Censura: metafisica della cultura sovrana

La censura liberale nell’Occidente contemporaneo

Il tema della censura non è solo di grande attualità per la nostra società (soprattutto nel contesto del SMO), ma anche filosoficamente fondamentale. La cultura occidentale contemporanea ricorre sempre più spesso alla censura, nonostante cerchi di presentare il liberalismo come l’abolizione di ogni criterio di censura. In realtà, cos’è la censura[1] se non la forma più radicale di censurare qualsiasi idea, immagine, dottrina, opera o pensiero che non rientri nel dogma ristretto e sempre più esclusivista della “società aperta”? Ancora oggi, al Festival di Cannes e in altre prestigiose sedi controllate dall’Occidente, è impossibile passare senza un minimo indispensabile: forme non tradizionali di identità sessuale, diversità razziale, discorso anticoloniale (e di fatto neocoloniale liberale) e così via. Cos’altro se non una censura totalitaria e pandemica è il wokeismo2], cioè un appello a tutti i cittadini a essere “svegli” e a riferire immediatamente alle autorità competenti non appena si nota un accenno di deviazione dai valori liberali – il razzismo (la russofobia è un’eccezione), razzismo (il razzismo è un’eccezione in questo caso, poiché la Russia non è politicamente corretta), “sessismo”, “patriottismo” (ancora una volta il nazismo ucraino è un’eccezione, che è benvenuta in quanto è una lotta contro i “russi”), disuguaglianza di genere (ad esempio, la protezione della famiglia tradizionale normale)? E la famigerata “correttezza politica”[3], che insistentemente e sotto la minaccia di un ostracismo totale ci costringe a evitare certi termini, espressioni, citazioni, formulazioni che potrebbero urtare la sensibilità della società liberale, non è forse censura? Nell’Occidente di oggi siamo di fronte a una vera e propria fioritura della censura e questo è un fatto innegabile, a prescindere dai sinonimi che si possono inventare per questa censura.

La Russia è condannata alla censura sia se segue l’Occidente sia se, al contrario, ne mette in discussione o addirittura rifiuta direttamente le norme e le regole. Siamo già entrati nell’era della censura e ora ci resta da capire veramente: che cos’è?

Il significato della metafora

Iniziamo la nostra riflessione su questo importante argomento con una metafora di base. 4] ha sottolineato che anche nelle scienze naturali, come la fisica, la chimica, la biologia, ecc. la costruzione di una teoria scientifica inizia con la scienza. – La costruzione di una teoria scientifica inizia con una metafora sensuale, a volte puramente poetica. Senza metafora, non ci sarebbe l’idea di atomi, stati della materia, plasma, fluidi e della materia stessa. È quindi legittimo sollevare la questione dell’immagine del censore e della censura in quanto tale.

Di solito, nella mente appare immediatamente la figura di un funzionario dispettoso e limitato, completamente privo di talento e creativamente impotente, che odia deliberatamente l’elemento stesso del talento, la ricerca vivente, invidia i creatori e i geni e cerca di ridurre tutti alla stessa regola. Tale immagine suscita rifiuto e ogni ulteriore discussione sul tema della necessità o meno della censura nella società è costruita intorno a questa brutta caricatura – un personaggio inferiore, basso e volgare. Vogliamo questa censura e questa censura? – Qualsiasi persona di buon senso risponderebbe “no”, “in nessun modo”. Come si svilupperà la discussione è chiaro fin dall’inizio. Alcuni si risentiranno sinceramente, altri difenderanno irrimediabilmente l’immagine e la sua utilità pratica sostenendo che senza di essa le cose sarebbero ancora peggiori, ma se siamo d’accordo con questa metafora di partenza, abbiamo consapevolmente perso. Non saremo in grado di difendere la censura, il che significa che i liberali più abili nella polemica e nella retorica imporranno semplicemente la loro censura alla società – più elegantemente incorniciata e abbinata ad altre immagini chiave – le donne che soffrono per l’arbitrarietà del patriarcato, le minoranze etniche e sessuali oppresse, i migranti clandestini senza documenti parleranno per coloro che imporranno altre regole di censura. Le vittime – o meglio, le immagini artificiali delle vittime, ologrammi accuratamente realizzati – parleranno ora per conto dei giudici e persino dei boia e il pubblico non si accorgerà che nella lotta contro la censura si è trovato sotto il dominio di crudeli e incrollabili censori totalitari. Hanno semplicemente cambiato immagine e non si fanno più chiamare così, ma questo non cambia l’essenza di ciò che fanno e di ciò che impongono alla società.

Se continuiamo a seguire la logica di Gaston Bachelard, dovremmo cambiare l’immagine del censore e otterremo un quadro assolutamente diverso. Immaginiamo il censore come Michelangelo Buanarotti, che scolpisce nella roccia granitica il suo immortale capolavoro, la Pietà. Questo capolavoro assoluto in tutti i sensi si trova nella Basilica di San Pietro in Vaticano.

Un’altra metafora simile – forse su scala più ampia, ma meno raffinata ed espressiva per la mente cristiana – è quella della Sfinge egizia, scolpita a metà del III millennio a.C. a Giza accanto al complesso piramidale[5].

Se il censore incarna l’immagine di Michelangelo o dei costruttori egiziani della Sfinge, la sua funzione è quella di scolpire dal potenziale creativo della società come da una roccia un’immagine sacra raffinata e sofisticata che corrisponda il più possibile all’identità collettiva storica. In altre parole, il censore è una sorta di macro-demiurgo il cui materiale (la roccia) è la totalità delle capacità creative e delle ricerche creative del popolo. Dalla roccia, il censore taglia il superfluo e lascia il necessario. Perché una grande ed elegante statua piena di spirito, di significato e di un’enorme vita interiore creativa nasce in questo modo: tagliando il superfluo.  Tale taglio, anche se doloroso per il marmo stesso, per la carne della roccia, è un atto di creazione superiore. Togliere il superfluo significa lasciare il superfluo, e il superfluo significa il fondamentale, l’essenziale, ciò che era segretamente nascosto nel granito, che è stato intuito e riconosciuto in esso, e da esso, infine, è stato dedotto. Il censore, come Michelangelo, è colui che, nell’informe blocco di marmo, vede la Pietà, cioè Cristo e la Madre di Dio che tengono in braccio il suo corpo santo. E vedendola, taglia sovranamente e liberamente il superfluo che impedisce all’immagine di penetrare l’elemento oscuro del minerale.  Allo stesso modo, gli antichi egizi del tempo del faraone Chefren, guardando la solida roccia calcarea, riconoscono la maestosa e misteriosa figura di Sinfx, il pantherion, prototipo dei cherubini celesti, che unisce caratteristiche animali e umane in una sintesi trascendentale inscindibile.

Il censore crea cultura, e per questo deve possedere il massimo grado di sovranità. Sa sia ciò che deve dare sia ciò che deve lasciare. In effetti, il censore è un creatore, un artista, ma agisce solo a livello dell’intera società, dell’intero popolo. Pertanto, dipende dalla sua qualità più che da un normale creatore. Un creatore ha diritto all’errore, all’esperimento, al fallimento, all’insuccesso. Il censore no. Egli è incaricato dalla società di cesellare un’immagine che la società, la gente porta nel cuore, nell’anima. Quell’immagine, di cui il popolo è gravido, è gravida di pericoli. Non ha il diritto di sbagliare.

Il censore non è un artista

C’è un’altra differenza tra il censore e l’artista. Il censore taglia le cose non necessarie. Non sostituisce l’artista, non è un portatore di energia creativa. Se il censore fosse un creatore, si limiterebbe a identificare il suo lavoro con quello della società, ma questo è un percorso vizioso, chiuderà quelle direzioni che possono andare verso l’immagine cercata per altre vie. Il censore si differenzia da Michelangelo perché non lascia la sua firma sotto l’opera – così lo stesso Michelangelo sotto la Pietà. Non è un artista tra gli artisti. È un asceta, che abbandona volontariamente il proprio potenziale creativo, la propria volontà, a favore di un’opera collettiva, tutta pubblica, universale. Non crea tanto, quanto lascia che gli altri creino, ma solo quelli in cui lui stesso si identifica come creatori della Pietà, non solo pezzi di materiale oscuro che desiderano essere riconosciuti come opera d’arte. Toglie le bave e affila le forme delicate, ma non le crea lui stesso. È l’opera di uno scultore, non quella di un pittore o di un poeta.

Il censore deve quindi essere il custode dell’arte, non il suo creatore spontaneo. In questo senso, una serie di definizioni e formulazioni di Martin Heidegger nella sua opera fondamentale Le origini dell’opera d’arte è più che sempre appropriata.

È significativo che non conosciamo per nome gli autori dell’antica Sfinge egizia, che hanno riconosciuto i suoi tratti nella roccia. Essi rimangono un mistero tanto quanto la Sfinge stessa. In un certo senso, il censore-custode dovrebbe essere più simile a loro: il suo anonimato è parte del suo potere sovrano.

Il censore definisce i limiti, i confini di ciò che è arte e ciò che è semplice marmo. Per poterlo fare, deve essere profondamente legato alla sua cultura, comprenderne la logica, il vettore storiografico, gli orientamenti, la struttura. E per questo deve essere completamente e totalmente sovrano.

Censore come sovrano

È importante stabilire subito che il censore non è una carica dello Stato. Non può essere solo un funzionario che esegue gli ordini di qualcuno. In questo caso non abbiamo a che fare con il censore, ma con un rappresentante del censore, il suo araldo, messaggero, messaggero, e la figura del vero censore ci è semplicemente nascosta nell’ombra. Il censore è portatore di una sovranità assoluta. Non è assunto dal potere e non lo serve, è una parte di questo potere, il suo aspetto organico rivolto al campo della cultura. Gli altri aspetti del potere sovrano sono rivolti ad altri campi: economia, politica estera, difesa, sfera sociale. Il censore porta il peso della sovranità culturale. E in questa materia non ha un’autorità superiore. Chi può imporre a Michelangelo come deve essere la Pietà o come deve essere la Sfinge? Michelangelo l’ha concepita, l’ha creata dalla roccia di marmo. I costruttori egiziani hanno scolpito la Sfinge in pietra calcarea.

Naturalmente Michelangelo stesso e gli architetti egiziani non erano nel vuoto. Michelangelo era parte della civiltà cattolica, un vero figlio della Firenze rinascimentale, portatore di uno spirito storico e geografico molto particolare, di un’identità particolare. Qualsiasi cosa avesse creato, avrebbe creato il cristianesimo e la sua opera viene giudicata in questo modo e in quest’ottica. La Pietà è superiore a Michelangelo, ma nella concettualizzazione e nella presentazione della Pietà è superiore a tutti gli altri, è sovrano in un particolare contesto spirituale. Qui è completamente libero, ma non è libero dal contesto stesso.

Questo si vede ancora più chiaramente negli artefici della Sfinge. Essi sono carne e sangue della tradizione sacerdotale egizia, portatori di una sacralità molto particolare; se il loro sguardo riconosce in un blocco di pietra informe la figura di un essere del mondo spirituale, allora lo sguardo stesso è fondamentalmente strutturato, educato e saturo di quelle immagini che raccoglie dall’ambiente esterno. Gli egiziani portano la Sfinge nella loro anima, nella profondità di se stessi. Ha un rapporto speciale con la loro identità.

Così anche il censore riflette il destino del suo popolo, della sua società, proprio nel momento storico in cui si trova. Avendo compreso e riconosciuto questo, egli è altrimenti libero. Ma non ne è libero. Non solo il censore non è libero dal Paese, dalla sua storia, dall’identità e dal destino del popolo, ma ne dipende più di tutti i creatori. I creatori possono cercare di creare qualsiasi cosa. E non sono certo liberi da contenuti storici e sociali, ma si comportano come se fossero completamente liberi. La loro libertà è limitata da un censore che è molto più responsabile di loro nei confronti della storia. Ma anche lui è limitato, solo in modo diverso. Non dal potere, ma dall’essere, dal capire, dallo scoprire la sua struttura, il suo destino.

La censura come istituzione di giustizia

Ora, con un certo ritardo, passiamo all’etimologia e alla genesi della nozione di censura, di censore. La parola deriva dal latino censeo – “definire”, “valutare”, “dare un significato”, nonché “pensare”, “supporre”. All’origine c’è la radice indoeuropea *kens– “dichiarare”.

Storicamente, l’istituto dei censori è sorto nell’antica Roma ed era indipendente dagli altri rami del governo, chiamato a dare una valutazione obiettiva dello stato materiale, dello stato delle opere pubbliche e del funzionamento delle istituzioni pubbliche, oltre che a controllare l’osservanza della morale. In sostanza, il censore è il responsabile della giustizia, della corrispondenza tra le norme dichiarate della società e lo stato di fatto. È un controllo spirituale sul comportamento delle varie autorità e istanze, basato sul fatto che le regole e le norme di principio devono essere osservate da tutti, sia dall’alto che dal basso.

In altre parole, la censura è un apparato che garantisce la giustizia. Se una società giura su certi ideali, deve seguirli e per farlo ci sono i censori.

Quindi, la censura non è uno strumento di potere diretto contro le masse, ma una certa istanza trascendente destinata a monitorare la giustizia a tutti i livelli, sia in alto che in basso, e che ha il potere di responsabilizzare entrambi.

Il termine censeo, quindi, non significa semplicemente “valutazione”, ma proprio una valutazione equa basata su ciò che è, non su ciò che sembra. È una verifica del vero stato delle cose, indipendente da come chiunque – fino ai circoli più elevati – vorrebbe presentarlo. Alla ricerca di analoghi moderni, la censura in senso romano corrisponde alla moderna nozione di “audit“, cioè di verifica oggettiva e imparziale del reale stato delle cose – in un’azienda, in una società, in un’organizzazione di qualsiasi portata.

Per garantire l’equità, tuttavia, per dichiarare il vero valore, bisogna sapere cosa è giusto. Ciò presuppone che il censore appartenga a un’istanza molto alta dell’essere, che può permettersi di essere indipendente dal senato e dai magistrati (se si prende Roma e il suo sistema), cioè da tutti i rami e livelli del potere. Tale sovranità può essere posseduta solo dai filosofi che, secondo Platone, sono i guardiani, i “custodi dell’essere”, aggiunge Heidegger. La censura, quindi, è in primo luogo una questione di filosofia sovrana.

La censura trascendentale di Lucian Blaga

Il riferimento della censura alla filosofia ci obbliga a guardare ancora più da vicino il contenuto metafisico del concetto e qui possiamo rivolgerci al filosofo rumeno Lucian Blaga, che ha introdotto il concetto di “censura trascendentale”.

Per capire cosa intende Lucian Blaga con “censura trascendentale” è necessario spendere qualche parola sulla sua teoria filosofica in generale. Blaga inizia dicendo che l’Essere Supremo – l’Assoluto e creatore del mondo – è il “Grande Anonimo”[7]. Al Grande Anonimo si possono ragionevolmente applicare vari epiteti elogiativi: “Grande”, “Potente”, “Uno”, “Saggio”, “Eterno”, ecc. ma tranne uno: “Colui che proclama la Verità”, “il Vero”. Per Cartesio era assiomatico che Dio non potesse mentire. Lucian Blaga è propenso a dire il contrario: se il Grande Anonimo rivelasse la verità, il suo potere creativo creerebbe immediatamente il suo doppietto assoluto, che manderebbe in cortocircuito il suo pleroma. Quindi è costretto a dire, se non una vera e propria menzogna, almeno non tutta la verità e, ancora più precisamente, introduce una censura trascendentale – ma ancora una volta non nell’enunciato, bensì nella possibilità fondamentale di una sua adeguata interpretazione. Egli può rivelare tutta la saggezza, ma prima priva colui al quale la rivela della capacità di comprenderla. Questo è il significato di “censura trascendentale”. Se Dio (il Grande Anonimo) volesse creare una creazione veramente perfetta e vera, non farebbe altro che ripetere se stesso; ma questo è impossibile, perché non possono esistere due “dei” completamente identici.; quindi, secondo Lucian Blaga, per far emergere la creazione Dio deve censurare se stesso. Tale censura è l’occultamento di alcuni aspetti – più elevati – della struttura della realtà.

Blaga introduce i concetti di “coscienza paradisiaca” e “coscienza luciferiana”[8]. La prima vede Dio e la realtà nel suo insieme come un triangolo continuo. Non coglie la presenza di una censura trascendentale e pensa l’esistenza come se non esistesse. Il secondo, al contrario, riconosce l’inghippo, ma si ribella alla “censura trascendentale” e cerca di incrinarla (“diventare Dio”).

Quella linea di realtà che separa la parte positivamente accessibile dell’essere da quella sottoposta alla censura trascendentale è ciò che Blaga chiama “orizzonte misterico”. La coscienza paradisiaca pensa che l’ascesa alla scala dei gradini dell’essere sia ininterrotta e non si accorge dell’orizzonte misterioso, cioè del punto in cui la continuità si interrompe.

La coscienza luciferiana è consapevole dell’orizzonte misterico e cerca insistentemente di descrivere quella parte dell’essere che si nasconde dietro il velo censurato, usando gli stessi termini e approcci della realtà che sta sotto l’orizzonte misterico. Si crea così una collisione, di cui possiamo vedere chiaramente gli echi nello stato della civiltà occidentale moderna, che è diventata inequivocabilmente luciferiana e cerca di rompere i veli naturali del mistero – decifrando il genoma, creando l’IA, ecc. Lo schema di Lucian Blaga può essere riflesso nella figura seguente.

Lo stesso Blaga chiede una terza via: non cadere nell’ingenuità di una coscienza paradisiaca che ignora la fessura fondamentale nella struttura della realtà, ma anche non lasciarsi catturare dalla ribellione luciferiana. Bisogna concentrarsi sull’orizzonte del mistero, accettando il mistero, il sacramento come qualcosa di autosufficiente. Sì, Dio non è conoscibile e la verità che ci dà non può mai essere completa. Ci sarà sempre qualcosa di nascosto da un velo impenetrabile. Qualcosa sarà sempre censurato e non lo conosceremo mai.

Questa, però, è la libertà di creare. Siamo liberi di immaginare a nostro piacimento ciò che si trova oltre l’orizzonte del mistero. Non la scienza (luciferismo), ma la cultura[9] è ciò che Dio vuole che facciamo, ciò che ci permette di fare e ciò che ci incoraggia a fare.

In questa situazione il censore assume un significato particolare. Egli veglia sull’orizzonte del mistero per tenerlo al riparo dall’orgoglio satanico, per mantenere la sua inespugnabilità. La creazione è libera finché continua a rispettare il censore trascendentale e il censore si trova nella posizione di qualcuno dotato di una missione superiore: mantenere le proporzioni dell’essere come dovrebbero essere per l’esistenza del mondo, esattamente in quello stato a metà strada in cui è possibile, quando la verità è dialetticamente intrecciata con la non-verità e fino alla fine, dove una finisce e un’altra inizia nessuno lo saprà mai. Fino alla fine del mondo.

La censura in Russia e la Russia

Al di là della figura caricaturale del censore e dato il peso metafisico della “censura trascendentale” nella filosofia di Lucian Blaga, possiamo considerare in modo diverso quei fatti noti che descrivono lo stato della censura nella storia della Russia antica e poi imperiale. Così gli elenchi di libri abiurati nell'”Izbornik del 1073″ non sono solo un elenco di eresie e divieti, ma contengono anche materiale esteso e molto più esteso del patrimonio patristico sacro, che dovrebbe essere preso come standard e norma. Qui la descrizione delle eresie serve a formare un’immagine più contrastante di ciò che è giusto e corretto. “L’Izbornik scolpisce una Pietà o una Sfinge – descrivendo chiaramente l’immagine stessa e contrastando quei frammenti di roccia marmorea o percorsi devianti indebiti da tagliare via. La negazione è inestricabilmente legata all’affermazione, e in generale si tratta di rivelare l’immagine – la piena visione cristiana ortodossa della verità, della bellezza e della bontà. Allo stesso tempo, le profondità della contemplazione spirituale monastica rimangono nascoste. Hanno il loro posto nel regno dell’orizzonte del mistero, che l’ortodossia osserva senza tentare di invadere o criticare direttamente.

Le riforme secolari sotto Pietro e i suoi successori hanno separato la censura spirituale da quella secolare. Fino alla metà del XVIII secolo la fonte della censura secolare era lo zar stesso[10] (a questo proposito ricordiamo quanto detto a proposito della sovranità suprema del censore). In seguito gli zar russi delegarono questo diritto a varie istanze: il Senato, l’Accademia delle Scienze, il Ministero dell’Istruzione Pubblica, il Ministero degli Affari Interni,[11] ecc. Ma si tratta sempre di una delega puramente “commissariale” di alcuni poteri puramente sovrani da parte dello zar. È un’estensione del potere sovrano, non qualcosa di indipendente e speciale.

Una figura eclatante della censura nel XIX secolo fu il conte Sergei Semyonovich Uvarov, che adattò il principio slavofilo di “Ortodossia, Autocrazia, Nazionalità” all’intero sistema epistemologico dell’Impero – alla cultura, all’istruzione, alla politica, ecc. Il monarca appoggiò questo riconoscimento della giustezza slavofila, ma non formulò tanto il contenuto del codice di censura supremo, quanto confermò con la sua suprema autorità la versione proposta. Fu lo stesso Uvarov a fungere da censore, da custode dell’orizzonte misterioso della cultura russa del XIX secolo.

I democratici rivoluzionari e i bolscevichi, che avevano deriso il più possibile la censura zarista, presero il potere nel 1917 e seguirono esattamente la stessa strada, introducendo un rigido codice di censura, ma solo sulla base della propria ideologia. Invece dell’assenza di censura (cosa del tutto impossibile), i bolscevichi introdussero i loro parametri e insistettero su di essi in modo molto più aggressivo, intollerante e radicale rispetto ai censori dell’epoca zarista.

Vediamo qualcosa di simile nei liberali contemporanei, sia russi che occidentali. Criticando e ridicolizzando senza pietà la censura nelle società e nei regimi che non amano, non appena conquistano il potere impongono le proprie regole di censura, ancora più dure e intolleranti, repressive e restrittive. La violazione luciferiana dell’orizzonte del mistero non porta alla liberazione dalla censura, ma a una vera e propria dittatura, sebbene la ribellione stessa inizi con una richiesta di libertà illimitata.

Conclusione

Nella Russia contemporanea esiste certamente la censura, non c’è società che non ce l’abbia, purtuttavia, viene ancora applicata dai liberali a causa dell’inerzia degli anni Novanta. Sono loro che, avendo usurpato questo diritto e non avendo intenzione di rinunciarvi nemmeno nelle nuove condizioni, continuano a detenere il monopolio della censura nella Federazione Russa. Le condizioni della SMO richiedono nuove azioni, linee guida e metodi da parte delle autorità, ma finora i liberali hanno affrontato la situazione con mezzi puramente tecnici. Il liberalismo, anche se abbinato alla nozione di sovranità, rimane il codice di censura. In generale, l’élite – compresa soprattutto l’élite epistemologica – è solidale con il codice culturale occidentale e blocca ostinatamente il codice patriottico – slavofilo, ortodosso -. Da qui le contraddizioni con la logica della censura: tutto ciò che corrisponde, soprattutto, all’atteggiamento liberale viene accettato e sostenuto nella cultura, ma unito alla fedeltà al regime e – anche se non – al riconoscimento della sovranità della Russia. Tutto il resto viene rifiutato. Il censore sovrano del potere non sta ancora ritagliando un’immagine ortodossa della società russa, ma un ibrido postmoderno di “capitalismo sovrano”.

Ovviamente, abbiamo bisogno di un altro e diverso censore.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini