Il futuro si chiama Eurasia

Il futuro si chiama Eurasia. Intervista a Alexander Dugin

di Andrea Marcigliano

In primo luogo viene spontaneo chiederle cosa sia l'Eurasismo. Una dottrina politica, una filosofia, una forma particolare di tradizionalismo?

L'Eurasismo è, innanzi tutto, un modo di concepire la dimensione della "storia". Non più nel "tempo" bensì nello "spazio". E' il rifiuto di vedere quella che siamo usi chiamare "storia" come determinata da una successione di rapporti di causa ed effetto disposti nel tempo. L'ottica è invece quella della "geografia". I popoli, le civiltà nascono e fioriscono in ben precisi ambiti geografici, che ne determinano caratteri e specificità. E che ne definiscono, però, anche i destini politici. Quest'ottica è fondamentale. Se l'applichiamo, possiamo comprendere che le culture, le civiltà sono naturalmente diverse tra loro. E come una particolare pianta cresce e prospera in un determinato terreno e non in un altro, così avviene anche per i modelli culturali e politici. Noi russi non siamo "occidentali". Non siamo neppure europei in senso stretto. Siamo, per natura, "eurasiatici". La nostra cultura profonda è il prodotto dell'incontro/scontro tra Europa ed Asia. E la nostra vocazione è quella di essere il ponte fra i due "continenti". Intesi come "continenti" geografici, ma, al contempo, come due diverse forme dello Spirito e della Tradizione. 

Allora l'Eurasismo è una dottrina politica che tende a riaffermare l'idea della Russia come un vasto Impero contrapposto a quello occidentale degli USA?
Solo in un certo senso. La visione eurasista si riallaccia alla dottrina dei "grandi spazi" di Carl Schmitt. E quindi all'idea che vi sia un'antitesi tra Behemot, il titano della Terra, e Leviathan, il gigante del Mare. Leviathan è, oggi, ovviamente l'America, che estende il suo controllo sui mari e attraverso gli spazi marittimi. Ma che è anche "mare" perché rappresenta una visione "fluida" della società, formata da individui atomizzati, privi di radici. La Russia, o meglio l'Eurasia è, invece, Behemot, perché legata al "Nòmos della Terra". Alla Tradizione ed alla difesa dei popoli e delle loro culture specifiche ed originarie. Ma quest'antitesi non va vista su di un piano puramente politico. Non vuole essere una riproposizione dell'antitesi USA/URSS della guerra fredda. Piuttosto è un'antitesi "culturale". Di "modelli culturali". Nella quale ci giochiamo l'avvenire. Se il mondo del futuro sarà solo un unico amalgama privo di differenze e specificità, o se, all'opposto, le differenze avranno ancora diritto di cittadinanza. E questa è l'unica chiave per un autentico "multilateralismo". Un "multilateralismo" tra culture e tradizioni diverse tra loro, che si rispettino reciprocamente. L'America, l'Europa, l'Eurasia rappresentano entità distinte che non devono venire confuse tra loro. Non vi deve essere una forma di neocolonialismo culturale tesa ad annichilire le differenze. 

Lei ha tradotto in russo Evola e Guenòn. Ciò significa che la sua filosofia si riallaccia al tradizionalismo?
Ho molta considerazione per autori come Evola e Guenòn, che hanno saputo riproporre e riscoprire i simboli e le forme della Tradizione orientale ed occidentale. Ma non sono un "tradizionalista" in senso stretto. Del "tradizionalismo" rifiuto la tendenza a cristallizzarsi in delle forme predefinite. Penso che la Tradizione sia un ente spirituale vivente, sia Spirito che, come diceva san Paolo, "soffia dove vuole". Noi dobbiamo, oggi, ritrovare la connessione viva con lo spirito della nostra Tradizione. E attualizzarne il linguaggio. Perché questa è la chiave di volta per affrontare le sfide della modernità. 

Una domanda ovvia, per noi italiani. L'Eurasismo è di "destra" o di "sinistra"?
L'antitesi destra/sinistra ha per me poco senso. E' superata dai tempi. In Russia oggi esistono molte "destre" incompatibili fra loro. E così pure per le "sinistre". Personalmente ho stima di un patriota nazionalista come è Putin, del quale pure critico la politica in Cecenia, dove andrebbero riconosciuti i diritti all'autonomia e, soprattutto, al rispetto della propria tradizione del popolo ceceno. E ho stima, e buoni rapporti, anche con Zyuganov, il leader dei neocomunisti, che, però, ha cercato una sua sintesi tra ideologia comunista e tradizione nazionale russa. Le differenze non sono più fra destra e sinistra, ma tra coloro che si richiamano ad una precisa identità culturale e nazionale, tra coloro che si rifanno allo "Spirito del popolo" e quelli che, all'opposto, tendono ad una visione internazionalista, uniformante, come poteva essere il marxismo ortodosso ieri, e come è oggi un certo liberalismo occidentale. Il mio sogno è, in fondo, l'incontro tra una "destra sociale" ed una "sinistra identitaria". In una nuova sintesi. 

Alexander Dugin, il pensatore russo teorico del neo-Eurasismo, è stato a Roma nelle scorse settimane per presentare l'edizione italiana del suo saggio "Eurasia. La Rivoluzione Conservatrice in Russia", pubblicato da Nuove Idee. L'opera di Dugin è, sino ad oggi, ancora ben poco conosciuta in Italia se non in cerchia abbastanza ristrette; fatto che non deve stupire, in quanto il politologo russo si muove in un a direzione assolutamente antitetica al conformismo vigente nella nostra cultura politica. E tuttavia, l'Eurasismo non è solo un'ardita concezione teorica, prodotto di un ristretto gruppo di letterati e sognatori. Al contrario è una dottrina dalle radici antiche, che affondano nell'evoluzione del pensiero degli "slavofili" del secolo XVIII, e che si è venuta, poi, meglio definendo nel corso dell'800 e del primo `900, con autori come Leontiev prima e poi, soprattutto, Lev N. Gumilev, il grande studioso delle civiltà delle steppe eurasiatiche, perseguitato durante gli anni oscuri del regime sovietico. Lo stesso Dugin, che possiamo considerare il fondatore del neo-eurasismo, ha conosciuto nell'ultimo scorcio dell'epoca sovietica le persecuzioni e la detenzione forzata in quanto "dissidente" in un manicomio. Ma è stato poi, anche, un fermo oppositore del governo di Eltsin, della svendita della cultura e della tradizione russa in nome di una generica, caotica, apertura ai modelli della "liberal-democrazia" occidentale. Oggi insegna geopolitica all'accademia Militare di Mosca, all'università del Kazakhistan e, dopo aver rivestito il ruolo di consigliere per la politica estera del Presidente della Duma, esercita una crescente influenza sulla politica russa e sugli stessi ambienti del Cremlino.