Esiste una filosofia politica nella tradizione neoplatonica?

“Perché lo Stato è l’uomo in versione grande e l’uomo è lo Stato in formato piccolo”. Ф. Nietzsche

Friedrich Nietzsche, nelle sue lezioni sulla filosofia greca, ha definito Platone un rivoluzionario radicale. Platone, nell’interpretazione nietzschiana, è colui che supera la nozione greca classica di cittadino ideale: il filosofo di Platone diventa al di sopra della religiosità, contemplando direttamente l’idea del Bene, a differenza delle altre due proprietà (guerra e artigiani).

Ciò riecheggia piuttosto da vicino il modello di teologia platonica del neoplatonico Proclo, dove gli dèi occupano la posizione più bassa nella gerarchia del mondo. Ricordiamo che nella sistematizzazione di Festugier, la gerarchia del mondo di Proclo è la seguente:

– Il sopra-sostanziale (in cui ci sono due inizi: il limite e l’infinito),

– il mentale (essere, vita, mente),

– intermedio (mente-pensiero: oltre, celeste, celeste, sotto),

– pensiero (Crono, Rea, Zeus),

– Divinità (capi divini, distaccati, intra-cosmici).

Plotino pone le forme al di sopra degli dèi. Gli dèi sono solo contemplatori di forme assolutamente ideali.

“Portati alla Sua riva dall’onda della mente, salendo al mondo spirituale sulla cresta dell’onda, si comincia subito a vedere, senza capire come; ma la vista, avvicinandosi alla luce, non permette di discernere nella luce un oggetto che non è luce. No, allora è visibile solo la luce stessa. Non esistono separatamente l’oggetto accessibile alla vista e la luce che permette di vederlo, così come non esistono separatamente la mente e l’oggetto pensato. Ma c’è la luce pura stessa, da cui poi nascono questi opposti”.

Il Dio-Demiurgo nel Timeo crea il mondo secondo gli schemi del mondo delle idee, occupa una posizione intermedia tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile – così fa il filosofo, stabilendo la giustizia nello Stato. Si tratta di un concetto piuttosto rivoluzionario per la società greca antica. Porre un’altra essenza al di sopra degli dèi, un pensiero sovra-religioso e filosofico.

Il dialogo Repubblica di Platone costruisce una filosofia psicologica e politica non classica. I tipi di anima sono confrontati con i tipi di struttura statale, da cui derivano diverse concezioni della felicità. L’obiettivo di ogni persona, governante e subordinata, è costruire uno stato equo e coerente con la gerarchia ontologica del mondo. È questo concetto di interpretazione della politica e dell’anima come manifestazione dell’asse ontologico che Proclo Diadochos sviluppa nel suo commento ai dialoghi di Platone.

 

Mentre è facile parlare della filosofia politica di Platone, è molto più difficile parlare della filosofia politica della tradizione neoplatonica. Di solito il neoplatonismo era percepito come una metafisica che mirava alla divinizzazione dell’uomo (“assimilarlo a una divinità”), vista separatamente dalla sfera politica. Tuttavia, questa visione della filosofia neoplatonica è incompleta. Il processo di “assimilazione alla divinità” di Proclo, che deriva dalla funzione metafisica del filosofo di Platone, implica anche il Politico che vi è incluso. La divinizzazione avviene anche attraverso la sfera politica. Nel libro VII del dialogo Repubblica, nel mito della caverna, Platone descrive un filosofo che fugge dal mondo delle lance e sale nel mondo delle idee, per poi tornare di nuovo nella caverna. Così, il processo di “assomigliare a una divinità” ha una direzione biunivoca: il filosofo volge lo sguardo alle idee, supera il mondo dell’illusione e si eleva al livello della contemplazione delle idee e, quindi, dell’idea del Bene. Tuttavia, questo processo non si conclude con la contemplazione dell’idea del Bene come stadio finale – il filosofo torna alla caverna.

Che cos’è questa discesa del filosofo, che ha raggiunto il livello della contemplazione delle idee, nel mondo non vero delle ombre, delle copie, del divenire? Non è forse un sacrificio del filosofo-regista per il popolo, per il suo popolo? Questa discesa ha un’apologia ontologica?

Georgia Murutsu, studiosa dello Stato di Platone, suggerisce che la discesa ha un doppio significato (un appello alla lettura del platonismo da parte di Schleiermacher):

1) l’interpretazione exoterica spiega la discesa nella caverna con il fatto che è la legge che obbliga il filosofo, che ha toccato il Bene attraverso il potere della contemplazione, a rendere giustizia nello Stato, a illuminare i cittadini (il filosofo si sacrifica per il popolo);

2) Il senso exoterico della discesa del filosofo nel mondo inferiore (nell’area del divenire) corrisponde a quello del demiurgo, riflette l’emanazione della mente del mondo.

Quest’ultima interpretazione è diffusa nella tradizione neoplatonica. Il ruolo del filosofo è quello di tradurre ciò che contempla eideticamente nella vita sociale, nelle strutture statali, nelle regole della vita sociale, nelle norme dell’educazione (paideia). Nel Timeo la creazione del mondo è spiegata dal fatto che il Bene (transustanziando la “sua bontà”) condivide il suo contenuto con il mondo. Allo stesso modo, il filosofo che contempla l’idea del Bene, come questo stesso Bene, riversa la bontà sul mondo, e in questo gesto di emanazione crea ordine e giustizia nell’anima e nello Stato.

“L’ascesa e la contemplazione delle cose superiori è l’ascesa dell’anima nel regno dell’intelligibile. Se ammetterete tutto questo, comprenderete il mio caro pensiero – se presto aspirerete a conoscerlo – e Dio sa se è vero. Ecco cosa vedo: in ciò che è percepibile l’idea di bene è il limite ed è appena percepibile, ma non appena è percepibile lì, ne consegue che è la causa di tutto ciò che è giusto e bello. Nel regno del visibile dà origine alla luce e al suo dominatore, ma nel regno del concepibile è esso stesso il dominatore da cui dipendono la verità e la ragione, e ad esso deve guardare chi vuole agire consapevolmente sia nella vita privata che in quella pubblica”.

Vale la pena notare che il ritorno, la discesa nella grotta, non è un processo unico, ma un processo che si ripete costantemente (regno). È l’emanazione infinita del Bene nell’altro, dell’uno nei molti. E questa manifestazione del Bene si definisce attraverso la creazione di leggi, l’educazione dei cittadini. Pertanto, nel mito della grotta è molto importante sottolineare il momento in cui il sovrano scende sul fondo della grotta – il “catodo”. La visione delle ombre dopo la contemplazione dell’idea del Bene sarà diversa dalla loro percezione da parte dei prigionieri, che sono rimasti tutta la vita nell’orizzonte inferiore della caverna (al livello dell’ignoranza).

L’idea che siano la deificazione e la particolare missione kenotica del filosofo nello Stato di Platone, nella sua interpretazione neoplatonica, a costituire il paradigma della filosofia politica di Proclo e di altri neoplatonici successivi, è stata espressa per la prima volta da Dominic O’Meara. Riconosce l’esistenza di un “punto di vista convenzionale” nella letteratura critica sul platonismo secondo cui “i neoplatonici non hanno una filosofia politica”, ma esprime la convinzione che tale posizione sia sbagliata. Invece di contrapporre l’ideale della theosis, la teurgia e la filosofia politica, come fanno spesso gli studiosi, egli suggerisce che la “theosis” deve essere interpretata politicamente.

La chiave della filosofia implicita della politica di Proclo è quindi la “discesa del filosofo”, κάθοδος, la sua discesa, che ripete, da un lato, il gesto demiurgico e, dall’altro, è il processo di emanazione dell’Elemento, πρόοδος. Il filosofo che scende dalle vette della contemplazione è la fonte di riforme giuridiche, religiose, storiche e politiche. E ciò che gli conferisce legittimità nel campo del Politico è proprio la “somiglianza con la divinità”, la contemplazione, il “sorgere” e il “ritornare” (ὲπιστροφή) che egli compie nella fase precedente. Il filosofo, la cui anima è diventata divina, riceve la fonte dell’ideale politico dalla sua stessa sorgente ed è obbligato a portare questa conoscenza e la sua luce al resto dell’umanità.

Il re filosofo nei neoplatonici non è specifico per il genere. Anche un filosofo donna può trovarsi in quel posto. O’Meara considera le figure tardo-ellenistiche di Ipazia, Asclepigenia, Sosipatra, Marcello o Edesia come prototipi di tali governanti filosofi elogiati dai neoplatonici. Sosipatra, portatrice del carisma teurgico, in quanto capo della Scuola di Pergamo, appare come una regina di questo tipo. Il suo insegnamento è un prototipo dell’ascesa dei suoi discepoli sulla scala delle virtù verso l’Unico. Ipazia di Alessandria, regina dell’astronomia, presenta un’immagine simile nella sua scuola alessandrina. Ipazia è nota anche per aver dato ai politici della città consigli sul modo migliore di governare. Questa condiscendenza nella caverna della gente dall’alto della contemplazione è ciò che le costò la sua tragica morte. Ma lo stesso Platone – sull’esempio dell’esecuzione di Socrate – prevedeva chiaramente la possibilità di un simile esito per un filosofo sceso nel Politico. È interessante notare che i platonici cristiani vedevano in questo un prototipo della tragica esecuzione di Cristo stesso.

Platone preparò una discesa simile per se stesso, proponendosi di creare uno stato ideale al sovrano di Siracusa, Dionisio, e venendo venduto a tradimento come schiavo dal tiranno adultero. L’immagine neoplatonica della regina-filosofa, basata sull’uguaglianza delle donne assunta ne Repubblica di Platone, è una particolarità nell’idea generale del legame tra la teurgia e il regno del Politico. È importante per noi che l’immagine data da Platone dell’ascesa/discesa del filosofo dalla caverna e del suo ritorno nella caverna, abbia un’interpretazione strettamente parallela nell’ambito del Politico e del Teurgico. Questo è il cuore della filosofia politica di Platone e non poteva non essere compreso e sviluppato dai neoplatonici. Un’altra questione è che Proclo, trovandosi nelle condizioni della società cristiana, non fu in grado di sviluppare pienamente e apertamente questo tema, oppure i suoi trattati puramente politici non sono giunti fino a noi. L’esempio di Ipazia dimostra che la cautela di Proclo non era superflua. Tuttavia, essendo consapevoli del fatto che l’ascensione/discensione è stata inizialmente interpretata sia metafisicamente, sia epistemologicamente, sia politicamente, possiamo considerare tutto ciò che Proclo ha detto sulla teurgia in chiave politica. La divinizzazione dell’anima del contemplativo e del teurgo lo rende un vero politico. La società può accettarlo o meno. Qui il destino di Socrate, i problemi di Platone con il tiranno Dionigi, e la tragica morte di Cristo, sulla cui croce era scritto “INRI – Gesù il Nazareno Re dei Giudei. È il Re che è sceso agli uomini dal cielo ed è risalito al cielo. Nel contesto del neoplatonismo pagano di Proclo questa idea di potere politico veramente legittimo avrebbe dovuto essere presente e costruita esattamente sullo stesso principio: solo chi è “disceso” ha il diritto di governare. Ma per scendere, bisogna prima salire. Pertanto la teurgia e l'”assomigliare a una divinità”, pur non essendo procedure politiche in sé, contengono implicitamente il Politico e, per di più, il Politico diventa platonicamente legittimo solo attraverso di esse.

La “somiglianza con una divinità” e la teurgia dei neoplatonici contengono in sé una dimensione politica, che si incarna al massimo nel momento della “discesa” del filosofo nella caverna.

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini