Alain De Benoist, Alexandr Dugin, Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica
Schede primarie
Le edizioni Controcorrente di Napoli hanno recentemente dato alle stampe un interessantissimo libro intitolato Eurasia, Vladimir Putin e la grande politica. Coautori, due pezzi da novanta del calibro di Alain De Benoist e Aleksandr Dugin, che in forma d’intervista, la quale a più riprese assume i connotati di un vero e proprio dialogo, esaminano, delucidandole anche al lettore meno esperto, le questioni che ruotano attorno all’idea-forza di “Eurasia”.
L’interesse di queste 142 pagine sta già sinteticamente inscritto nel titolo.
“Eurasia”, per il geopolitico tradizionalista russo, è “una risposta globale ad un problema globale”. Una risposta a suo modo “internazionalista”, anche se le radici del pensiero eurasiatista non possono che trovarsi in Russia.
Per Dugin non vi è dunque alcuna contraddizione tra l’essere russi ed eurasiatisti. Anzi, secondo il punto di vista che egli fa proprio, l’eurasiatismo s’integra alla perfezione, portandola a compimento, con l’anima più profonda del popolo russo, che non è né propriamente “europeo” né esclusivamente “asiatico”.
Dugin, a proposito della Russia, per distinguerla dalle nazioni europee osserva opportunamente che essa non ha mai assunto la forma dello Stato-nazione, perché sentirsi compiutamente russi non ha a che fare con qualsiasi posizione piccolo-nazionalista. Il che ha garantito che la Russia stessa, ieri come oggi, facesse del “pluralismo delle civiltà”, in opposizione al purtroppo celebre “scontro”, un suo irrinunciabile tratto distintivo.
Così non è stato per gli Stati-nazione che, nell’Europa occidentale, si sono formati secondo un processo plurisecolare che ha fatto tabula rasa delle differenze…
Musica per le orecchie di Alain De Benoist, che del paradigma “differenzialista” – aborrito da tutti i cosmopoliti – è forse il massimo esponente nell’ambito del pensiero europeo.
De Benoist trova poi un altro punto d’incontro importante col politologo russo: il concetto d’Impero, al quale il francese, nel 1995, ha dedicato un denso saggio (L’impero interiore, trad. it. 1996). L’Eurasia non può che essere imperiale, poiché non ci si può contrapporre agli Stati Uniti – novella Cartagine – con le deboli risorse (sotto qualsiasi aspetto) di uno Stato-nazione.
Dugin è fermamente convinto, dati storici ed escatologici alla mano, che la Russia, dopo il 1453, sia l’erede della “missione bizantina” (p. 117), la quale aveva incarnato la funzione del katechon, ovvero di “colui che trattiene” lo scatenamento delle forze anticristiche e parodistiche dei “tempi ultimi”.
Per quanto riguarda i confini dell’Eurasia propriamente detta, però, ad Occidente Dugin esclude che ne possano far parte le popolazioni che costituiscono lo zoccolo duro dell’Unione Europea, la quale rappresenta, nel quadro di un mondo multipolare, “un polo geopolitico a sé” che però per estrinsecare tutte le sue potenzialità deve smarcarsi dalle grinfie dell’atlantismo (p. 101); mentre verso l’Europa Orientale – così come tutta la sua “cintura di sicurezza” che arriva fino al Pacifico – la Russia ha un particolare occhio di riguardo, che consiste nell’evitare assolutamente che essa cada sotto un potere ostile ad essa (p. 102).
Vladimir Putin, in questa specifica fase, sebbene non sia un eurasiatista al 100%, secondo Dugin ha progressivamente fatte proprie alcune delle suggestioni principali del pensiero eurasiatista. Certo, resta da fare molto per ‘migliorare’, perché egli ancora indugia in certe illusioni del “libero mercato”, che Dugin vedrebbe volentieri sacrificate a favore di un’economia e di una società più solidarista improntata ai valori della cosiddetta “Rivoluzione Conservatrice” che, guarda caso, ebbe i suoi massimi esponenti in Germania.
Proprio al rapporto tra Russia e Germania, sottoposto dai nemici dell’Eurasia (e dell’Europa) a continue provocazioni, la conversazione tra De Benoist e Dugin dedica alcune pagine chiarificatrici: “L’alleanza russo-tedesca è dal punto di vista eurasiatista un imperativo strategico essenziale” (p. 103). E poiché la Germania rappresenta una sorta di Heartlanddell’Europa, allo scopo di ostacolare le mene dei nemici della pax eurasiatica Dugin si dichiara “un sostenitore convinto dell’Europa” (p. 104).
Certo non di questa Unione Europea, che antepone le ragioni della finanza a quelle dei popoli che la abitano e che si presta docilmente alla provocazione ucraina. Al riguardo della quale, la lettura delle pagg. 92-97 chiarisce le idee più di ore ed ore di fuorvianti “approfondimenti” di trasmissioni e giornali asserviti all’America.
Dugin, che nelle pagg. 114 e seguenti spiega l’importanza speciale della religione nella sua visione eurasiatista (egli stesso aderisce al Cristianesimo Ortodosso nella versione più “moderata” dei Vecchi Credenti), ci parla di un’Ucraina che di fatto non è mai esistita e che naturaliter si spaccherà in due perché due sono le sue inconciliabili componenti. Da una parte gli occidentali, cattolici, vicini ai polacchi (e alle loro “provocazioni”); dall’altra gli orientali, ortodossi, di fatto indistinguibili dai russi. E la Crimea appartiene senza alcun dubbio alla Russia.
Quanto alla “grande politica”, in accordo con l’interlocutore francese, Dugin auspica per qualsiasi entità che intendesse stabilire una sua propria sovranità in uno spazio imperiale una politica improntata a valori “di destra” ed un’economia “di sinistra”. Egli concepisce persino una forma di “democrazia” che tuttavia non può andar disgiunta dal principio di sovranità, pena la trasformazione in una plutocrazia o oligarchia del denaro.
Ma l’Europa sta andando in direzione diametralmente opposta. Quella già intrapresa dagli Stati Uniti d’America, per i quali Dugin vede, in un “mondo multipolare”, un futuro da potenza regionale ridimensionata nello spazio delle Americhe. In fondo – sostiene il pensatore russo – ciascuno ha il diritto di vivere secondo i propri valori, e se quelli dell’America sono quelli del “mercato” e del corrispondente tipo umano, che essi se li coltivino a casa loro senza imporli al mondo intero.
Ma questa, chiosiamo noi, potrebbe anche essere una pia illusione, perché – come c’insegna la storia – non può esistere alcun compromesso tra Roma e Cartagine. Tra il sangue e l’oro.
Sta alla Russia, a questo punto, dimostrarsi all’altezza del grave compito che Dugin, e con lui la corrente di pensiero eurasiatista, pare averle assegnato.