frontale del nemico, hanno iniziato ad attenuarsi. Posto che sia così, analizzando gli eventi, in che modo la determinazione della Russia ha influenzato in Georgia l’equilibrio degli interessi e dei valori?
 

Gli interessi e le regole

Il dibattito inerente al rapporto fra valori e interessi si è sviluppato sia sulla stampa dell’Europa occidentale che in quella americana del XXI secolo. È unanimemente riconosciuto che le grandi potenze regionali hanno i propri interessi. E non appena questi, come gli interessi del gruppo, dell’azienda o del singolo paese indipendente, si scontrano con gli interessi di altri gruppi e di altri paesi, assumono una caratteristica tale che, per definizione, divengono egoistici. Frequentemente generano conflitti e conducono ad un incremento della tensione. In senso stretto, questa è una peculiarità della psicologia umana, secondo cui ciascuno ambisce ad estendere la propria area di controllo a scapito degli altri. Tutta la questione concerne le modalità di trovare una formula per tutelare giuridicamente i propri interessi, riconoscendo alcune norme comuni in materia. La struttura e il contenuto di queste norme costituiscono la stessa questione di fondo insita nelle relazioni internazionali. La loro funzione, infatti, è quella di regolamentare il conflitto degli interessi. Tuttavia, queste norme non sono arbitrarie ma fissano l’equilibrio reale delle forze, mostrando a tutti gli attori di operare nella prospettiva di mantenimento dello status quo. Dopo il crollo dell’URSS, parallelamente al mutamento e alla distribuzione delle forze, anche le regole hanno cominciato rapidamente a cambiare. Le regole bipolari hanno ceduto, sotto i nostri occhi, il terreno agli artefici del mondo unipolare, ovverosia, il modello di regolamentazione degli interessi conflittuali ha cominciato a scontrarsi di nuovo con le esigenze prioritarie degli USA. In tale situazione, gli interessi degli stessi Stati Uniti hanno cominciato ad identificarsi gradualmente con il “bene pubblico” e con il mantenimento dell’ordine mondiale. Questo spostamento d’equilibrio delle forze ha introdotto un aggiustamento fondamentale nella percezione di ciò che erano ritenuti essere gli interessi legittimi ed illegittimi. L’espressione più evidente di tale questione è stata il neo-conservatorismo americano, che ha identificato gli interessi degli americani con il mondo in generale, concedendo a tutti gli altri protagonisti soltanto la libertà di muoversi nel solco della politica americana e per adattare ad essa i propri interessi. Pertanto all’interno del modello di mondo unipolare, si sono riconosciuti legittimi quegli interessi locali o regionali che, come minimo, non contraddicevano quelli americani. Tuttavia sulla base della legge della forza e in considerazione della vittoria “nella guerra fredda”, di cui sono convinti gli stessi americani ed i loro alleati, tutti gli altri sono stati relegati nell’ambito dell’illegittimità. Se in precedenza, erano stati riconosciuti come legittimi anche gli interessi dell’URSS e dei paesi del patto di Varsavia, per cui allora sarebbe stato possibile contendersi soltanto una “terra di nessuno” del terzo mondo, oppure considerare parzialmente legittima l’azione di non-allineamento di paesi, che riuscivano a destreggiarsi abilmente fra due poli, ora l’intera situazione è mutata completamente e gli USA si sono totalmente appropriati del diritto di sentenza circa la legittimità o l’illegittimità di questi interessi.

Dagli interessi ai valori

Per quanto riguarda i valori, nella stampa europea-occidentale ed americana degli ultimi anni si era imposto sempre più frequentemente un pensiero secondo cui, nel XXI secolo, i valori fossero collegati ad un ambito che doveva prevalere sopra quello degli interessi. Per inciso, sotto l’accezione di “valori” qui erano stati riconosciuti i valori del mondo occidentale, ovverosia: i diritti dell’uomo, la democrazia, il libero mercato, il liberalismo, la sicurezza globale e l’ecologia. E la loro somma dichiarata “universale”. Di conseguenza, li hanno dovuti accettare e condividere tutti i paesi e i popoli, compresi quelli, i cui interessi si sono trovati in conflitto aperto con loro. Secondo quest’approccio si possiedono in comune i valori e si condividono gli interessi. Pertanto, sotto l’egida dei valori comuni, a tutti quelli che vi si attengono, è stato fatta l’offerta di rinunciare agli interessi, politici, economici, strategici, geopolitici. Il valore incondizionato della vita umana, l’evoluzione sociale, la libertà e democrazia, la sacralità della proprietà privata ecc., devono promuovere la competizione nella sfera degli interessi sotto nuove forme allorquando risultano inammissibili molti metodi, con cui nel corso dei secoli della storia, i vari stati hanno rivendicato i propri interessi. In primo luogo, per quanto riguarda la limitazione delle tecniche militari e di altre forme di violenza.

Gli USA hanno dichiarato i loro interessi valori universali

Tuttavia è risultato che, quasi all’istante, questa proposta compiacente a tutti di attenersi in primo luogo ai valori, e conseguentemente anche agli interessi, abbia suscitato in molti scetticismo. Si è cominciato a comprendere, che persuadendo tutti ad una fedeltà precisa verso i valori, l’arbitro principale del mondo unipolare, ovvero gli USA, ha esercitato i propri interessi in maniera del tutto cinica. Il risultato è stato quello che gli americani, non solo hanno fatto i propri interessi nazionali, come gli unici autenticamente legittimi, ma li hanno altresì dichiarati il parametro universale del loro sistema dei valori. In altre parole, prima di tutto, sono stati chiamati valori americani e gli interessi degli USA sono stati assurti alla stregua di legge generale dell’umanità.

Quest’identificazione ha annichilito tutto il pathos morale insito nella discussione circa il trionfo dei valori al di sopra degli interessi, poiché gli stessi americani, non hanno mai dimostrato nemmeno una volta di agire sulla base di questi presupposti. Sarebbero stati coerenti con questo ragionamento se avessero posto “i valori” al di sopra dei propri interessi. Al contrario, hanno continuato a comportarsi egoisticamente e cinicamente, come ad esempio, rifiutando la sottoscrizione del protocollo di Kyoto e di altri documenti sull’ecologia.

Anziché semplicemente dire che l’America ambiva a controllare le risorse naturali nel Medio Oriente e quindi, in base alla posizione strategica, avrebbe occupato l’Iraq, – come sarebbe dovuto essere nel XIX secolo, in cui tutti hanno impostato il proprio pensiero secondo le categorie degli interessi e non quelle dei valori, Washington dichiara tutt’altro. In conformità ad un criterio di valore, ufficialmente gli americani definiscono la cinica e ingiustificata invasione non appartenente alle categorie della legalità o della logica, bensì come “promozione della democrazia” e punizione del “regime terrorista di Saddam Hussein”. Anche prima degli eventi di Tskhinvali si stava delineando la seguente circostanza: gli americani avevano invitato tutti a seguire “i valori universali” e a rinunciare ai propri interessi, ma essi stessi non solo non li seguono, ma al contrario, elevano i propri egoistici interessi nazionali al rango dei valori supremi. Questo paradosso è stato notato quasi immediatamente e molti, cui la qualità del buon senso non è venuta meno, hanno cominciato criticare questa posizione. Inclusi gli europei, i quali hanno replicato agli americani, che di fronte all’occorrenza di attenersi a valori comuni, vi era la necessità unanime di seguirli, rinunciando agli interessi. Ciò è evidente dall’esempio della sfera ecologica, ovvero relativamente agli accordi di Kyoto.

I valori occidentali non sono universali, presso altre nazioni sono in vigore valori diversi

Tuttavia s’impone una considerazione supplementare. In senso stretto, l’umanità ha davvero accolto i valori della libertà e della democrazia, dei diritti dell’uomo, dell’economia di mercato, del progresso sociale e dello sviluppo tecnologico come universali? Questa è la questione fondamentale, che praticamente non viene mai formulata dalla stampa occidentale. Dopotutto, se guardiamo al numero delle persone, che oggi vivono sul pianeta, la stragrande maggioranza di esse aderisce a valori completamente differenti. Il mercato e la democrazia, per esempio, non traspaiono dalla storia politica e sociale della società indù, in cui finora vige il sistema delle caste. E tale società conta un miliardo di persone. Non sono nemmeno completamente caratteristici della tradizione cinese, sebbene anche in Cina viva un miliardo di persone. Esistono anche un miliardo di musulmani che possiedono un punto di vista assolutamente proprio circa cosa considerare come il più alto valore (che nella fattispecie, più importante di tutti saranno la pietà e il rispetto delle prescrizioni religiose e quindi tutto il resto).

Lo stesso si potrebbe dire dei popoli dell'Africa, di quelli dell’Oriente nel suo insieme e, potremmo anche includere la Russia, poiché l’accezione che l’Occidente attribuisce ai valori del mercato, della democrazia liberale e del progresso sociale, all’interno della storia e della società russa, non è un qualcosa di scontato. Infatti, nella stragrande maggioranza delle fasi storiche (sia prima della rivoluzione che dopo di essa) i russi hanno aderito a orientamenti di valore completamente differenti.

Valori, che sono sembrati “comprensibili” all’europeo o all’americano contemporaneo ma per il cinese, l’indù o il russo contemporaneo non sono completamente gli stessi. Potranno essere gradevoli o deprecabili, ma la cosa principale è che: non sono universali. Niente nella storia della maggior parte dell’umanità, ad eccezione dell’esperienza nei paesi occidentali, attesta il fatto che questi valori si siano sviluppati indipendentemente dappertutto, ma piuttosto non siano stati imposti in modo coloniale, praticamente attraverso la forza.

La Russia non è un paese europeo, bensì una civiltà eurasiatica

Esistono due sovrapposizioni: una storica e una semantica. Dal punto di vista dei valori universali si tirano in ballo valori dell’Europa occidentale, mentre da quello della loro difesa gli americani sono guidati dai propri interessi. Sta di fatto che l’intero dibattito relativo agli interessi ed ai valori ha deliberatamente una carattere propagandistico, scaturente dal tentativo di introdurre nella coscienza dell’umanità due idee assolutamente false. La prima di queste si riferisce al fatto che il sistema occidentale dei valori sia universale ed immutabile. Putin e Medvedev dichiarando che: “La Russia è un paese europeo”, hanno solo dimostrato di essere caduti sotto l’ipnosi del pensiero universalista occidentale. In realtà la Russia non è un paese europeo, ma una civiltà eurasiatica. Inoltre, il tema dei valori, nel suo stadio iniziale apparentemente neutrale, ha portato con sé anche quello di un certo deliberato quanto mascherato razzismo. Non è forse razzismo quando si prende come modello soltanto una certa parte dell’umanità – “avanzata”, “progredita” e “civilizzata” –, mentre tutte le esperienze storiche ed i sistemi sociopolitici restanti sono relegati alla stregua di qualcosa di “imperfetto”, di “arretrato” e di “barbaro”? La seconda sovrapposizione è ancor più cinica. È stato dichiarato, che i valori universali coincidono con gli interessi americani. Rammenterò le fonti in cui si trova questa rivendicazione. Ebbene sono celate nella dottrina di Woodrow Wilson, il presidente degli USA, il quale all’inizio del XX secolo durante la prima guerra mondiale dichiarò missione principale degli USA la diffusione della democrazia al mondo intero. Asserendo che lo stato americano rappresenti il modello ottimale di sviluppo dell’umanità e che pertanto gli USA non semplicemente possono, bensì devono interferire nella politica mondiale per stabilire in essa i propri principî. Così negli anni 20, onde concretizzare quest’idea, fu costituito un “Consiglio sulle relazioni internazionali” (Council on Foreign Relations — CFR) da cui sostanzialmente scaturì l’idea di creare una governance del mondo. Secondo tale principio era necessario affermare il modello americano come l’unico per tutti, in modo di assoggettare gli altri paesi e popoli alla costruzione dell’ideologia americana. L’idea di identificare i valori e gli interessi degli USA con i valori universali possiede una storia lunga e quasi secolare, nel cui corso gli americani sono avanzati senza sosta fino alla creazione della governance del mondo. Ma in definitiva quale è la conseguenza di questo dibattito sui valori? I paesi e i popoli, fra cui annoveriamo la vecchia Europa, i cui interessi interamente non coincidono con quelli americani, devono riconoscere il sistema di valori degli USA e subordinare i loro interessi a questi valori, che nell’essenza convergono con gli interessi americani. Chiamando le cose con il loro nome, ci rimarrà solo l’idea di un’inesorabile colonizzazione tout-court. Questa è la dichiarazione di rettitudine e di universalità da parte di un paese, di un polo, di una superpotenza, allorquando i restanti paesi seguono il suo corso, riconoscendo che esiste soltanto una “via verso la salvezza”, verso lo“ sviluppo”, la “libertà”, ecc.. Mentre quelli che non sono supini ed accondiscendenti, vengono demonizzati ed inclusi nella lista nera dei “nemici dell’umanità”, e talvolta occupati come l’Afghanistan o l’Iraq.

Tskhinvali ha costituito l’epicentro del dibattito sui valori

Tutte le sovrapposizioni ed i paradossi del dibattito sui valori e gli interessi si sono dirompentemente palesati in occasione degli eventi di Tskhinvali. Il leader georgiano Saakashvili ha attaccato la Russia, e proprio la Russia. Sta di fatto che le truppe georgiane hanno sparato sui nostri peace-keeper e perpetrato un genocidio sistematico e programmato nei confronti dei nostri concittadini dell’Ossezia del sud: vecchi, donne e bambini. Nonostante questo fatto, l’Occidente e gli USA hanno finto che non fosse accaduto niente, continuando a difendere a spada tratta Saakashvili, apparentemente “battutosi eroicamente contro l’aggressione russa”. In base a questo schema, Saakashvili, da una parte, è in linea con gli interessi americani, poiché propone di ospitare basi militari americane sul territorio della Georgia, mentre dall’altra, se vogliamo in termini di valori, si atteggia come se fosse “l’elemento portante della democrazia” contro il presunto “regime autoritario russo”. Ed il fatto che il “buon” – dal punto di vista dei valori americani – e del “conveniente” – dal punto di vista degli interessi americani – Saakashvili si comporti in maniera efferata, trucidando pacifici cittadini, e sparando un colpo alla nuca dei peace-keeper feriti, non impedisce agli americani di schierarsi pienamente al suo fianco. Dopodiché dalle modalità in cui la Russia difende la gente dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia dal genocidio, rispondendo duramente e simmetricamente alla sfida militare diretta, riconosce politicamente il loro diritto di creare uno stato proprio. La domanda che qui si pone: come può qualificare questo comportamento della Russia dal punto di vista dei valori e degli interessi? In primo luogo, è assolutamente palese che Mosca, nella sua reazione all’attacco di Tskhinvali, si sia mossa in conformità a valori del tutto universali. Ma la conseguenza è stata che fra noi ed i paesi occidentali, la percezione di questi valori diverga in maniera fondamentale. Chiamando le cose con il proprio nome: la Russia considera il diritto alla vita delle persone il più sacrosanto dei valori e se si sta perpetrando il genocidio di un’intera popolazione proprio dinnanzi ai suoi occhi, essa sarà pur costretta ad intervenire, a maggior ragione quando si tratta di cittadini della Federazione Russa e il conflitto divampa alla periferia dei suoi confini. E ciò, nonostante gli USA e la comunità occidentale non riconoscano come un genocidio l’ingente sterminio degli osseti, e come un crimine il fuoco delle installazioni “Grad” e dell’artiglieria pesante piovuto sulla pacifica città. La Russia lancia una sfida a questa politica dei due pesi e delle due misure. Se il genocidio, non è genocidio, se l’omicidio di civili innocenti non è considerato tale, e se il crimine non è crimine, allora in generale rivendichiamo l’esistenza dei valori universali, dichiarati dalla Russia nell’agosto 2008. Se voi, occidentali, con la vostra morale siete giunti così lontano da ignorare le stesse evidenti cose, allora, ci scuserete, se non cammineremo con voi sulla stessa strada. Ed a tale riguardo, la Russia non è scesa a compromessi circa i propri valori. In Ossezia e in Abkhaziya del sud, per la prima volta, dopo lunghi decenni d’ipnosi filo-occidentale la Russia ha cominciato a comportarsi in base alla propria percezione personale del bene e del male, del possibile e dell’impossibile, dell’ammissibile e dell’inammissibile e del criminale.

E qui ci siamo scontrati con una realtà molto importante. La nostra percezione di quello che è il valore più sacrosanto (come ad esempio, il diritto alla vita per l’individuo e per la nazione), si è rivelato essere in contrasto rispetto al punto di vista antitetico degli USA e dell’Occidente. Infatti, nella fattispecie, trattandosi del diritto alla vita di quelle nazioni orientate verso la Russia e non verso gli USA, questo diritto non ha avuto alcun peso. Motivo per cui il fuoco aperto su Tskhinvali non è stato condannato come crimine.

Abbiamo sostenuto i nostri valori e ciò significa che siamo nel giusto

Pertanto, riguardo alla percezione dei valori, ci siamo dissociati sia dagli USA che dall’Occidente. Questa è una questione fondamentale. Abbiamo reagito adeguatamente all’infrazione di ciò che per noi era evidente di per sé, ovvero il diritto delle persone all’esistenza. E qui siamo stati coerenti come non mai, riconoscendo il diritto all’esistenza non solo degli osseti del sud o degli abkhazi, ma anche degli albanesi, dei croati o dei bosniaci, come dei serbi – non importa che essi vivano in Serbia o nelle enclave di altri stati –. Mosca ha insistito affinché i serbi non debbano subire genocidi da parte degli albanesi e dei croati, ma altresì che gli albanesi kossovari non debbano subirne da parte dei serbi. E la Russia ha condannato le pulizie etniche, perpetrate dai serbi, esattamente come le pulizie etniche dirette contro gli stessi serbi. Noi non abbiamo mai giustificato nessuno a tutti i costi, abbiamo solo voluto la giustizia; per questo nella questione iugoslava, ci siamo opposti agli USA in maniera abbastanza morbida e delicata. Ma gli americani, da parte loro, hanno forzato questo sistema di valori a vantaggio dei loro propri interessi. Quindi, dopo Tskhinvali la Russia si è definitivamente dissociata dall’ipnosi del cosiddetto sistema “universale” di valori. Questa è stata una fase cruciale. Nell’agosto 2008 la Russia è uscita da questo chimerico consensus da parte dell’ipnotica comunità, che condivide i valori “universali” occidentali. In primo luogo proprio perché l’Occidente stesso ha rimarcato con forza che questi valori non possiedono niente di universale, ne ha compromesso le stesse fondamenta. Si tratta di un evento, il cui significato è impossibile valutare nuovamente, poiché è gravido di conseguenze a vari livelli. Per la Russia d’ora in poi non esisterà un unico sistema di valori su scala mondiale. Nella nostra percezione circa cosa sia valore e cosa no, che cosa sia il valore più sacrosanto e quale il più marginale, d’ora in poi ci appoggeremo soltanto su noi stessi. La nostra società riscopre nuovamente il tesoro della tradizione nazionale sia nella sua edizione monarchica che in quella sovietica. I russi, in particolare quelli consapevoli, hanno da sempre capito chiaramente che i valori della nostra società, scaturenti dalla tradizione ortodossa e dalla storia nazionale differiscono significativamente da quelli occidentali. E soltanto nel 1990 si è tentato di inculcarci l’idea illusoria dell’universalità del percorso politico ed economico, del progresso sociale, dello sviluppo tecnologico, come se li potesse garantire solo l’orientamento verso l’Occidente. Ora, dopo Tskhinvali, ci siamo scontrati di persona con il fatto che tutto questo si è rivelato essere una menzogna. Non esiste un sistema comune di valori. Esiste un sistema di valori occidentale, uno americano, uno russo, cinese, iraniano ed indù. Ed essi trattano diversamente le cose più semplici. Come ad esempio, il genocidio di pacifici cittadini. Di conseguenza, in una prospettiva di valore, ogni evento sarà da noi percepito come un caso specifico. D’ora in poi non dovrà esistere più alcuna demagogia circa l’universalità dei valori, né progetti in Russia da parte dei propugnatori del “governo mondiale”, né manifesti propagandistici insistenti sul fatto che l’Occidente rappresenti un punto di riferimento assoluto e privo di alternative sul percorso del nostro sviluppo, oppure che affermino che la “Russia sia un paese europeo”. Se noi fossimo un paese europeo, l’Occidente sarebbe “non-europeo”. Quindi ci dissociamo dal suo diritto di denominarci Europa, giungendo all’assurdità geografica. Molto più semplicemente giungendo ad un’altra conclusione: la Russia è un’originale civiltà eurasiatica. Il nostro sistema di valori è peculiare: al suo interno l’omicidio intensivo di pacifici osseti è considerato un crimine, che assolutamente non tolleriamo. Una volta capita la posizione dei paesi occidentali in relazione alla tragedia di Tskhinvali, ci siamo definitivamente posti la domanda se la Russia fosse o no un paese europeo. Essa non può essere tale, se i paesi europei hanno approvato una risoluzione (consensus) inerente agli eventi in Georgia, dopo averci riconosciuti come “aggressori”, mentre gli artefici del genocidio “vittime non colpevoli”.

Abbiamo sostenuto i nostri interessi, ciò significa che siamo forti

Ora riguardo al secondo aspetto della domanda inerente agli interessi: ha la Russia protetto i propri interessi in Abkhazia e in Ossezia? È necessario dire che certamente lo ha fatto. Non era la cosa primaria né la principale, tuttavia è accaduta. Sì, abbiamo preservato i nostri interessi dinnanzi a chi desiderava affermare i propri a nostro svantaggio. Ovvero, abbiamo agito in maniera irreprensibile in tutti i sensi, difendendo i nostri valori ed i relativi interessi. In una prospettiva di criterio del sistema dei valori, auspichiamo che gli altri protagonisti del processo internazionale comprendano la nostra posizione, affinché riconoscano la politica dei due pesi e delle due misure, adottata dagli americani nel mondo, e non li sostengano più. Per quanto concerne il discorso della salvaguardia dei nostri interessi, questo dovrebbe essere accettato da tutti gli altri come un dato di fatto nonché come prova della nostra forza. Non è necessario legittimare ciò, si dovrebbe semplicemente prenderne atto. D’altra parte abbiamo dimostrato che, mediante quella logica, soltanto gli interessi americani devono essere assurti a valori universali, mentre tutto quello che li contraddice, finisce per essere stigmatizzato come “criminale”. A Tskhinvali abbiamo protetto i nostri valori ed i nostri interessi e ci siamo comportati esattamente come una civiltà indipendente, poiché soltanto una civiltà può elaborare un sistema di valori. In Georgia nell’agosto 2008 non è accaduto soltanto che si tracciasse una linea di demarcazione fra gli USA ed i loro sostenitori sugli interessi, ma la cosa più importante è stato il venire a galla di un conflitto irrisolto a livello dei valori: un conflitto fra noi e loro.

Fine dell’occidentofilia in Russia

Chi sono “quelli”, che si sono trovati dall’altro lato delle barricate? Questi sono coloro che di recente si sono considerati come “elementi portanti dei valori universali”. Se in precedenza avessimo discusso a livello di interessi, dicendo che non intendevamo cedere le nostre posizioni su tali questioni, ora il conflitto con l’Occidente acquisterebbe un carattere completamente differente, più profondo e più qualitativo (che, nonostante ciò, ha dinamicizzato la nostra società e modellato la nostra politica durante l’intera storia nazionale nell’una o nell’altra forma). Ora, in conclusione, sarà lo stesso tempo a dissipare le illusioni riguardo all’universalità dell’Occidente. La situazione è più che propizia, in quanto, a mio avviso, in Georgia gli eventi non si sono ancora conclusi. Questo è soltanto l’inizio di un conflitto fondamentale, che assorbirà le più svariate sfere della vita sociale, politica, economica, culturale e possibilmente anche militare. Quindi, trovandosi tutto in una fase iniziale, al momento, un aspetto per noi estremamente importante è la consapevolezza che: per la Russia l’idea dell’universalità dei valori occidentali è stata sepolta a Tskhinvali. D’ora in poi nelle faccende di politica internazionale con i vari paesi ci comporteremo in maniera del tutto diversa. L’esperienza, che noi abbiamo pagato con il nostro sangue a Tskhinvali, ci apre gli occhi su molti fatti, come l’atteggiamento dell’Occidente nei confronti dell’Iran ed quello nei confronti della Siria, della Corea del Nord, dell’autonomia palestinese e della Cina. Cominciamo ad interpretare molte cose in maniera completamente differente. L’ipnosi conclusasi della “governance mondiale”, non influenza e non suggestiona più i nostri occidentofili, a tutti gli effetti una quinta colonna. Quanto ai difensori dei valori universali, dopo gli eventi di Tskhinvali, non potranno considerarsi più come quelli che sbagliano. Sono degli apostati che verosimilmente hanno compiuto degli errori, avendo tenuto questa posizione su quello che è accaduto, ma ora devono rispondere di ciò. Devono essere considerati fuori legge. Tali individui furono coloro che auspicavano la conquista della Russia da parte di Napoleone o di Hitler. Furono i collaborazionisti, appartenenti all’armata di Vlasov, che passarono dalla parte di Hitler, ma sappiamo che fine hanno fatto. Voglio altresì rammentare il patto Molotov-Ribbentrop, ovvero il patto di non aggressione, allorché ci fu l’illusione di una possibilità di pace fra l’amministrazione sovietica e la Germania nazista. Ma dopo il 22 giugno 1941 queste illusioni si rivelarono essere aleatorie e i germanofili e i sostenitori dell’amicizia fra URSS e Germania non poterono semplicemente esistere. Così anche ai nostri giorni: l’8 agosto 2008, hanno potuto esistere gli occidentofili, ma non più dopo questa data.