Metafisica della censura

La frontiera e il censore

In questa tesi non discuteremo tanto delle funzioni pragmatiche e tecniche della censura, quanto del suo speciale status intellettuale e metafisico.

Per definizione, il censore è situato in un punto specifico dello spazio semantico e intellettuale, cioè sulla linea di confine tra mondi culturali diversi, sulla linea tratteggiata tra “questo” e “altro”, tra l’essere e il nulla, tra l’uno e i molti, tra l'”altro” e l'”altra”.  Questa linea di confine non è una linea sottile, una linea su un piano, che separa tradizioni, società e visioni del mondo. Rappresenta un territorio tridimensionale, un universo qualitativo di significato (con dimensioni orizzontali e verticali), che Daria Dugina ha chiamato “frontiera”, uno spazio di intersezioni semantiche, interazioni, scontri, disaccordi, guerre, trattati e riconciliazioni. Esiste una censura orizzontale e una verticale: nel primo caso si giustappongono gli strati superficiali, planari, fattuali, fenomenologici degli spazi culturali, mentre nel secondo caso si giustappongono i livelli profondi, essenziali, dei significati. Il censore si trova al complicato incrocio tra interno ed esterno, interno ed esterno delle tradizioni, delle visioni del mondo, dei paradigmi mentali, degli stereotipi, delle pratiche spirituali e delle percezioni teoriche. Si presenta come ricercatore, esperto e giudice, ammettendo nel suo territorio “qualcosa di estraneo” – alieno, proveniente dall'”altra parte”, valore diverso, ideologicamente incomparabile. Parallelamente, il censore agisce come un posto di frontiera, una guardia che si oppone al significato ostile e rifiuta a certi contenuti di penetrare nella propria cultura. Il censore definisce la possibilità e i confini dei contatti sostanziali e dell’assimilazione di idee, ideologie, valori; esprime un giudizio sulla vicinanza o l’incompatibilità di idee e principi di visione del mondo che si confrontano (incontrati sulla frontiera). Svolge il servizio di guardia di frontiera intellettuale, è responsabile delle guerre di “frontiera”, delle aree tra i mondi – semantiche, culturali, di civiltà. Vigila su come un insieme di tesi si inserisce nel contesto delle disposizioni di un’altra cultura.

Guardando alle funzioni della censura nella società New Age, possiamo dire che la censura era per lo più percepita come un atto sacrale misterioso che mirava a limitare l’accesso alle conoscenze segrete, iniziando i deboli di spirito, e allo stesso tempo a fornire l’accesso alle stesse conoscenze e abilità ai forti di spirito e alle persone perbene. La duplice funzione della censura implicava un alto grado di padronanza da parte dei censori dei principi e dei paradigmi delle culture presenti nelle terre di confine, la capacità di diacrisi (distinguere) e di ricerca dell’unità delle culture, elevandole a un possibile fondamento unitario superiore.

Il guardiano della soglia

Nella mitologia e nelle pratiche iniziatiche religiose esiste un personaggio speciale, il Guardiano della Soglia, che dovrebbe incontrare l’eroe, il vagabondo spirituale, il cercatore di un oggetto magico o di conoscenza sulla linea di confine (“gap di livello”), fare una sorta di certificazione del suo status iniziatico e lasciar passare l’eroe se le sue qualità soddisfano i requisiti per il passaggio a un nuovo livello, o proibire il passaggio se il potenziale eroe è insostenibile. Il censore è, in un certo senso, un partecipante all’azione iniziatica: sia guardiano che guida. Deve custodire i valori di un lato della frontiera contro le sfide e gli sconfinamenti dell’altro lato e allo stesso tempo aiutarli a interagire osmoticamente, a opporsi, a entrare in contatto, a penetrarsi reciprocamente. Il servizio doganale della “guardia di soglia” è un test per l’eroe che cerca di attraversare il confine, la “linea rossa”, e per la guardia che decide se qualcuno o qualcosa, in quanto portatore di qualche conoscenza, significato o azione, è degno di affrontare il confine, l’altra cultura, la trama del mondo alternativo, i nuovi topoi dati agli altri dei. Il suo compito è quello di far passare l’impulso forte e il senso creativo e di spaventare l’essenza debole e indegna. Il mondo moderno ci presenta cinicamente un simulacro di tale censore: il “controllo del volto” all’ingresso di una discoteca. Nelle fiabe russe i fratelli maggiori del condizionale Ivanushka il Matto, andando alla ricerca di una persona scomparsa o di un oggetto magico, spesso scompaiono e poi vengono ritrovati in piedi davanti a una certa soglia.

Censore: sacerdote-guerriero sovrano

La linea di confine che collega e divide mondi diversi è pericolosa, inaspettata e rovinosa. Il censore (il guardiano della soglia) deve stabilire se entrambe le parti sono pronte a incontrarsi: attraversare la soglia può richiedere un sacrificio, un prezzo simbolico di ammissione. La procrastinazione, cioè l’indecisione, il rinvio del passaggio a un nuovo livello, è il fenomeno psichico più importante dell’attraversamento della soglia, del raggiungimento del nuovo.  Il censore solleva il velo, in questo senso è il signore supremo. Il censore è un filtro. È una guida, un pedinatore. Per percepire l’altro, il nuovo, deve compiere un atto di dissoluzione, sciogliendo i dogmi e i filtri incalliti. Il censore è invitato a diventare un alchimista, a dissolvere gli stereotipi abituali della percezione e allo stesso tempo a essere in grado, pur cambiando, di non cambiare. È chiamato a sconvolgere il vecchio sistema di accordi e convenzioni e a permettere al nuovo di adattarsi, cioè ad agire in modo rischioso, estremo, pericoloso. Il censore deve essere sia un saggio – per conoscere e capire – sia un guerriero – per osare infrangere i limiti e combattere per essi. È chiamato a essere allo stesso tempo sovrano, re sacro, destinato a stabilire canoni e a lottare per essi, a non arretrare, nemmeno in ritirata.

Censori in una fiaba, la gestalt di Baba-Yaga

La censura è la pratica di collegare e scollegare tesi, dottrine, dogmi e Logos, tutti allo stesso tempo. È la sovrapposizione e la comprensione simultanea di due contenuti intellettuali opposti, è la loro difesa e allo stesso tempo il rischio della loro mescolanza, discrepanza, sproporzione, quando un contenuto si inserisce nell’altro, quando il “molti” assorbe l’Unità (come nelle ultime ipotesi del “Parmenide” platonico), quando “questo uccide quello” (come nel romanzo di Victor Hugo “Notre Dame de Paris”). La censura è la situazione archetipica dell’incontro tra “questo e quello”, tra il mondo del sé e il mondo dell’altro, tra il conscio e l’inconscio, tra il mondo dei vivi e quello dei morti. È un duello tra la vita e la morte. V.Y. Propp, geniale restauratore delle strutture delle fiabe russe, vede la peripeteia dei suoi protagonisti come un grande viaggio iniziatico ai confini tra la vita e la morte, tra la foresta e il mondo sotterraneo, dove i “guardiani della soglia” (custodi della prassi iniziatica) e quindi censori sono Baba-Yaga, Serpente-Gorynych, Koschey l’Immortale e altri sinistri personaggi.

Biforcazione del censore. Schizofrenia

La censura implica una significativa destabilizzazione della normale percezione del mondo, provoca un’esperienza di dissonanza cognitiva e uno scontro tra i contenuti semantici di epoche e spazi diversi. In un certo senso, il censore perde il contatto con la normalità, la sua coscienza si divide inevitabilmente, sperimenta un vero e proprio confronto interiore, trasformandosi in uno schizofrenico. La frontiera della censura può essere associata a un salto, a una rottura del livello, a un trauma sia per il sottocensore che subisce questa esperienza sia per l’attore che esegue la censura, cioè sia il soggetto che l’oggetto della censura, che a volte può combinare questi lati del processo e scambiare gli status.

Contro l’apeiron

La censura è la supervisione e il controllo di alcune attività intellettuali. È solo su alcune di esse? O su tutte? Ci sembra che si debba sottolineare la natura universale e onnicomprensiva dei divieti e delle restrizioni al pensiero, all’enunciazione, alla parola, al Logos nell’universo umano. È interessante notare che l’esistenza stessa dei confini, cioè delle distinzioni tra l’uno e l’altro, è la posizione del limite di una certa sequenza di trasformazioni, cioè l’attuazione della censura. Il limite (greco πέρας) è sempre stato salutato nell’antica Grecia come ordine e armonia, mentre il termine apeiron (ἄπειρον) “illimitato”, “indefinito” significava incommensurabile caos distruttivo, che richiedeva un superamento.

Se ci rivolgiamo alla tradizione platonica, la censura si rivela un processo pervasivo. In Platone la dinamica olistica del mondo si esprime nella formula “mettere il sigillo dell’eternità sul processo del divenire”. L’eternità (idee, eidos, strutture ideali del mondo) censura il movimento, il cambiamento, il divenire.

La censura del mito gnostico

L’universalità e la costruttività della censura da un lato, e contemporaneamente la sua repressività e limitazione dall’altro, è curiosamente illustrata nelle versioni gnostiche delle prime comunità cristiane, che insistono sul principio della dualità del mondo, sulla presenza, accanto al pleroma perfetto del cielo, di una creazione imperfetta, fallita, malvagia del mondo a partire da una “luce oscura”, la presenza di qualche crepa in Dio. Con gli gnostici appare un “censore malvagio” nella persona del “demiurgo malvagio”, che è emerso dal nervo segreto della grande Divinità e si è impadronito di una serie di poteri dalla pienezza assoluta (pleroma), creando una linea di transizione limitante dall’universo materiale inferiore agli eoni spirituali del cielo. Questo guardiano ignorante e imperfetto delle sfere inferiori del cosmo, che ha usurpato i poteri divini e ha mantenuto l’anima umana caduta nel mondo materiale alienato, esercita negli gnostici proprio una censura cosmologica, chiudendo il ritorno dell’anima ai regni superiori degli eoni divini. Così il demiurgo gnostico non appare come un mediatore onnisciente e onnicomprensivo dei mondi contigui (buon censore), ma come un arconte carceriere illetterato e limitato, che cerca di impedire il passaggio dell’anima umana attraverso la porta della salvezza verso l’alto, verso il cielo, consegnandola alla sventura (Εἱμαρμένη), di necessità, alle casematte del demiurgo. È interessante notare che l’indicazione della censura universale all’interno dell’ordine universale pleromico è contenuta nel fondamento stesso del mito gnostico della luce oscura del Dio supremo, l’ignoranza, la congettura e la ribellione di Pistis Sophia, che scoprì gli eoni superiori della pienezza celeste (pleroma) e per la sua curiosità e l’audacia della ribellione anti-gerarchica fu precipitata per punizione nelle regioni inferiori del cosmo. In altre parole, nel platonismo dualistico gnostico il comportamento degli eoni stessi è censurato, e Pistis Sophia, avendo violato l’ordine del mondo e volendo avvicinarsi all’abisso ineffabile, viene gettata giù, diventando contemporaneamente sia un’infrattore dell’ordine che si ribella alla censura, cioè il soggetto dell’anti-censura, sia l’oggetto della censura di eoni più alti di lei. Inoltre, Sophia (nel Valentino gnostico) produce un demiurgo che crea la linea di demarcazione tra la pienezza del cielo e il cosmo-universo. Sofia diventa oggetto e soggetto di censura, dapprima violando l’ordine e desiderando illegalmente avvicinarsi all’eone superiore – la profondità – e poi venendo scartata dai guardiani dell’ordine, censori della roccia celeste, crea lei stessa il demiurgo che diventa censore e creatore della linea di demarcazione tra l’alto e il basso dell’universo.

Un altro importante valore metafisico del censore è la sua funzione protettiva, apofatica, la funzione di nascondere le ultime basi, la profondità possibile del primordiale, del Padre, del Pervaeon, dell’Assoluto, della potenza assoluta, della potenza di ogni e qualsiasi esistenza. Le profondità insondabili si esprimono nel silenzio assoluto, paragonabile alla censura (divieto) assoluta della Parola, del Logos. La Sofia ribelle del pantheon gnostico, desiderosa di conoscere la verità del primordiale, aspirava all’abisso più alto dell’essenza indicibile del pleroma, ma la sua incapacità di penetrarvi la gettò nel dolore e nella perplessità, provocando l’incontro con il limite (ὅρος), che mise ogni cosa nel suo giusto ordine e le restituì il suo posto nel pleroma, spedendola nelle regioni inferiori dello spazio. Lo scopo di tale censura è riabilitare l’ordine e ripristinare le vere proporzioni.

Una piramide con il vertice tagliato

Una visione paradossale della grande censura metafisica è presente nella dottrina fantasmagorica del filosofo rumeno del XX secolo con una forte inclinazione gnostica, Luciano Blaga. La figura principale della filosofia di Blaga è il Grande Anonimo, il principio supremo, l’Assoluto, il centro del potere creativo. Se il Grande Anonimo, sostiene Blaga, agisce nella modalità della sua assolutezza, allora anche tutte le sue creazioni saranno assolute, portando a due o più “Assoluti”. Tuttavia, può esistere un solo Assoluto. L’emergere di un “secondo Assoluto” violerebbe l’assolutezza del primo. Per questo motivo, l’Assoluto implica deliberatamente nelle sue creazioni un’imperfezione e un’incapacità di riconoscere la sua totalità come Assoluto, perché riconoscerlo pienamente significa diventare Assoluto. Questa è la “censura trascendentale”.

Con il Bene, la situazione di tale censura è rappresentata simbolicamente sotto forma di piramide, con la cima tagliata e separata dalla base. L’uomo nella sua cognizione può raggiungere solo l’altopiano della figura volumetrica trapezoidale. Questa superficie superiore della piramide tronca, limite della conoscenza e dell’avvicinamento alla conoscenza e alla rivelazione divina, è ciò che Blaga chiama “orizzonte misterioso”. Al di sopra di esso svetta il vertice della piramide, mai raggiunto dall’uomo nella sua conoscenza o nella sua esperienza mistica.

L’uomo, secondo Blaga, è un animale che ha subito una “mutazione ontologica”: aspira a guardare “lassù”, “oltre l’immediato, nella perfezione del trascendente”, e a dimorare “nell’orizzonte del mistero e della rivelazione”. È colui che anela a conoscere l’Assoluto inconoscibile, ma che non potrà mai farlo, perché allora diventerebbe uguale a Dio, cosa impossibile, perché la censura lascia una distanza eterna tra l’uomo e Dio.

La cultura è un’aspirazione a superare la censura, è un lancio nell’impossibile, la cultura non è utilitaristica, è misteriosa e metaforica. La civiltà, al contrario, è il desiderio di mantenere la censura. È funzionale e tecnica. La cultura è creatività, la civiltà è produzione.

Ci sembra che anche l’idea kantiana del carattere trascendentale della conoscenza umana e dell’irraggiungibilità della cosa trascendentale in sé possa essere vista come una censura totale imposta alla cognizione umana da un qualcuno inconoscibile.

In linea di principio, la censura è qualsiasi velo, barriera, chador o veletta esistente o proclamata (compreso il velo sul capello di una donna).

Censura in paradiso

Per censura si intende la restrizione o il divieto di una parola, di un pensiero, di un’azione, di una pratica, di un’espressione o di un sistema di opinioni che non è conforme alle leggi, alle linee guida, alle politiche, alle regole, alle tradizioni, alle norme, ecc. accettate da una collettività o da una società. Dio nel paradiso proibì ad Adamo ed Eva una sola azione: mangiare dall’albero della conoscenza del bene e del male. Si trattava forse di un divieto sul tema del dualismo del mondo, della sua divisione in bene e male, un divieto di conoscere ciò che è male.

Non vediamo forse qui i primi gesti di restrizione della libertà, i primi echi della censura? Il Paradiso stesso è una sorta di luogo felice separato dall’altro mondo da un confine – un luogo essenzialmente sottoposto alla censura divina nella sua bontà di separazione. Ma anche nel luogo buono è necessaria un’ulteriore censura, cioè definire il confine di ciò che è considerato inaccettabile, malvagio, inaccettabile, punibile con la morte. Un secondo atto di buona censura da parte di Dio?

Censurare l’animale

Nella teoria della psicoanalisi di Z. Freud la teoria della psicoanalisi ha due istanze responsabili della censura dell’inconscio: la struttura del sé e la struttura del super-sé. Allo stesso tempo, lo spazio dell’anticensura di Freud è costituito dai sogni come dispiegamento del desiderio represso e spostato. Da qui il famoso slogan di Freud “Impara a capire i tuoi sogni!

L’uomo – diceva Aristotele – è ζῷον λόγον ἔχον. L’animale che possiede il Logos, o l’animale che possiede il Logos. Vediamo qui l’operazione di separazione tra il “semplice animale” e l'”animale che possiede il Logos”. Il confine tracciato da Aristotele non è forse la linea che accentua la fatale irreversibilità del destino umano, che significa il divieto per l’uomo di essere animale, di perdere la sua illuminazione da parte del Logos – cioè il passo di una irrevocabile piena censura di Dio o della natura? Tra l’altro, la formulazione dell’ultima parte della domanda sul tema della censura e la risposta stessa a questa domanda dipendono dal sistema di coordinate, dal paradigma in cui ci troviamo e dalla ragione. E qui è necessaria una certa digressione sui paradigmi.

Paradigmi

Partiamo dal fatto che lo stesso statuto ontologico della censura, così come la sua interpretazione in epistemologia, dipende dal paradigma di pensiero, che permane ed è condiviso dall’umanità o da una parte definita di essa in un dato momento storico o in una data regione dello spazio. In particolare, dalla teoria dei tre paradigmi metastorici globali individuati da Rene Guénon e dai filosofi tradizionalisti del XX secolo (Tradizione e Modernità) e studiati e descritti in dettaglio da A. Dugin (cfr. A. Dugin “Postfilosofia”), che ha individuato tre paradigmi fondamentali: Tradizione, Modernità e Postmodernità. Tutti si sono succeduti nella storia dell’umanità, anche se spesso sono coesistiti in parallelo, in continua rivalità intellettuale, in guerre mentali – guerre della mente, che Aleksandr Dugin ha chiamato “noomachia”.

Che cos’è un paradigma? È un sistema di orientamenti preferiti di visione del mondo, gerarchie costruite di principi, sistemi di valori e strutture, che precedono logicamente (precedono) qualsiasi discorso teologico, filosofico, scientifico coerente, enunciati della coscienza quotidiana, discorsi, testi di una certa epoca storica o di un certo spazio di civiltà. In questo modo, una serie di linguaggi integrali anticipa e comprende qualsiasi atto di parola. Un paradigma è un thesaurus di forme di pensiero, principi di pensiero che governano la produzione di conoscenza, strutturando le leggi dell’essere, la prassi, la poesis (creatività) di una particolare società o di un insieme di società di una certa epoca; È la somma di mitologemi, teologemi, filosofemi, sociologemi fondamentali, spesso nascosti, non visibili in superficie, che sostanziano le strategie dell’essere sociale e della comprensione del mondo; è un continuum di principi di base della visione del mondo, fondamenti superiori che determinano le forme e le regole del pensiero e dell’azione, della politica, dell’economia, dei modelli educativi, della produzione, della creatività, dell’artigianato, ecc. д. L’approccio paradigmatico alla storia del pensiero, della filosofia, della scienza e del linguaggio presuppone che dietro a sistemi concreti di visioni del mondo, conoscenze, teorie e pratiche umane si nascondano paradigmi profondi, schemi, strutture e principi di questa concretezza, nella maggior parte dei casi consapevoli, riflessivi e concordati da un certo consenso di intellettuali e classi dirigenti della società. Questi paradigmi non stanno in superficie, non sono specificamente articolati e, di norma, si rivelano in tempi di crisi, in periodi di cambiamento, crollo e mutamento dei paradigmi. In epoche tranquille, sono nascosti sotto il peso di teorie concrete, conglomerati di fatti, contenuti e sequenze, ritirati in profondità, in fondo alla coscienza pubblica. Ma allo stesso tempo, i paradigmi (fino al momento del loro cambiamento) rimangono incrollabili, anche se impliciti, e trasmettono dal profondo e governano senza alcuna alternativa, determinando il carattere della definizione degli obiettivi della società, la tipologia della sua visione del mondo, lo statuto del pensiero, la natura delle teorie, il significato dei concetti, il carattere dei progetti sociali, le strategie del filosofare, i tipi di valori e gli obiettivi.

Il paradigma della Tradizione

Come si possono caratterizzare brevemente i paradigmi della Tradizione, del Moderno e del Postmoderno?   

Il paradigma della Tradizione si basa sui principi del teocentrismo, della creazione divina del mondo e dell’uomo, della verticalità, della gerarchia, dell’olismo – riconoscimento dell’integrità e dell’interconnessione di tutti gli elementi della creazione, dell’interdipendenza delle parti dell’universo, della responsabilità reciproca delle parti del tutto. L’uomo è inteso qui come un agente della Provvidenza divina, un associato alla schiera angelica intelligente, che vede il suo obiettivo nella perfezione, nell’ascesa alla scala celeste verso l’Uno (Dio), nella trasfigurazione, nella deificazione (la tradizione ortodossa dice: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventasse Dio”). La tradizione collega l’eternità e il divenire, considerando il tempo come un sigillo dell’eternità in divenire, come un’immagine dell’Uno in molti modi. Lo spazio è inteso nella Tradizione come sacro, eterogeneo, qualitativo, saturo di significati e di tracce della storia sacra.

La modernità

La modernità rivede il paradigma della Tradizione, considerandola un passato oscuro ed esaurito; relativizza l’idea di Dio, rinuncia al teocentrismo, alla verticalità, alla gerarchia, all’eternità; desacralizza la Chiesa, meccanizza i concetti di tempo e spazio (pretendendo un tempo unidirezionale senza eternità e finalità e uno spazio quantitativo isotropo), punta sul progresso e sullo sviluppo.

In antropologia, il Modernismo costruisce un modello di individualismo atomistico, proclamando l’uomo libero da Dio e dall’ontologia verticale, e confidando nel principio dell’antropocentrismo e dell’individuo autonomo, costruito a immagine e somiglianza del libero atomo indivisibile di Democrito-Epicuro. L’individuo designato si proclama indipendente dalla gerarchia verticale, dalla Chiesa, dallo Stato, dalla comunità, dal popolo, dall’ethnos e da tutti gli altri “idoli” collettivi (o, più precisamente, eidolon, “fantasmi”), siano essi “fantasmi” della “caverna”, del “clan”, del “mercato”, del “teatro”, ecc. ( F. Bacon). Il paradigma della Modernità dichiara la nascita dell’individuo atomico, che ha abbandonato la nozione di “comune” o di specie e genere (“nominalismo”), che ha rifiutato tutte le gerarchie e le identità collettive, i pregiudizi generici e i fantasmi, e che ha proclamato l’avvento del libero imprenditore individuale, rivolgendosi ai fatti e all’utilità, alla “realtà” nel suo puro divenire, alla fisica e alla materia, e infine all’unica autenticità di valore nella persona del proprio “io” razionale ( R. Descartes – Cartesio).

Postmoderno

Il senso principale dell’epoca successiva, il Postmodernismo, consiste nell’ulteriore liberazione dell’individuo dai resti dell’identità collettiva, fino alla sua disintegrazione nelle sue parti costitutive. Il Postmoderno persegue l’idea dell’emancipazione radicale o della liberazione stessa, rimuovendo dall’individuo tutte le ultime definizioni e qualità, che nel paradigma della Tradizione strutturavano l’essenza, l’identità dell’individuo, e che nella Modernità sono state successivamente relativizzate ed eliminate.  Il postmoderno considera il modernismo incoerente nel liberare l’uomo dal “servizio di schiavitù” al Logos, alla Mente, alla gerarchia, alla verticalità; lo invita ad abbandonare i miraggi non vissuti della storia, le qualità e le definizioni che lo legano alle strutture collettive – l’attaccamento al Paese, alla nazione, allo Stato, al genere e alla lingua. Nel postmoderno, l’essere umano viene insistentemente proposto come un’entità migratoria, un nomade senza beni, un turista del mondo con un computer, che si stabilisce in luoghi casuali secondo la volontà del mercato del lavoro. Questo uomo del mondo difficilmente può avere credenze, pensieri, obiettivi; difficilmente è in grado di pensare o progettare la sua vita, perché un pensiero è “catena di bende con la Mente, il Logos”, mentre un progetto è “utopia”, “costrizione”, “non libertà” di cambiare la direzione del suo movimento (divenire) in qualsiasi momento. Tutto ciò che nella Tradizione era sottoposto all’esame dell’eternità (valori, idee, ideali, ecc.) nella Postmodernità viene rottamato. L’essere libero dell’uomo nuovo galleggia sul fiume della formazione come un “rizoma”, una radice sotto terra, che cresce caoticamente, in una direzione arbitraria, ma quasi sempre in orizzontale, rilasciando solo occasionalmente germogli verso l’alto. Lo Stato, la nazione, il popolo, l’ethnos, qualsiasi collettivo, comunità, clan, famiglia, comunità di persone che la pensano allo stesso modo – “illusioni e illusioni del passato”, che, con una pratica adeguata, si dissolveranno come castelli d’aria, nebbia sull’acqua.

Il postmodernismo vuole liberare il nuovo essere dai progetti, dai pensieri, dai significati, dalla storia, da qualsiasi determinazione, compresa quella del tutto. L’uomo – questo suona “troppo olistico”, “troppo totalitario”. È necessario dare a ogni elemento umano, a ogni organo la possibilità di “vivere una vita” in modo indipendente e libero e anche necessariamente di esprimersi in un “parlamento di organi” (J.Deleuze, F.Guattari, B.Latour), o meglio, nemmeno di esprimersi, ma di emettere una replica o un suono libero – un miagolio o un ringhio (anche se persino l’imitazione di un linguaggio animale porta un essere radicalmente atomizzato del Postmoderno dalla libera espressione al linguaggio collettivo degli animali). Il linguaggio finora parlato dagli esseri umani è “una macchina totalitaria assoluta di coercizione e limitazione dell’uomo”. Deve essere sostituito dagli enunciati individuali di singoli organi, repliche organiche – gorgoglii e mugolii. In effetti, l’individuo autonomo della Modernità, che si appella alla vera emancipazione, nella Postmodernità dovrebbe diventare un dividuum, divisibile, in modo che ogni particella possa sbizzarrirsi a piacimento, “esistenzializzarsi”, amare, baciare senza completezza, votare, correre in avanti o di lato senza scopo o significato. Il genere dovrebbe anche essere visto come una restrizione finale, che potrebbe essere scartata o scambiata senza rimpianti, a seconda della situazione e degli umori delle parti più piccole dell’organismo.

La strategia di dissoluzione (dissolution) dell’uomo nel Postmoderno appare in un primo momento come un’inquietante e agghiacciante caricatura del concetto della sua creazione divina, così come è concepita nel paradigma della Tradizione. Ma uno sguardo più attento rivela che il nervo principale della logica della sequenza discendente di paradigmi mutevoli è proprio la linea dell’indebolimento, della degradazione e, infine, dell’eliminazione dell’uomo in quanto tale.

Il paradigma dipende dal consenso dell’élite intellettuale

Guénon ha notato brillantemente che la modernità, che ha rovesciato il mondo della Tradizione, non è affatto il risultato del corso oggettivo della storia. È il prodotto dell’attività disperata di un soggetto collettivo – un gruppo di intellettuali, scienziati e filosofi della New Age, cioè del settore occidentale dell’umanità. Si basa su una matrice intellettuale preconsiderata e distinta, che ha una logica rigorosamente verificata, inversa alla logica del paradigma della Tradizione, e una strategia di pensiero decisamente riflessiva che capovolge il pensiero dell’umanità dell’epoca della Tradizione. Allo stesso tempo, i principi del Moderno, formulati dai filosofi del tardo Medioevo, dell’epoca delle dispute sugli universali (dal XII al XIV secolo), e della New Age, non solo si oppongono attivamente ai punti di vista tradizionali dell’Antichità e del Medioevo, ma pretendono di dominare lo spazio intellettuale europeo – per esclusività, unicità e universalità.
Perché i paradigmi in generale, e il paradigma del presente in particolare, non sono sempre attualizzati e riconosciuti? Perché i paradigmi sono incorporati nel pensiero come sistemi operativi, che diventano uno sfondo intuitivo per qualsiasi pensiero e semplicemente non vengono notati dagli utenti che li assorbono insieme al curriculum scolastico, al funzionamento del mondo della vita, alle abitudini e agli stereotipi di percezione. Oggi, è il paradigma della Modernità e la sua versione estrema – il paradigma della Postmodernità – quel presupposto implicito, di fondo, ma il più importante, fondamentale, quella struttura dominante del meta-linguaggio che predetermina i confini delle affermazioni e i confini del mondo di una persona moderna. È il tipo di linguaggio e il modo di pensare che determina, in ultima analisi, la disposizione dei mondi, siano essi moderni o tradizionali. Ciò che è importante è che questo sistema operativo della modernità è una struttura imposta, creata dall’uomo, artificiale e manipolativa, una sorta di macchinazione, simulacro e illusione.

Ogni paradigma ha la sua censura

Trattando la logica dei paradigmi di pensiero nella storia dell’umanità, nel contesto di questo articolo dovremmo naturalmente collegare il tema del pensiero globale, i paradigmi di visione del mondo (Tradizione, Moderno e Postmoderno) e il tema della censura.

Qui, per il momento, possiamo limitarci ad alcune domande principali e un po’ retoriche: ogni paradigma di pensiero non è forse un modo di esercitare la censura? In che modo il cambiamento dei paradigmi e la qualità di ciascuno di essi determina la dinamica e la logica dell’emancipazione o dell’asservimento dell’uomo? La pretesa di emancipazione dell’essere umano da parte dei paradigmi del Moderno e del Postmoderno non è forse una finzione, una falsa prospettiva, che sposta l’essere umano dai binari di un tipo di censura della vita umana ai binari di un altro tipo di censura, anch’essa strettamente focalizzata? Inoltre, nel primo caso (Tradizione), si tratta della censura dei “giardini del paradiso”, sui binari degli “orientamenti verticali”, nello spazio del grande ritorno alle fonti (ἐπιστροφή) dell’ascesa e della divinizzazione dell’uomo, mentre nel secondo (Moderno) e nel terzo (Postmoderno) vengono censurate piuttosto le espressioni più alte dello spirito e dell’anima umana i mondi umani sono confinati alla cruda materia e corporeità, all’economia soffocante e al pragmatismo, al profitto e all’utilità, all’abbandono individualistico e alla dissoluzione dell’umano nelle zindane infernali della Grande Madre.

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Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini