La Rivoluzione Conservatrice Russa

 

La Rivoluzione Conservatrice Russa

 

1   La Russia rivoluzionario-conservatrice

Gli autori che hanno studiato la Rivoluzione Conservatrice tedesca o la Rivoluzione Conservatrice tout court (Armin Mohler, Alain de Benoist, Luc Pauwels, Robert Steuckers, ecc.) hanno sempre sottolineato il ruolo della Russia nel processo del divenire del pensiero conservatore-rivoluzionario (RC) e persino all’origine dell’uso del termine stesso – Juri Samarin, “Revolutsionnij conservatism”. Non è possibile inoltre dubitare della Ost-orientierung  e di una certa russofilia, quasi obbligatoria, di questa corrente intellettuale, dai giovani-conservatori ai nazional-bolscevichi tedeschi, passando per i geopolitici della scuola di Haushofer. In questo senso, le celebri idee radicali di Jean Thiriart su “l’impero euro-sovietico da Vladivostok a Dublino” e i famosi aforismi di Alain de Benoist sulla preferenza per gli elmetti dell’Armata Rossa rispetto ai “berretti verdi” americani, restano nel tradizionale quadro della logica RC più stretta. Ma in questo campo è ancora da venire uno studio serio e sufficientemente documentato per apprezzare tutto il valore intellettuale e geopolitico del pensiero RC degli autori russi stessi. Si tratta di un compito estremamente difficile, in assenza di traduzioni degli scritti dei rappresentanti del pensiero RC russo nelle lingue europee. D’altro canto, questa corrente resta pressoché completamente ignorata nella stessa Russia: i comunisti di ieri consideravano ufficialmente questo movimento come “piccolo-borghese” e “nazionalista”, e i democratici di oggi ritengono trattarsi di “sciovinisti”, patrioti e anti-semiti, se non di “nazisti”. Malgrado tutto, l’interesse per gli autori russi della tendenza RC diviene sempre maggiore in Russia, ed è auspicabile che le loro opere e le loro idee vengano riscoperte e rimeditate dall’intellighenzia russa, che incomincia a ridestarsi da un lungo sonno ideologico. E’ già possibile notare che il processo intellettuale di riscoperta dell’eredità nazionale nello stesso campo cuturale presenta oggi in Russia molteplici tratti conservatori-rivoluzionari, sebbene sovente ciò  si produca in modo spontaneo, inconsapevole, naturale. Si può persino osare affermare che la Russia stessa, nella sua essenza, è per natura conservatrice-rivoluzionaria, apertamente o segretamente a seconda delle circostanze esteriori.

2  I precursori della corrente RC in Russia

a) I massoni russi

 Se si osserva la storia del pensiero russo nel corso degli ultimi secoli, è possibile constatare senza alcun dubbio che i più salienti scrittori, filosofi e pubblicisti hanno mostrato dei tratti rivoluzionario-conservatori.  A partire dai massoni russi della cerchia di Novikov, Schwarz e Lopushin, si registra costantemente nel movimento intellettuale russo il combinarsi di motivi conservatori con motivi rivoluzionari.

Nella seconda metà del XVIII secolo i massoni russi – o rosacrociani russi, come sono più frequentemente denominati – volevano controbilanciare le tendenze puramente laiche ed essenzialmente atee della Corte russa, divenute una sorta di ideologia obbligatoria sotto la zarina Caterina, con indagini tradizionaliste, spirituali e “conservatrici” in senso mistico e teologico. Ma la religiosità e il misticismo dei primi massoni russi avevano come contropartita un certo accento posto sull’elemento della Giustizia sociale e una serie di tratti vagamente socialisti.  Se è possibile parlare di un certo “utopismo” che univa i massoni russi ai loro “fratelli” europei, i primi differivano tuttavia fortemente da questi per tutto ciò che riguardava la coscienza delle radici nazionali, il sentimento vivo dell’identità russa e imperiale. Il loro utopismo era radicato e identitario. Non è un caso che i massoni russi fossero soprattutto legati alle logge-madri tedesche, dove, in contrasto con Francia e Inghilterra, regnava uno spirito nazionalista e imperiale – facciamo astrazione degli Illuminati di Baviera, la cui appartenenza alla Massoneria regolare è stata del resto negata da autori seri e qualificati come René Guénon. Comunque sia, gli scritti di Lopushin e di Novikov sono pieni di allusioni ai valori mistici del popolo e dell’anima russa intesa come realtà spirituale ed enigmatica. Similmente alla massoneria prussiana e protestante coeva, la massoneria russa del XVIII secolo aveva tendenza “cavalleresca” e “medievaleggiante”, il che la distingueva nettamente dalla massoneria francese, razionalista, enciclopedista e “modernista”.

b) gli Slavofili — A. Chomjakov, P. Kirievskij, Aksakov ecc.

Ma i più diretti precursori della RC russa furono gli Slavofili del XIX secolo. Questa corrente – che ha fortemente influenzato l’intera vita intellettuale russa degli ultimi due secoli – non era, come spesso si ritiene, un movimento unicamente conservatore, patriarcale, arcaico e reazionario. Come quasi sempre è accaduto nella storia russa (e anche in tutta la storia del pensiero controrivoluzionario, oserei dire), gli intellettuali più radicali della Destra hanno subìto un’evoluzione verso questa posizione ideologica a partire dal polo opposto, quello del modernismo, del progressismo, della rivoluzione. I primi Slavofili (la cosiddetta prima generazione), come A. Chomjakov, P. Kirievskij, i fratelli Aksakov ecc., sono tutti passati attraverso una fase di attrazione per le idee della Rivoluzione Francese; ma, una volta perdute le illusioni della giovinezza, hanno tutti finito con l’esaltare valori radicalmente anti-rivoluzionari – quello della terra, quello del popolo inteso come unità organica, qualitativa, storica, quello dell’identità spirituale e geopolitica della Russia, quello della sua identità religiosa e imperiale. Ma ovunque, negli scritti dei primi Slavofili, si trova traccia dello spirito “rivoluzionario” – essi criticano severamente la Monarchia russa a partire da Pietro il Grande, che accusano di essere il distruttore della sintesi spirituale fra popolo russo e Stato russo. Pietro il Grande fu per gli slavofili “il demonio”, e per questa ragione il loro atteggiamento verso la Monarchia dei Romanov fu piuttosto ambivalente. Si deve inoltre sottolineare il fatto che gli Slavofili erano sorvegliati dalla polizia zarista e che molti loro testi – malgrado il loro evidente carattere “reazionario” – erano vietati dalla censura. Furono gli Slavofili (J. Samarin, in particolare) ad impegare per primi il termine “rivoluzione conservatrice”.

c) gli zapadniki (occidentalisti) – P. Ciaadaev

 Il più radicale oppositore degli Slavofili – P. Ciaadaev, che viene sovente presentato come il primo autore dell’orientamento “filo-occidentale” (quello degli zapadniki [in russo zapad = occidente, NdT]) vale a dire “progressista”, “razionalista” ed “enciclopedista” -  era egli stesso innegabilmente segnato dallo spirito della RC. Almeno un fatto è degno di menzione: era discepolo diretto di Jospeh De Maistre, con il quale era inoltre in rapporti amichevoli. Ciaadaev contrapponeva agli Slavofili le idee del “conservatorismo illuminato” di stile europeo. Egli negava la missione mistica dela Russia, utopia inconsistente e priva di senso, derideva l’arcaismo della Chiesa Ortodossa, considerava la storia russa come esempio di assurdità e barbarie, ma al tempo stesso aspirava a restaurare la civiltà teocratica, cattolica e anti-moderna nello spirito medievale. I suoi scritti (“Lettere filosofiche”) contengono molte considerazioni di natura geopolitica che potrebbero essere interpretate in senso “eurasista”. Verso la fine della sua vita, Ciaadaev era divenuto quasi russofilo. Quale che sia il giudizio sulla sua figura – indubbiamente l’intelligenza più lucida e perspicace della sua epoca – non si trova in essa nulla di “moderno”, di “progressista” o di “razionalista”. Fu piuttosto un romantico isolato e non conformista.

d)  i “giovani Slavofili” – i pocevenniki e K. Leontiev, N.Danilevskij

Gli Slavofili della seconda e soprattutto della terza generazione – fra i quali i più celebri sono i filosofi K. Leonteev e N. Danilevskij (vero precursore delle concezioni di Oswald Spengler e di Arnold Toynbee), lo scrittore Fedor Dostoevskij, i filosofi A. Grigorev, N. Straciov ecc. – possono essere considerati dei tipici rivoluzionari-conservatori. Dopo un passaggio “obbligato” nel milieu socialista e anarchico, a seguito di esperienze traumatiche riscoprono le verità profonde della religione ortodossa, dell’anima mistica del popolo russo,  i misteri della terra imperiale, delle leggi qualitative  e della geopolitica eurasiatica.

I pocevenniki – dalla parola russa pochva = suolo, terra, Boden in tedesco – difendevano l’idea dell’unità provvidenziale del popolo russo con l’élite tradizionale e religiosa. Volevano trasformare la Russia in Stato organico, religioso e fondato sull’idea di Giustizia Divina, che per loro era la stessa della giustizia Russa (russkaja pravda, la “verità russa”). Respingevano la storia dell’Occidente – specie posteriore alla Rivoluzione Francese – come anti-organica, artificiale e quasi satanica. I pocevenniki rifiutavano il capitalismo e insistevano sulla specificità della via russa allo sviluppo economico, industriale e sociale, che doveva anzitutto essere in accordo interiore, organico e naturale con la missione sacra e provvidenziale della Russia e del suo popolo mistico.  Il più celebre rappresentante dei pocevenniki resta senza dubbio Fedor Dostoevskij (in proposito, ricordiamo che  il traduttore in tedesco delle sue opere fu Arthur Mueller van der Bruck).

Un altro brillante autore che ha considerevolmente sviluppato le tendenze rivoluzionario-conservatrici degli Slavofili fu Konstantin Leontiev. Leontiev ha costruito la sua celebre dottrina dell’identità asiatica, turco-slava del popolo russo, che egli considerava un fenomeno unico di sintesi razziale, culturale e geopolitica. Leontiev sottolineava la necessità di una lotta totale contro lo spirito moderno e considerava il popoli musulmani (e soprattutto turchi) come gli alleati naturali dei russi ortodossi nella loro battaglia contro l’Occidente moderno e anti-tradizionale. Leontiev ha sviluppato le tesi geo-politiche che si ritrovano già nei primi Slavofili (Ciomjakov, Kirievskij, ecc.). Alcune idee di Leontiev sono stranamente prossime alle concezioni di René Guénon. Leontiev era nemico assoluto di ogni capitalismo e libero-scambismo. Alcune delle sue proposizioni potrebero essere interpretate nel senso del “socialismo cristiano-ortodosso, russo ed eurasista”. Ha elaborato un grande progetto continentale centrato sull’intensificazione delle relazioni culturali, economiche e geopolitiche fra la Russia e i popoli orientali, rifiutando al contempo la via capitalista, occidentale e soprattutto anglo-sassone (uniche eccezioni erano per lui Austria e Prussia, che considerava Paesi tradizionali e “orientali”).

Dal canto suo, Danilevskij ha proposto una visione di civiltà molteplici, ognuna delle quali possiede un proprio sviluppo ciclico. Egli ragionava in termini di sincronicità delle diverse civiltà. Secondo lui, la civiltà russa costituiva il caso unico in cui si era instaurato un equilibrio fra opposte tendenze geopolitiche, culturali, entiche e religiose. In contrasto con Leontiev, Danilevskij respingeva tanto l’orientamento orientale come quello occidentale. Riteneva che la civiltà russa dovesse essere conservata in quanto tale, isolata e ripiegata su se stessa.

e) gli anarchici nazionalisti – Mikhail Bakunin

Persino nei movimenti russi rivoluzionari di sinistra,  fra il secolo XIX e l’inizio del secolo XX, non è difficile trovare forme che presentano tratti individuabili come tipici della RC. Bakunin stesso, ideologo ed attivista dell’anarchismo rivoluzionario più radicale ed ateo, ha espresso talvolta tesi difficilmente conciliabili con lo spirito internazionalista e nettamente cosmopolita del suo movimento. E’ nota la sua avversione nei confronti degli ebrei. Il suo progetto di unione di tutti i popoli Slavi, la sua idea di “socialismo slavo” e persino “pan-slavista” possono essere viste come prefigurazioni di alcune correnti della RC del XX secolo, più precisamente di quelle nazional-bolsceviche tedesche o russe. La teoria di Bakunin (che, ricordiamo, era stato personalmente amico di Proudhon) conteneva l’idea di un tipo nuovo di rivoluzionario – ascetico, spartano, quasi super-umano – che sarebbe stata in seguito condivisa e sviluppata da Georges Sorel, Ernst Niekisch e Jean Thiriart.

f) i narodniki – da Alexander Herzen a V.Cernov

A maggior ragione, alla corrente RC possono essere ricondotti i narodniki (dalla parola russa narod = popolo) e certi “socialisti-rivoluzionari” – movimenti politici della sinistra estrema, talvolta terrorista.

I narodniki possono essere considerati come la forma parossistica del pensiero slavofilo combinato con la tendenza all’instaurazione della “Giustizia” sociale. La loro apparizione nella vita ideologica russa data fra gli anni ’50 e ’60 del secolo XIX. I narodniki rifiutavano la dottrina marxista e le sue costruzioni teoriche. Credevano che il socialismo dovesse essere concreto, dal “volto russo”, radicato e “tradizionalista”. Loro idea principale era la tesi secondo cui “lo sviluppo sociale lungo la via capitalista è il Male assoluto” (N.Mikhailovskij, P.Lavrov, e soprattutto V.Voronzov e N.Danielson). Criticavano la Monarchia in quanto maschera del capitalismo orientata contro il popolo e i suoi bisogni spirituali, economici e religiosi. In maggioranza erano cristiani ortodossi. Esaltavano i “valori della terra”. Le loro organizzazioni più celebri furono Zemlja i Volija  (“Terra e Volontà”) e Narodnaja Volija  (“La Volontà del Popolo”). Dai padri del movimento dei narodniki – Herzen e N.Cernyshevskij – fino all’ultima generazione – V.Cernov e L.Cichk – si ritrova in essi il motivo conduttore della necessità di uno sviluppo sociale, economico e industriale in stretta conformità con la specificità nazionale del popolo russo e con le suie tradizioni. I narodniki erano attratti dal terrorismo individuale e dall’ideale di un tipo di “rivoluzionario assoluto”, un “superuomo al servizio del popolo”. Alcuni di essi “andarono verso il popolo” e professarono una concezione dei “piccoli passi” e della “resistenza pacifica”. Quest’ultima tendenza dei narodniki era condivisa dal celebre scrittore russo Lev Tolstoj.

g) i socialisti-rivoluzionari

I socialisti-revoluzionari (soprattutto quelli cosiddetti “di destra”) erano estremisti e terroristi anti-borghesi e anti-monarchici che, in contrasto con i bolscevichi, ponevano l’accento sul ruolo dei contadini nel movimento rivoluzionario, anziché su quello dei proletari. Seguivano il solco dei narodniki – ancor più arcaici e patriarcali di quelli, ma senza il loro cristianesimo e la loro abdicazione alla lotta politica aperta.

h) i bolscevichi anti-semiti e i visionari bolscevico-patriottici – S. Esenin, Kljuev, ecc.

Perfino nelle stesse file dei bolscevichi è possibile indicare alcuni tratti rivoluzionario-conservatori, almeno fra quegli esponenti del movimento comunista che agivano talora come i rivoluzionari “Cento Neri” – i pogrom anti-semiti dei bolscevichi furono un fenomeno diffuso negli anni 1904-1905 (gli anni della prima rivoluzione russa) e negli anni 1917-1920. Il numero di crimini commessi ai danni degli Ebrei, soprattutto in Ucraina, per mano di soldati dell’Armata Rossa fu quasi uguale a quello dei progrom attuati dai Bianchi e dalle bande anarchiche. Fra i bolscevichi ritroviamo scrittori, poeti e filosofi di tendenza chiaramente rivoluzionario-conservatrice – i romanzi di Platonov, la poesia di Sergej Esenin e di Kljuev (mistici nazionalisti e patrioti), gli scritti di V.Chlebnikov (veggente, poeta eurasista, mistico nazionalista, identitarista e futurista), ecc.

Questa breve disamina mostra con sufficiente chiarezza come sia possibile scoprire gli aspetti caratteristici della RC nella maggior parte delle tendenze intellettuali e politiche della Russia fra la seconda metà del XVIII secolo e l’inizio del XX secolo. Va da sé che resta ancora da realizzare uno studio approfondito di ciascuno di questi movimenti e degli autori più significativi, tale da delineare con ancora maggior chiarezza la storia paradossale ed appassionante della genesi e della formazione del pensiero rivoluzionario-conservatore russo.

3  La Rivoluzione Conservatrice del barone von Ungern-Sternberg

La straordinaria figura del “barone folle” Roman Fedorovic von Ungern-Sternberg si inquadra molto bene nella RC russa. Fu un eurasista radicale e pratico. Realizzò le sue convinzioni tramite una lotta eroica e disperata. Ungern-Sternberg era odiato non oltanto dai nemici bolscevichi, contro i quali combatté in terra di Siberia e Mongolia. I Bianchi stessi respingevano il barone per il suo estremismo e la sua negazione assoluta dei valori dell’umanismo. Ungern, che fu per qualche tempo dittatore della Mongolia, disprezzava l’Occidente in quanto civilizzazione decadente che ha perduto i valori dell’onore, dell’eroismo, i valori maschili e solari. Voleva fondare una nuova Cavalleria a partire dai popoli asiatici più tradizionali e spirituali degli Europei, e grazie a questa Cavalleria organizzare la Crociata dell’Oriente tradizionale contro l’Occidente umanista. Per Ungern-Sternberg il bolscevismo era quella forma estrema di degenerazione della civiltà cui aveva aperto la via l’inganno che si celava dietro le tesi enciclopediste, umaniste e capitaliste. Sperava che i popoli asiatici si mobilitassero contro la minaccia Rossa e organizzassero un’opposizione planetaria. Non è possibile comprendere la logica della vita e della lotta di questo “ultimo cavaliere dell’Eurasia”, se non nell’ottica ideologica della Terza Via o della Rivoluzione Conservatrice. Il suo caso ha rappresentato la forma individuale e parossistica della realizzazione personale ed eroica del progetto rivoluzionario-conservatore. E’ molto caratteristico che la figura del barone von Ungern-Sternberg abbia attirato l’attenzione di Julius Evola e anche di René Guénon.

4 “Smena Vekh” e gli Eurasisti

a) le ideologie dell’emigrazione Bianca

La RC russa propriamente detta, nel senso più stretto del termine, ha visto la luce dopo la rivoluzione d’Ottobre ngli ambienti dell’emigrazione russa – evidentemente, Bianca. Le tendenze rivoluzionario-conservatrici nella Russia bolscevica non avevano possibilità di esprimersi in forma diretta nella situazione di dittatura ideologica marxista e internazionalista. Tali tendenze esistevano de facto ed erano anche abbastanza forti, ma la tranquilla riflessione e la formulazione dei princìpi della RC russa erano privilegio degli emigrati e degli antichi nemici dei Rossi.

Occorre ricordare che la prima emigrazione russa era originariamente composta da due famiglie politiche Bianche notevolmente differenti. Si trattava dei monarchici convinti, nostalgici ed arcaici (che costituivano del resto una minoranza politica) e dei liberal-democratici di ogni specie, animati da un vago nazionalismo e dall’odio verso i comunisti, in quanto rivali che avevano vinto la battaglia politica per il potere. Fra i secondi si trovavano rappresentanti della socialdemocrazia non bolscevica, o comunque non leninista. Possiamo definire questi due poli come Destra e Sinistra classiche e ordinarie. Entrambe si rifiutavano di riconoscere nella rivoluzione d’Ottobre qualcosa di duraturo e importante, credendo trattarsi di una rivolta popolare e di una crisi transitoria. La loro analisi delle radici ideologiche del bolscevismo era superficiale ed insufficiente. E’ nella polemnica con questi due campi politico-ideologici che la RC russa incomincia a formare e definire le proprie posizioni ideologiche. Ciò ha condotto alla nascita della Terza Via russa, cristallizzatasi nei due importanti filoni ideologici degli “smeno-vekhisti’” e degli “eurasisti”.

b) “Vekhi” e “Smena Vekh”

Per comprendere il concetto ideologico di “Smena Vekh” (“cambio di orientamenti” [lett. "cambio delle pietre miliari", NdT]) – dal titolo di una raccolta di articoli pubblicata nel 1921 a Praga e definita come il manifesto dei “nazional-bolscevichi” russi – è necessario ripercorrere brevemente la storia ideologica russa dei primi decenni del XX secolo.  All’alba di questo secolo si riteneva che un filosofo, per essere “progressista” e alla moda, dovesse necessariamente essere marxista, internazionalista, di sinistra e zapadnik (filo-occidentale). Ma la situazione è mutata dopo lo scacco della prima rivoluzione russa (1905) e con la pubblicazione nel 1909 di una raccolta di articoli di un gruppo di intellettuali alla moda – evidentemente marxisti, di sinistra e zapadniki – che rinnegavano la propria “malattia di gioventù” ed affermavano il loro nuovo corso – tradizionalista, religioso e slavofilo. La raccolta di intitolava “Orientamenti” – in russo “Vekhi”. Fra gli autori più celebri erano N.Berdjaev, S.Bulgakov, P.Struve, S.Frank. Fu allora che gli intellettuali di destra, idealisti e nazionalisti, divennero di moda. Ma questa tendenza dei “Vekhi” non può essere qualificata come RC, malgrado ne possedesse indubbiamente alcuni tratti assai simili. “Vekhi” erano gli “orientamenti” degli intellettuali di destra, non della Terza Via propriamente detta. In questo contesto, il nome “Smena Vekh” – alla lettera, “il cambio degli orientamenti” – significava nei nazional-bolscevichi Bianchi la rottura con un pensiero conservatore, utopista e idealista che operava con categorie troppo vaghe e troppo astratte (“universalità assoluta del Bene assoluto”, “imperativo morale della creazione dello Stato teocratico”, ecc.) e una trasmigrazione verso categorie geopolitiche, geoeconomiche, etniche e sociali.

I nazional-bolscevichi di “Smena Vekh”, la cui figura principale era il professor N.V.Ustrjalov, accusavano i liberal-democratici di essere “sognatori”, “utopisti” e “traditori del popolo russo e della storia russa” (cfr. Ustrjalov, Patriottica in “Smena Vekh”). Vedevano nel bolscevismo la sollevazione delle energie popolari e tradizionali russe, in rivolta contro le innaturali tendenze capitaliste e contro una Monarchia debole e incoerente, radicalmente incapace di preservare il suo popolo dalla minaccia capitalista che ne avrebbe distrutto l’anima collettivista e imperiale. Contro i liberali dell’emigrazione, i nazional-bolscevichi difendevano il totalitarismo socialista e imperiale, a loro avviso più consono ai russi del liberalismo economico e della disuguaglianza materiale e dell’individualismo che ne derivano. Contro le destre, e soprattutto contro gli anti-semiti, sostenevano la tesi (J.Kluchnikov, S.Lukjanov, ecc.) della natura russa della Rivoluzione d’Ottobre, a dispetto della partecipazione massiccia di ebrei e di rappresentanti di altre nazionalità (Lettoni, Cechi, ecc.). Rifiutando il marxismo, ideologia utopica ed astratta, gli autori della “Smena Vekh” riconoscevano il carattere razziale, geopolitico e imperiale russo del giovane Stato sovietico, nel quale vedevano la legittima prosecuzione dello Stato russo organico e naturale.  I nazional-bolscevichi esaltavano inoltre il tipo umano del rivoluzionario, votato alla causa senza esitazioni e con assoluta devozione – in forte contrasto con la lotta indecisa, timida ed incerta che conduceva l’armata Bianca, priva di idee-forza, di un’ideologia coerente, di una seria dottrina politica, sociale, economica ed etica.  Gli autori della “Smena Vekh” hanno avuto grande influenza sull’emigrazione e su alcuni circoli della stessa Russia sovietica. I dirigenti comunisti accolsero molto favorevolmente questo movimento ideologico, e il professor Ustrjalov fece ritorno a Mosca nel 1926. Stalin espresse qualche critica allo “sciovinismo eccessivo” dei nazional-bolscevichi, e soltanto il russofobo Bukharin li bollò come “cesaristi mascherati da rivoluzionari”.

Non è possibile non porsi questa domanda: i nazional-bolscevichi tedeschi – Otto Winnig, Arthur Mueller van den Bruck e soprattutto Ernst Niekisch – conobbero le idee della “Smena Vekh”?  Si tratta di nuna questione di estrema rilevanza, perché le tesi dei nazional-bolscevichi tedeschi paiono pressoché identiche, da ogni punto di vista, alle tesi della “Smena Vekh” e dei nazional-bolscevichi russi. Occorre inoltre rendersi conto che i nazional-bolscevichi russi sono passati attraverso l’esperienza traumatica della guerra civile contro i bolscevichi, e il loro “cambio di orientamenti” fu una scelta gravosa e difficile. Forse, sulla base dell’esperienza degli “smeno-vekhovtsij” di Praga, i nazional-bolscevichi tedeschi hanno ricavato una certa fede incrollabile nel carattere russo della Rivoluzione d’Ottobre e dello Stato sovietico. Ma questa rimane un’ipotesi che non siamo in grado né di provare né di rigettare, in mancanza di sufficiente informazione e documentazione storica.

c) gli Eurasisti

Fra tutte le forme della RC russa, la scuola degli Eurasisti resta quella maggiormente rivoluzionario-conservatrice, al punto che si potrebbe identificare la RC russa con il movimento Eurasista.  Come nel caso della Germania, dove i giovani conservatori, i rivoluzionari nazionali e i nazional-bolscevichi degli anni ’20 e ’30 del XX secolo hanno offerto il paradigma più completo e perfezionato della RC in generale, a partire dal quale è possibile d’ora innanzi definire i precedenti storici o le ideologie più o meno affini – la stessa affermazione può valere per gli eurasisti russi, che furono gli esponenti più puri della RC russa tanto sul piano storico quanto sul piano ideologico. A nostro avviso, è lecito considerare i termini “RC russa” e “dottrina eurasiatica” come concetti sinonimi (così, almeno, nel contesto russo).

Il caso degli Eurasisti è un poco più conosciuto di quello degli smeno-vekhovtsij. Qui è possibile determinare un legame indubitabile fra le loro idee e l’ambiente rivoluzionario-conservatore, specie in riferimento alla scuola geopolitica di Karl Haushofer (una delle riviste degli Eurasisti, “Cronaca Eurasiana”, era edita a Berlino). Ritroviamo l’analisi del pensiero eurasista nella celebre rivista di Haushofer Zeitschrift fuer Geopolitik. Al d là di questo, molti Eurasisti collaborarono con i rivoluzionario-conservatori tedeschi, alcuni persino aderirono alle SS sotto il regime nazional-socialista. La profonda influenza reciproca fra Eurasisti russi ed esponenti della RC tedesca è pertanto fuori discussione.

Il movimento eurasista ha esordito nello stesso anno del movimento degli smeno-vekhovtsij, il 1921. In quell’anno un gruppo di emigrati Bianchi pubblicò a Sofia la raccolta di articoli “Esodo verso Oriente”, dal sottotitolo “Il Manifesto degli Eurasisti”. Era il punto di partenza di tutto lo sviluppo dell’ideologia russa della terza Via, in forma ben fondata, approfondita e compiuta. E’ un fatto ben caratteristico che gli emigrati liberali li abbiano ribattezzati “fascisti”, mentre quelli di destra – “comunisti”; ma l’epiteto più frequente era quallo di “slavofili futuristi”. Dopo “Esodo verso Oriente” fecero la loro apparizione le riviste “Evrazijskij vremennik” e “Evrazijskaja khronika”, edite a Parigi, Berlino e Praga.

Nei suoi tratti generali, l’essenza della concezione eurasista è la seguente:

1) Seguendo la tesi di Mackinder, ritenevano che lo sviluppo economico e culturale di una nazione sia definito dai suoi confini geopolitici e dalla qualità del controllo dello spazio. Si esprimevano in termini di “grandi spazi”. Ma insistevano sulla necessità dell’autarchia geo-economica del continente eurasiatico in rapporto alle potenze marittime. Quindi, per gli Eurasisti, ogni questione economica, culturale, militare, strategica e persino psicologica andava considerata unicamente e prima di tutto entro una prospettiva continentale. Avanzavano una tesi radicalmente diversa rispetto a quella del conte Coudenov-Calergy, che voleva unire l’Europa contro l’Asia. L’idea degli Eurasisti era di unire il continente eurasiatico contro l’Occidente, contro le potenze talassocratiche e portatrici di una cultura materialista, liberale e non organica.

2) La questione della Rivoluzione d’Ottobre, delle sue radici e del suo significato, rivestiva per gli Eurasisti un’importanza fondamentale. Ad eccezione di alcuni casi individuali, e nonostante l’accordo ideologico con i nazional-bolscevichi di “Smena Vekh”, non accettarono la rivoluzione. Ma individuarono la radice principale della tragedia russa, della “caduta russa dell’Europa” (secondo l’espressione dell’esponente principale di questa scuola, il conte N. Trubetskoij) nella struttura non organica della Russia, “europeizzata e capitalistizzata” in seguito alle riforme di Pietro il Grande. Hanno messo in discussione la qualità dei valori religiosi, statuali, nazionali, economici e sociali degli ultimi tre secoli, accusando la dinastia dei Romanov di avere tradito le speranze mistiche e sociali del popolo russo (eurasiatico) e soprattutto la sua civiltà unica, spiritualmente ricchissima e destinata a conservare la propria identità di fronte all’Occidente materialista, ateo, artificiale e capitalista. Questo atteggiamento si è tradotto in un apprezzamento ambivalente della Rivoluzione d’Ottobre: da un lato, gli Eurasisti vedevano in essa la rivolta anti-capitalista dell’anima russa, scaturita dalle profondità della civiltà eurasiatica; dall’altro lato, riconoscevano nell’utopismo marxista e comunista la frode ideologica che aveva proposto al popolo russo – che istintivamente respingeva il modello di sviluppo capitalista e occidentale – un altro modello altrettanto occidentale nonché anti-nazionale e anti-tradizionale. Gli Eurasisti hanno colto con chiarezza gli aspetti “nazionalisti” e “identitari” della Rivoluzione d’Ottobre, ma non sono stati d’accordo nell’accettare il comunismo per ragioni patriottiche. E tuttavia, la Destra Bianca rivolse contro di essi l’accusa di essere comunisti, soprattutto in quanto gli Eurasisti si rifiutarono sempre di vedere negli ebrei i “capri espiatori” della Rivoluzione e di considerare la Monarchia pre-rivoluzionaria come un modello ideale e irreprensibile. Lo slogan degli Eurasisti era “né Bianchi, né Rossi” (L. Stepanov).

3) La dottrina eurasista sottolineava l’importanza dell’economia, o piuttosto, della geo-economia. Fu l’unico movimento alternativo (in rapporto al comunismo) che si occupò a fondo delle questioni economiche e che propose un modello di autarchia continentale (“autarchia dei grandi spazi”) non capitalista e non marxista. Gli Eurasisti elaborarono un modello di sfruttamento delle risorse naturali della Russia che sarebbe stato sufficiente a sostenere l’economia tellurocratica su scala continentale.

4) In materia religiosa, gli Eurasisti erano partigiani della “rivoluzione conservatrice” in seno alla Chiesa Ortodossa, che intendevano purificare dell’umanismo e del moralismo decadente occidentali, oltre che dell’arcaismo e delle superstizioni del basso popolo. Respingevano le speculazioni astratte e fantasiose degli intellettuali “accademici” come S. Solovev, S. Bulgakov, P. Florenskij, proponendo in loro vece il ritorno alla teologia bizantina rigorosa, ma interiorizzata, e pertanto creativa. Non a caso, il più brillante e profondo teologo cristiano-ortodosso russo degli ultmi secolo, padre Georg Florovskij, prese parte al movimento eurasista e ne fu anzi uno degli ispiratori (insieme con il conte Trubetskoij). In proposito, facciamo notare che questo ecellente autore, pressoché l’unico rappresentante degno di fede del tradizionalismo ortodosso russe, è del tutto ignorato in Occidente; un’imperdonabile ed inspiegabile ingiustizia.

5) Molto interessante è il modo in cui la questione etnica veniva risolta dagli Eurasisti. Essi rimisero in questione una verità fino ad allora indiscussa nel campo degli slavofili, ossia la natura dannosa dell’invasione Tartara e della dominazione Mongola sulla Russia. Gli Eurasisti riconobbero viceversa la missione tellurocratica dell’espansione geopolitica dei popoli turchi e mongoli. Gengis Khan era per loro “il primo degli eurasisti”, ed i Turchi erano considerati come un’etnia, o meglio, una razza eurasiatica giovane e piena di potenza creativa e imperiale. Ma fu nella congiunzione con il genio slavo (dunque indo-europeo, ario) che la razza turca riuscì a stabilire un equilibrio eurasiatico. Per gli Eurasisti, i Russi rappresentano quella particolare razza slavo-turca dotata di due qualità principali – l’energia dell’espansione sui grandi spazi propria dei Turchi (“orizzontale”) e l’energia della concentrazione, metafisica e “verticale” propria agli Slavi. Questa sintesi razziale costituiva per gli Eurasisti la chiave della storia culturale della Russia. La razza europea era da essi vista come una razza vecchia impotente e dotata della coscienza geopolitica delle popolazioni del Rimland – dunque incapace dei supremi sforzi necessari per organizzare l’Impero, il “grande spazio autonomo”.

6) Al livello politico, gli Eurasisti proponevano un sistema statuale centralizzato multi-etnico di tipo imperiale. Alcuni fra di essi erano per una Monarchia risacralizzata e ritornata alle sue origini mistiche, altri (G. Vernadskij, N. Alexeiev, ecc.) parteggiavano per la tesi del “socialismo eurasiatico”. Il conte Trubetskoij ha elaborato la teoria dell’”ideocrazia”, ossia del potere politico concentrato nelle mani dell’élite tradizionale, intellettuale e religiosa, posta a capo del “partito Eurasista” – una sorta di Ordine.

Il movimento eurasista fu in voga dal 1921 fino agli anni ’30, quando l’impossibilità di esercitare un’influenza sulla vita politica dell’emigrazione russa e, a ben maggiore ragione, quella della Russia Sovetica, finì col diffondere fra gli Eurasisti una sensazione di disperazione. Alcuni fra loro giunsero a collaborare con il K.G.B. per nostalgia della patria e in odio ai paesi democratici dove erano costretti a vivere (P. Savitskij). Altri – come  padre Florovskij e lo stesso conte Trubetskoij – si rifugiarono nella ricerca religiosa e storica.  Altri ancora si unirono al movimento nazional-socialista tedesco insieme con certi aristocratici russi di estrema destra – come il generale Biskupskij, Avalov-Bermont, Thalberg, von der Golz, Skoropadskij, Schwarz-Bostunich ed altri esponenti della Loggia ultra-monarchica ed aristocratica “Balticum” (più tardi ribattezzata “Consul”).

Gli Eurasisti hanno elaborato i fondamenti della dottrina della RC russa. Tuttavia, l’oblio li ha ricoperti:  la loro patria era presa nella morsa  ideologica dell’utopismo marxista, mentre gli intellettuali d’Europa non hanno mostrato alcun interesse per il pensiero degli emigrati della Russia, lontana e barbarica,  così come per tutte le sue speranze messianiche ed escatologiche, e per tutti i suoi sogni di rivincita asiatica.

Quale che sia stato il suo destino, il movimento eurasista, le sue previsioni, le sue dottrine, sono da riscoprire, e riacquistano tutta la loro attualità nel momento in cui ovunque nel mondo si cerca la Nuova Via dello sviluppo planetario geopolitico e culturale.

5 La missione eurasista e la Russia Sovietica – Stalin e Brezhnev

L’idea eurasista, intellettualmente e politicamente marginale, trovò nondimeno una parziale realizzazione sotto il regime comunista, soprattutto a partire dall’epoca staliniana. Gli Eurasisti stessi (specialmente George Vernadskij, autore di una celebre “Storia della Russia”, tradotta nelle lingue europee), hanno visto nell’imperialismo staliniano una forma naturale di sviluppo dello Stato russo, accompagnata dall’industrializzazione, la centralizzazione e l’espansione necessarie per far accedere la Russia alla nuova fase del divenire geopolitico e geoeconomico. Dalla seconda metà degli anni ’30, e particolarmente dopo il 1937, il regime staliniano ha assunto molti degli aspetti nazionali, patriottici e imperialisti che erano mancati nel periodo post-rivoluzionario. Stalin ha annientato tutti gli esponenti dell’ortodossia marxista-leninista, internazionalista e utopista (in maggioranza ebrei). L’anarchismo e l’immoralismo rivoluzionari sono nettamente ripiegati di fronte al primato dell’Ordine e di una morale ascetica e creativa. Non è un caso che il dirigente stesso dei “fascisti russi” di Harbin, Rodzavaeskij, abbia finito con il riconoscere la missione “fascista” (de facto) di Stalin, nella sua qualità di Volksfuehrer russo.

Un altro passo in senso rivoluzionario-conservatore è stato compiuto – secondo taluni storici russi, come A.Dikij ed altri – poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. Talvolta si parla addirittura della “rivoluzione invisibile del maresciallo Zhukov”. I militari russi hanno attinto dai loro nemici certe energie geopolitiche ed ideologiche, e la guerra stessa ha risvegliato  le forze interiori del nazionalismo e una più chiara coscienza degli interessi continentali. Persino l’estetica degli anni ’40 in URSS – nazionalista, russofila, talvolta addirittura sciovinista e xenofoba – è molto più prossima allo stile del Terzo Reich che alle forme avanguardiste, internazionaliste e “proletarie” degli anni ’20. Durante l’epoca stalinista a dominare fu piuttosto il motivo statuale, imperialista, nazionalista e anti-borghese, non la scolastica astratta dei marxisti puri. Ma il nazionalismo sovietico di Stalin non fu russo in senso etnico, fu piuttosto “imperiale”, eurasiatico, continentale – e questo lo avvicinò moltissimo al modello che gli stessi Eurasisti proponevano. Verso la fine degli anni ’40 Stalin pose un freno alla propaganda anti-cristiana più aggressiva, e manifestò ai padri della Chiesa Ortodossa, se non un’aperta simpatia, almeno tolleranza e comprensione. L’organizzazione degli “atei militanti” (patrocinata da un ebreo nefasto, Emelijan Jaroslavskij, alias Gubelmann) venne disciolta, il suo capo deportato al Gulag. Le tendenze rivoluzionario-conservatrici ebbero una battuta di arresto con la morte di Stalin, quando il suo imperialismo, eurasismo ed antisemitismo erano giunti all’estremo (era sul punto di deportare tutti gli Ebrei nelle Repubblica Autonoma Ebraica di Birobidjan, nella Siberia estremo-orientale, realizzando così nei confronti degli Ebrei un apartheid più radicale di quanto fosse nelle intenzioni di Hitler). E’ impossibile non riconoscere che le linee di tendenza indicate sono assai poco compatibili con la teoria marxista, tanto nel suo stato verginale, quanto nel pathos rivoluzionario del 1917 e degli anni ’20.

Kruscev ha fatto a pezzi la  gigantesca costruzione di Stalin con la denuncia del “culto della personalità”, che ha gettato un ombra di dubbio su tutto il suo operato nella storia. Sotto Kruscev ha preso il via nell’ambito dell’intellighenzia sovietica la tendenza al ritorno al “marxismo corrotto dallo stalinismo”. Kruscev ha rinnovato gli attacchi  contro la Chiesa e rianimato lo spirito internazionalista. Nella sua epoca, le tendenze eurasiste hanno toccato il punto di minima influenza di tutto il corso della storia socvietica. Egli era molto più interessato alla geopolitica “oceanica” – Cuba, l’America Latina, l’Africa erano al centro dell’attenzione dello Stato krusceviano. Fu durante il regno di Kruscev che venne a formazione il primo nucleo di dissidenza filo-occidentalie e quasi interamente “atlantista”.

Brezhnev ha fatto ritorno al modello staliniano (quindi virtualmente eurasista), ma nella sua forma senile, rituale, entropica. La partecipazione dell’URSS di Brezhnev ai conflitti eurasiatici (Vietnam, Medio Oriente, ecc.) e soprattutto la guerra continentale in Afghanistan furono i segni parlanti di una consapevolezza geopolitica. Il marxismo dell’epoca brezhneviana era completamente “ritualista”, “nominalista”, estremamamente superficiale. Non è stato difficile discernere dietro il brezhnevismo l’inerzia ideologica e geopolitica dello “stalinismo eurasiatico”.

Elementi a rigore qualificabili come “eurasisti” e quindi, in un certo senso, rivoluzionario-conservatori sono sempre esistiti nella storia sovietica dalla Rivoluzione d’Ottobre fino alla Perestrojka, ma il periodo di Stalin è stato senz’altro quello più caratteristico e più ricco di segnali evidenti. E tuttavia, è opportuno rendersi conto che si trattava di fenomeni fattuali, che non hanno mai trovato alcuna cristallizzazione intellettuale, ideologica o filosofica. Le grandi rivoluzioni geopolitiche e persino ideologiche che avvenivano dietro le quinte del Cremlino si manifestavano all’esterno in  infinitesimali sfumature d’accento posto su tale o talaltro evento storico, o su tale o talaltra ipotesi scientifica. La “cremlinologia” era una vera e propria scienza cospirologica fondata su dettagli e sintomi pressoché invisibili. Per questi motivi, una ricostruzione della storia dello sviluppo delle tendenze “rivoluzionario-conservatrici” nell’URSS è possibile solo attraverso un laborioso studio completo della vita ideologica segreta degli ultimi dirigenti di quell’ultimo Impero Eurasiatico che, fino alle recenti trasformazioni, fu l’Unione Sovietica. In questa sede, è possibile quindi parlare solo di tendenze “rivoluzionario-conservatrici” fattuali, prive di qualsiasi formulazione teorica. In ogni caso, tali tendenze furono molto concrete e molto importanti: si trattava infatti dell’ideologia (parallela) di gruppi dirigenti sovietici il cui potere politico era pressoché assoluto all’interno del Paese ed estremamente forte all’esterno.

Possiamo aggiungere che le dottrine militari strategiche dell’URSS furono sempre di carattere eurasista, in quanto il principale nemico ideologico dei Soviet erano gli Stati Uniti – la potenza talassocratica ed oceanica per eccellenza. Lo stesso Patto di Varsavia ebbe una fisionomia nettamente continentale ed eurasista, in contrapposizione alla NATO, imperniata sulle potenze marittime – gli USA e l’Inghilterra. Ma, più ancora, sono i Paesi Anglo-Sassoni gli esempi del capitalismo più puro e più forte, ed è precisamente contro il capitalismo che si sono indirizzate tutte le forme di Rivoluzione Conservatrice – e la RC russa non ha fatto eccezione.

6   ll movimento neo-eurasista – gli scrittori neo-pocevenniki,   L.Gumeljov.

 Verso gli anni ’70,  alcuni aspetti della RC si sono manifestati nell’URSS in maniera più decisa, seppure sempre velatamente. Fu l’epoca della formazione di una nuova generazione di scrittori sovietici che ruotava attorno a M. Sholokov, autore del celebre romanzo “Il placido Don”. Costoro – i più noti dei quali sono V. Rasputin, V. Belov e V. Astafev – difendevano tesi nazionaliste, ecologiste e slavofile. Esaltavano i contadini russi, le loro usanze, le loro credenze. I loro scritti avevano inoltre un chiaro contenuto ecologista. La loro ideologia potrebbe essere approssimativamente qualificata come nazional-bolscevismo o nazional-leninismo, ma dobbiamo vedere in questo più un tratto del loro conformismo, che una dichiarazione di convinzioni ideologiche radicate (oggi, in condizioni di maggiore libertà di espressione, la maggior parte di essi è divenuta monarchica, cristiano-ortodossa e di destra convenzionale – il che testimonia del carattere di maschera conformista, e nulla di più, che ebbe il loro nazional-bolscevismo). Assai rari furono i casi di scrittori neo-pocevenniki ben coscienti della loro parentela ideologica con gli Eurasisti o con gli smeno-vechovstij; la somiglianza delle loro idee fu tuttavia notevole.

I neo-pocevenniki degli anni ’70 – ’80 hanno creato quel milieu intellettuale patriottico, nazionalista e oggettivamente eurasista manifestatosi poi pienamente all’epoca della perestrojka in una certa rinascita nazionalista, quale tendenza alternativa al corso occidentalista, “atlantista” e nettamente capitalista della lobby democratica – Gorbacev, Jakovlev, Eltsin, Shevardnadze, ecc.  Ma vi è qui un dettaglio ideologico estremamente importante: le concezioni degli scrittori “neo-pocevenniki” all’epoca di Brezhnev erano, sul piano formale, molto più vicine allo spirito ed alla terminologia della RC, rispetto alle tesi che i medesimi personaggi ed i loro discepoli avanzano al giorno d’oggi. Sotto Brezhnev, motivazioni conformiste obbligavano i neo-pocevenniki ad aggiungere temi socialisti, anti-capitalisti, leninisti, ecc. alle loro idee nazionaliste e identitarie (talvolta apertamente antiebraiche). Le loro teorie avevano dunque un carattere “terzaforzista” loro malgrado. Venuta meno questa necessità, i neo-pocevenniki hanno messo da parte il lato “socialista” e “anti-capitalista” delle loro dottrine e si sono convertiti in tradizionali rappresentanti della Destra ordinaria, monarchica, giudeofoba e nostalgica. Il pathos della RC in essi ne è quindi risultato molto offuscato.

Come unico eurasista coerente e consapevole, fra gli autori sovietici degli anni ’70 e ’80, è doveroso citare lo storico Lev Gumiljov – figlio del poeta aristocratico N. Gumiljov, fucilato dai Rossi, e della celebre poetessa Anna Akhmatova. Gumiljov è autore di alcune brillanti opere storiche sulle vicende dei popoli eurasiatici – turchi, mongoli, unni, ecc. La sua opera capitale – “L’etnogenesi e la biosfera” – all’epoca di Brezhnev era custodita nella sezione vietata al pubblico della Biblioteca di Scienze Sociali di Mosca, in quanto giudicata “ideologicamente pericolosa”. Nel libro l’autore sviluppava la dottrina organica dell’etnogenesi e formulava la concezione della “disuguaglianza dinamica delle etnie”, svelando le leggi cicliche che governano l’esistenza storica e biologica di ciascuna etnia. Gumiljov sosteneva la tesi del carattere giovane dei popoli eurasiatici – soprattutto i turchi e i russi – il cui ciclo storico ha appena raggiunto il suo acme. Affermava pertanto che la civiltà più normale e più sana al giorno d’oggi sarebbe una civiltà eurasiatica di tipo imperiale. Gumiljov ha coniato un termine speciale per designare il fattore pià importante e più organico dello sviluppo di un’etnia – la “passionarietà”, intesa come concentrazione di energia creativa, biologica e psicologica assieme, la quale è caratteristica delle intere popolazioni come dei singoli individui. Al livello umano, la “passionarietà” è secondo Gumiljov “capacità di trascendere l’istinto di sopravvivenza”, “oltrepassamento dell’entropia biologica”, “slancio creativo” (soprattutto imperiale). Le tesi di Gumiljov hanno molto in comune con le concezioni di Lorenz, Gunter, de Gobinau, dei geopolitici della scuola di Haushofer e soprattutto con le idee della Nuovelle Droite francese. Il suo atteggiamento nei confronti della storia è essenzialmente pagano. La sua concezione delle “etnie-chimere” – vale a dire, delle antichissime etnie degenerate, che hanno completamente perduto la loro “passionarietà – è universalmente conosciuta in Russia. Taluni anti-semiti, a partire da questa concezione delle “etnie-chimere”, hanno elaborato un’intera teoria giudeofoba; ma si tratta piuttosto di un’interpretazione limitante ed aberrante del suo pensiero. Gumiljov, da sempre autore non conformista, è stato scarsamente influenzato dalla Perestrojka, e le sue tesi eurasiste, biologo-realiste e rivoluzionario-conservatrici restano sotto molti aspetti le medesime. Malgrado l’età avanzata, continua a lavorare alla sua opera.

Infine, vi sono alcuni comunisti fino a ieri di stretta osservanza, i quali – a differenza della maggioranza degli ex comunisti, divenuti per neo-conformismo democratici “atlantisti” e “filo-capitalisti” – non hanno mutato la loro opinione ideologica contraria all’adorazione del libero mercato e alla glorificazione del modello Americano, ed oggi formano una sorta di opposizione di destra (statualista e nazionalista); questi, a partire dalla Perestrojka, hanno incominciato a rivedere i fondamenti della loro dottrina comunista formale, e molti fra loro hanno scoperto il pensiero rivoluzionario-conservatore – quello degli eurasisti e degli smeno-vekhovtsij – riconoscendo la reale continuità ideoogica del loro patriottismo sovietico e del loro nazionalismo anti-capitalista. Costoro rappresentano la cristallizzazione intellettuale delle tendenze RC sempre esistite allo stato virtuale, latente e semicosciente nell’epoca sovietica.  Per una bizzarra logica, questa presa di coscienza è accompagnata dalla scomparsa dalla politica interna ed estera sovietica degli ultimi residui di anti-capitalismo e anti-atlantismo, quindi di elementi eurasisti e tipologicamente rivoluzionario-conservatori.

7   Conclusione

Il pensiero rivoluzionario-conservatore viene oggi riscoperto in Germania, dove ha acquisito attualità estrema per effetto dei grandiosi cambiamenti in atto in quel Paese, che è d’altronde per sua natura rivoluzionario-conservatore, al pari della Russia. La Francia, il Belgio, l’Italia, la Spagna, l’Europa tout-court, ritrova oggi, grazie a sforzi immensi da parte degli intellettuali della Nuova Destra, questa parte inestimabile della propria ricchissima eredità ideologica. Ancora di più, le idee della RC sono oggi la sola alternativa all’incubo capitalista e all’espansione “atlantista” Americana. Lo slogan “né comunismo, né capitalismo” perde il suo significato, con la scomparsa del comunismo (ma è mai realmente esistito?). E’ la RC, in tutte le sue forme, a restare la sola possibilità operativa e realistica da opporre all’invasione, fisica ed ideologica, da parte dell’altro continente. La RC diventa la Seconda Via, la sola Via Alternativa. E’ quindi tempo di riportare alla luce tutte le correnti della RC, studiarle, ripensarle, riattualizzarle e farle rivivere. In questo contesto,  è necessario volgere il nostro sguardo al Continente-Russia, verso questa terra enigmatica che occupa il luogo centrale di questa gigantesca isola che è l’Eurasia, la nostra Patria universale, la nostra terra sacra, la nostra eredità imperiale più preziosa. Stavolta dovremo tutti assieme – inclusi i Russi stessi – scoprire non già quel continente lontano, quella colonia marittima, quel deserto spirituale che è l’America, bensì la culla dei popoli indo-europei, dei nostri antenati, dei grandi creatori di valori eroici e super-umani – il Continente-Russia. Questa scoperta dovrà essere anzitutto una scoperta sprirituale, intellettuale, ideologica – la riscoperta dei valori russi, della Via Russa, dell’Ideologia Russa, che altro non possono essere se non Ideologia della Rivoluzione Conservatrice Assoluta.