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Il divieto al filosofo russo Dugin è l’ultimo atto di un sistema in agonia

Ecco, l’Università di Messina, nel chiudergli le porte avrebbe «tenuto conto anche delle numerose perplessità manifestate da molti docenti e delle controverse posizioni ideologiche del relatore». In pratica, il filosofo russo sarebbe colpevole di credere nelle proprie idee, di aver rivalutato il pensiero di un altro grande, Julius Evola, e soprattutto, di costituire un pericolo per la tranquilla e notoria “pace messinese”, di cui sono senz’altro garanti e difensori i compagni delle associazioni partigiane. Se non fosse tutto vero, sembrerebbe l’incipit di uno spettacolo di cabaret, visto che si sfiora il ridicolo…

Poco male, comunque: nonostante la revoca dell’uso dei locali dell’università l’appuntamento con Dugin si terrà comunque: sarà alle 18,30 non più a Messina ma nella sede del consiglio regionale a Reggio Calabria: si discuterà di geopolitica e della crisi del modello globalista. Insomma, una conferenza che definire pericolosa è divertente e nella quale non c’è alcuna traccia del preteso spauracchio neonazista annunciato dai “partigiani” di casa nostra sempre pronti a dare patenti di fascismo a chiunque sfugga al loro controllo ideologico.

Il ritorno dei bei tempi

In Russia vi sono alcune persone – afferenti a diversi segmenti della società – che la pensano come me e ve ne sono altre, in numero molto maggiore, che avversano le mie idee. Lo stesso vale per gli altri paesi. Vi sono tradizionalisti in Europa, negli Stati Uniti, nel mondo islamico (soprattutto in Iran e Turchia), in Cina, India, America Latina e Africa, che condividono questo approccio. È ovvio che la maggioranza assoluta non lo condivida. Il fatto che sia così non è strano. In questi tempi, la maggioranza si suppone sia sotto l’ipnosi dell’Anticristo (globalismo, liberalismo, ontologia orientata agli oggetti, intelligenza artificiale e così via). Sono felice che vi siano persone, movimenti e talvolta leader politici di spicco che condividono la visione tradizionalista, sia pure in modo parziale, pragmatico o – molto più di rado – nel suo complesso. So che esistono persone del genere negli Stati Uniti, soprattutto tra i sostenitori di Trump. Sono felice di questo. E così dovrebbe essere: la Battaglia Finale non può limitarsi entro i confini nazionali. È un evento dell’umanità intera, che concerne tutta la storia umana. Il se-Stesso del Dasein combatte contro das Man (inteso come l’inautentica forma di esistenza del Dasein) per risolvere il problema dell’«Essere o non essere?» Questa è la linea di demarcazione. Non è una questione di vecchie ideologie (liberalismo, comunismo o fascismo), né una guerra tra nazioni, religioni, «razze» o civiltà. È l’Eternità contro il Tempo. È l’Assoluto contro il Relativo che finge di essere a sua volta assoluto. È Platone-Heidegger-Guénon contro Epicuro-Descartes-Popper. È il Sacro contro il Profano.

ANTICOMUNISMO E ANTIFASCISMO: ARMI DEL CAPITALISMO

Il comunismo ha rappresentato l’impianto ideologico di base per un attore geopolitico molto importante: l’URSS, a cui si deve aggiungere la Cina comunista e altri paesi socialisti. Il comunismo si contrapponeva al capitalismo, e questa contrapposizione si dispiegava sul piano della mera potenza, su quello diplomatico e territoriale. Ma nel 1991, tutto crollò. Ciò portò ad un cambiamento fondamentale nello status stesso della sinistra; se prima del 1991 un comunista poteva contare sul potenziale geopolitico dell’URSS, dopo il 1991 il comunismo si è trasformato in una sorta di tendenza, in un movimento sociale che aveva perso la sua componente di potenza. Divenne un fenomeno inconsistente e meno intelligibile. Storicamente, la fine dell’URSS ha rappresentato la fine della battaglia ideologica bipolare.

Il liberalismo e la globalizzazione hanno decisamente fallito

Tutti coloro che adesso vengono sanzionati e banditi, tutti coloro che vengono accusati quali paesi canaglia o “putinisti”, tutti coloro che vengono emarginati e criminalizzati – bianchi, populisti, identitari, maschi, religiosi, difensori della giustizia sociale, tradizionalisti, conservatori e così via – molto probabilmente saranno i primi ad arrivare al periodo post-liberale. Ma questo non è sicuro e non c’è un piano o una strategia per il futuro. Potrebbe anche rivelarsi una vittoria di Pirro.

 

PUTIN O SUPER-PUTIN

Senza Putin, le élite e il potere in generale perderanno ogni tipo di legittimazione, come sotto Eltsin. Tuttavia, in tutti questi anni non sono state create strutture che riflettessero la posizione del popolo. Ciò in gran parte è dovuto alle peculiarità della società russa, ma in parte è dovuto anche alla strategia delle autorità (e, in particolare, dello stesso Surkov), le quali hanno sottoposto a repressione qualsiasi iniziativa popolare indipendente o l’hanno sostituita con dei simulacri privi di senso. Alcuni simulacri del “popolo” dell’élite sono stati approntati per il dopo-Putin, ma è improbabile che funzionino, dal momento che la questione principale sul destino della Russia dopo Putin si collocherà su un piano storico piuttosto che politico-tecnologico. Il popolo che richiede patriottismo e giustizia sociale si troverà in diretta opposizione all’élite che, seguendo Surkov, cercherà di costruire un “putinismo senza Putin”, che tuttavia in mancanza di Putin non potrà in alcun modo concretizzarsi. È assolutamente impossibile prevedere come andrà a finire tutto questo, ma certamente non quello che scriverà Surkov in merito. Naturalmente, egli per molti versi farà appello ai liberali dormienti e che vedono la fine di Putin precisamente come un ritorno agli anni ’90. Ma essi semplicemente non crederanno a Surkov, e forse è giusto così. Infatti, dal punto di vista delle élite russe, che si considerano parte dell’élite globale, è nel proprio interesse contenere il patriottismo, legarsi all’Occidente, cedere sovranità e sputare sulla legittimazione popolare (come pure sul popolo stesso). Affinché le élite credano nella serietà dell’imperativo patriottico, sono necessarie repressioni dimostrative molto più vaste e sistemiche (e non selettive) di quelle di Putin. Ma Surkov non dice nulla al riguardo. Al fine di preservare l’equilibrio in seno alla società nella prossima fase post-putiniana, è necessario lanciare un attacco contro le élite, imporne l’avvicendamento qualitativo, la loro pulizia, solo questo può mantenere un certo equilibrio. Lo stesso equilibrio esistente oggi in nessun caso si rafforzerà dopo Putin, anzi potrà solo indebolirsi. Di conseguenza, un conflitto risulta inevitabile.