La contro-egemonia nella teoria del mondo multipolare

La contro-egemonia nella teoria del mondo multipolare

L’aspetto più importante della Teoria del mondo multipolare (TMW in inglese, ovvero Theory of Multipolar World) è il concetto di contro-egemonia, formulato per la prima volta nel contesto della Teoria critica delle relazioni internazionali (IR). Nel passaggio dalla Teoria critica alla Teoria del mondo multipolare[i], anche questo concetto subisce un particolare senso di trasformazione che dovrebbe essere esaminato più in dettaglio. Per rendere possibile un’analisi di questo tipo, dobbiamo innanzitutto ricordare le posizioni principali della teoria dell’egemonia nel quadro della Teoria critica.

Il concetto di egemonia nel realismo

Sebbene il concetto di egemonia nella Teoria critica si basi sulla teoria di Antonio Gramsci, è necessario distinguere la posizione di questo concetto sul gramscianesimo e sul neogramscianesimo da come viene inteso nelle scuole realiste e neorealiste di IR.

I realisti classici usano il termine “egemonia” in senso relativo e la intendono come “superiorità effettiva e sostanziale del potere potenziale di uno Stato rispetto al potenziale di un altro, spesso di Paesi vicini”. L’egemonia può essere intesa come un fenomeno regionale, poiché la determinazione del fatto che una o un’altra entità politica sia considerata un “egemone” dipende dalla scala. Tucidide introdusse il termine stesso quando parlò di Atene e Sparta come egemoni della Guerra del Peloponneso, e il realismo classico utilizza questo termine nello stesso modo ancora oggi. Questa concezione dell’egemonia può essere descritta come “strategica” o “relativa”.

Nel neorealismo, l'”egemonia” è intesa in un contesto globale (strutturale). La differenza principale rispetto al realismo classico sta nel fatto che l'”egemonia” non può essere considerata un fenomeno regionale. È sempre un fenomeno globale. Il neorealismo di K. Waltz, ad esempio, insiste sul fatto che l’equilibrio di due egemoni (in un mondo bipolare) è la struttura ottimale dell’equilibrio di potere su scala mondiale[ii]. R. Gilpin ritiene che l’egemonia possa essere combinata solo con l’unipolarismo, cioè che sia possibile l’esistenza di un solo egemone, funzione oggi svolta dagli Stati Uniti.

In entrambi i casi, i realisti intendono l’egemonia come un mezzo di correlazione potenziale tra le potenzialità di diversi poteri statali.

La concezione di Gramsci dell’egemonia è completamente diversa e si colloca in un ambito teorico completamente opposto. Per evitare l’uso improprio di questo termine nell’IR, e in particolare nella TMW, è necessario prestare attenzione alla teoria politica di Gramsci, il cui contesto è considerato una priorità importante nella Teoria critica e nella TMW (Theory of Multipolar World – Teoria del Mondo Multipolare in italiano). Inoltre, tale analisi ci permetterà di vedere più chiaramente il divario concettuale tra la Teoria critica e la TMW.

Il concetto di egemonia di Antonio Gramsci

Antonio Gramsci ha basato la sua teoria, in seguito nota come gramscianesimo, sulla comprensione del marxismo e della sua incarnazione pratica nella storia. Come marxista, Gramsci era convinto che la storia socio-politica fosse completamente predeterminata dal fattore economico e, come tutti i marxisti, spiegava la sovrastruttura (Aufbau) attraverso la base (infrastruttura). La società borghese è essenzialmente una società di classe in cui i processi di sfruttamento raggiungono la loro espressione più concentrata nella forma della proprietà dei mezzi di produzione e dell’appropriazione del plusvalore derivante dal processo produttivo da parte della borghesia. La disuguaglianza nella sfera economica (la base) e il dominio del Capitale sul Lavoro costituiscono l’essenza del capitalismo e determinano di conseguenza tutta la semantica sociale, politica e culturale (la sovrastruttura).

Questa tesi è condivisa da tutti i marxisti e non c’è nulla di nuovo o di originale. Ma allora Antonio Gramsci si chiede: come è stata possibile una rivoluzione socialista proletaria in Russia dove, dal punto di vista di Marx (che analizzava la situazione dell’Impero russo nel XIX secolo in una prospettiva prognostica) e dal punto di vista del marxismo classico europeo dell’inizio del XX secolo, la base oggettiva (il sottosviluppo dei rapporti capitalistici, un piccolo proletariato, la predominanza del settore agricolo sul PIL totale del Paese, l’assenza di un sistema politico borghese, ecc) escludeva la possibilità di un partito comunista al potere? Dopotutto, Lenin lo ha reso possibile e ha iniziato a costruire il socialismo.

Gramsci considera questo fenomeno di fondamentale importanza e lo chiama “leninismo”. Secondo Gramsci, il leninismo è l’avanguardia, l’azione avanzata di una sovrastruttura politica consolidata e forte (nella forma del Partito Comunista dei Bolscevichi) nella presa del potere politico. Una volta che tale avanguardia diventa un fattore rilevante e la rivoluzione ha successo, allora dovrebbe sviluppare rapidamente la base attraverso la creazione accelerata delle sovrastrutture le cui realtà economiche non sono ancora state implementate nel capitalismo, cioè l’industrializzazione, la modernizzazione, l'”elettrificazione”, l'”istruzione pubblica”, ecc. Così, Gramsci ha tratto la conclusione che, in determinate circostanze, la politica (la sovrastruttura) può stare davanti all’economia (la base). Il Partito Comunista può “mettersi davanti” allo sviluppo “naturale” dei processi storici; di conseguenza, il leninismo dimostra l’esistenza di una significativa autonomia della sovrastruttura rispetto alla base.

Ma il leninismo, come lo intendeva Gramsci, si limitava al segmento politico della sovrastruttura, in cui il funzionamento della legge e del governo e la questione del dominio sono già risolti. Gramsci insisteva sul fatto che la sovrastruttura ha un altro segmento importante che non è politico in senso pieno, cioè non è semplicemente associato ai partiti politici o legato alla questione del potere politico. Gramsci chiamava questa sfera “società civile”. Tale nozione, tuttavia, dovrebbe essere sempre accompagnata dalla qualifica di “società civile come intesa da Gramsci”, poiché il suo significato non sempre coincide con quello che gli viene assegnato nelle teorie liberali. La società civile di Gramsci è la “zona di espansione” delle parti intellettuali della società, tra cui la scienza, la cultura, la filosofia, l’arte, l’analisi, il giornalismo, ecc. Il marxista, per Gramsci, si affida alla regolarità della base in questo ambito, come per l’intera sovrastruttura. Il leninismo ha dimostrato che la regolarità della base, in alcuni casi, è superata dalla relativa autonomia della sovrastruttura, che avanza prima dei processi della base. L’esperienza della Rivoluzione russa, come esempio storico, ha dimostrato come la politica si realizzi a livello della sovrastruttura. Qui, però, Gramsci sottolinea che, se è così nel caso della sfera politica della sovrastruttura, allora perché non potrebbe accadere qualcosa di simile a livello della “società civile”? È a questo punto che compare la nozione di “egemonia” di Gramsci[iii]. Egli delinea successivamente che qualcosa di analogo alla divisione economica tra Capitale e Lavoro nella base, o alla contraddizione tra partito e governo borghese e partito e governo proletario (come nell’Unione Sovietica), può avvenire nella sfera intellettuale (la “società civile” di Gramsci). Questo terzo ambito di contraddizione è definito da Gramsci “egemonia”, dove la coscienza borghese e la coscienza proletaria si contendono il dominio in modo relativamente autonomo dalla politica e dall’economia.

Studiando la sociologia borghese[iv], il sociologo tedesco Werner Sombart ha dimostrato che il tempo libero è prezioso per questa terza categoria, o terza “classe”, che possiede parzialmente tale comodità, mentre gli altri gruppi sociali o non lo sanno o non lo hanno. La Fenomenologia dello Spirito di Hegel[v] afferma analogamente che lo schiavo non opera con la propria coscienza, ma con quella del padrone. Come è noto, questo e altri elementi di Hegel hanno costituito il fondamento dell’ideologia comunista di Marx. Continuando questa catena di pensiero, Gramsci concludeva che l’adozione o il rifiuto dell’egemonia (strutture della coscienza borghese) non dipende e non può dipendere direttamente dall’appartenenza alla classe borghese (nel senso della base) o dal coinvolgimento politico in un partito o in un sistema amministrativo borghese. Stare dalla parte dell’egemonia o contro di essa, secondo Gramsci, è una libera scelta. Nel momento in cui un intellettuale la sceglie consapevolmente, si trasforma da intellettuale “tradizionale” in intellettuale “organico”, cioè in un intellettuale che prende consapevolmente posizione nei confronti dell’egemonia.

Questo porta a una conclusione importante. L’intellettuale può opporsi all’egemonia borghese pur vivendo comodamente in una società in cui le relazioni capitalistiche sono la base e il dominio politico borghese prevale. L’intellettuale può rifiutare o accettare l’egemonia liberamente, cioè ha uno scarto di libertà simile all’autonomia del politico rispetto alla base economica (come si è visto nell’esperienza bolscevica in Russia). In altre parole, si può essere portatori di una coscienza proletaria e stare dalla parte della classe operaia per una società giusta pur essendo nel cuore della società borghese. Tutto dipende dalla scelta degli intellettuali. L’egemonia è quindi una questione di coscienza.

Lo stesso Gramsci giunse a tali conclusioni sulla base della sua analisi dei processi politici in Italia negli anni ’20-’30[vi]. In questo periodo, secondo la sua analisi, le condizioni prevalenti in Italia erano abbastanza mature per la rivoluzione socialista sia per quanto riguarda la base (lo sviluppo del capitalismo industriale e l’acuirsi delle contraddizioni e della lotta di classe) sia per quanto riguarda la sovrastruttura (i successi politici dei partiti di sinistra consolidati); ma, nonostante queste condizioni apparentemente favorevoli, secondo l’ulteriore analisi di Gramsci, le forze di sinistra fallirono nel campo intellettuale. È qui che l’Italia è stata maggiormente oppressa dall’egemonia borghese, che ha costantemente introdotto nella coscienza popolare stereotipi e luoghi comuni borghesi, anche se questi contraddicevano la realtà economica e politica e la popolarità di circoli attivi e antiborghesi. Secondo Gramsci, Mussolini applicò l’egemonia a suo favore (il fascismo era disgustoso per i comunisti, che lo vedevano come una forma di dominio delle classi borghesi) e impedì che una rivoluzione socialista “artificiale” si manifestasse secondo il naturale corso storico degli eventi. In altre parole, nonostante il (relativo) successo delle battaglie politiche, i comunisti italiani trascurarono la “società civile”, la sfera intellettuale e la lotta “metapolitica”. Gramsci vedeva in questo la causa della loro sconfitta.

Da allora il gramscianesimo è stato adottato dalla sinistra europea (soprattutto dalla Nuova Sinistra) e i movimenti di sinistra in Europa hanno applicato il gramscianesimo nella pratica a partire dagli anni Sessanta. Gli intellettuali di sinistra (marxisti) (Sartre, Camus, Aragon, Foucault, ecc.) sono stati in grado di impiantare concetti e teorie antiborghesi al centro della vita sociale e culturale, sfruttando pubblicazioni, giornali, club e dipartimenti universitari che erano parte integrante dell’economia capitalista, e hanno agito nel contesto politico del dominio del sistema borghese. Hanno preparato gli eventi del 1968 che hanno attraversato l’Europa e la svolta a sinistra della politica europea negli anni Settanta. Come il leninismo ha dimostrato nella pratica che il segmento politico della sovrastruttura ha un certo grado di autonomia, nel cui ambito l’attivismo può accelerare i processi che si svolgono alla base, così il gramscianesimo della Nuova Sinistra ha dimostrato l’efficacia e il valore pratico di una strategia intellettuale attiva nella pratica.

Il gramscianesimo nella teoria critica: il perno di sinistra

Il gramscianesimo che abbiamo descritto è stato integrato nella teoria critica IR dai suoi rappresentanti moderni, come Robert Cox[vii], Stephen Gill[viii], ecc. Nel Postmodernismo, l’autonomia della “società civile” è stata rafforzata e, di conseguenza, il fenomeno della scelta dell’egemonia da parte degli intellettuali e la collocazione di frammenti epistemologici al di sopra dei processi politici e delle strutture economiche in generale hanno preservato la continuità del discorso marxista e di sinistra. In questa visione, il capitalismo è considerato generalmente migliore (più “progressivo”) rispetto ai sistemi socioeconomici precapitalisti, anche se è ovviamente peggiore rispetto a qualsiasi modello post-capitalista (socialista e comunista) da cui deve essere sostituito. Questo spiega la struttura del progetto di contro-egemonia[ix]. La teoria critica IR rimane di sinistra nella sua comprensione del processo storico. Si può descrivere questa prospettiva nel modo seguente: secondo i rappresentanti della Teoria critica, l’egemonia (la società borghese che culmina nell’ologramma della coscienza borghese) sostituisce ciò che l’ha “egemonizzata” (tipi di formazioni pre-borghesi con forme intrinseche di coscienza collettiva pre-moderna) per poi essere sovvertita dalla contro-egemonia che, dopo la vittoria, deve stabilire la post-egemonia. Nel Manifesto comunista[x], gli stessi Marx ed Engels hanno insistito sui diversi modi in cui l’opposizione dei comunisti alla borghesia non ha nulla a che vedere con le rivendicazioni contro la borghesia avanzate dagli antiborghesi feudali, dai nazionalisti, dai cristiano-sociali, ecc. Il capitalismo è il male puro che concentra in sé (anche se non in modo così chiaro ed esplicito) le precedenti forme di sfruttamento sociale. Per sconfiggere questo male, bisogna prima permettergli di manifestarsi pienamente, e solo allora potrà essere sradicato, invece di ritoccarne i tratti più odiosi che non fanno altro che ritardare l’orizzonte della rivoluzione e del comunismo. Questo va tenuto presente quando si considera la struttura dell’analisi neogramsciana delle relazioni internazionali.

Questa analisi divide tutti i Paesi in quelli in cui l’egemonia è ovviamente rafforzata (Paesi capitalisti sviluppati con economie industriali, dominio dei partiti borghesi in democrazie parlamentari organizzate secondo l’esempio dello Stato-nazione, economia di mercato sviluppata e sistema giuridico liberale) e quelli in cui, in virtù di varie circostanze storiche, tali fattori non si sono manifestati. Il primo gruppo di Paesi è chiamato “potenze democratiche sviluppate”, mentre i secondi sono “casi limite”, “aree problematiche” o addirittura classificati come “Stati canaglia”. L’analisi di sinistra (marxista, neomassista e gramsciana) è totalmente applicabile nei Paesi in cui l’egemonia è rafforzata. Tuttavia, nel caso di Paesi che mostrano un'”egemonia incompleta”, le cose dovrebbero essere considerate in modo diverso.

Lo stesso Gramsci colloca questi Paesi nella categoria del “cesarismo” (vedendo l’esperienza dell’Italia fascista come un chiaro riferimento). Il “cesarismo” può essere considerato in senso lato come qualsiasi sistema politico in cui i rapporti borghesi esistono in forma frammentata, mentre la loro piena sistemazione politica (nella forma degli Stati democratico-borghesi classici) è stata ritardata. Nel “cesarismo”, il punto principale non è il governo autoritario, ma il ritardo della piena realizzazione di un sistema capitalistico di tipo occidentale (sia alla base che alla sovrastruttura). Le ragioni di questo “ritardo” possono variare dagli stili di governo dittatoriali, dalle élite claniche e dalla presenza di gruppi religiosi o etnici al potere, alle caratteristiche culturali di una determinata società o alle circostanze storiche di una particolare posizione economica o geografica, ecc. Ciò che è innanzitutto importante è che in una società di questo tipo l’egemonia agisce sia come forza esterna (da parte degli Stati e delle società borghesi) sia come opposizione interna, che in un modo o nell’altro è collegata a fattori esterni.

In IR, i neo-gramsciani insistono sul fatto che il “cesarismo” è “egemonia incompleta”. Pertanto, la sua strategia consiste nel garantire un equilibrio tra le pressioni egemoniche esterne e interne concedendo alcune concessioni, ma facendole solo in modo selettivo per mantenere il potere ed evitare che le forze politiche borghesi si impadroniscano della sovrastruttura politica che presiede alla base economica della società. Il cesarismo è quindi condannato al “trasformismo” (dal trasformismo), cioè all’aggiustamento permanente dell’egemonia, quella stessa forza che il cesarismo desidera costantemente ritardare o deviare lungo una falsa traiettoria, la cui fine si avvicina costantemente.

A questo proposito, la Teoria Critica IR considera il “cesarismo” come qualcosa che prima o poi sarà eliminato dall’egemonia, poiché questo fenomeno non è altro che un “ritardo storico” piuttosto che un’alternativa, cioè una contro-egemonia in sé.

Secondo i rappresentanti della moderna teoria critica dell’IR, questo “cesarismo” è ovviamente rappresentato dalla maggior parte dei Paesi del Terzo Mondo e dalle grandi potenze incluse nei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).

Tenendo conto di tali caratteristiche, i limiti di tale concettualizzazione della contro-egemonia presentata dalla Teoria critica dell’IR diventano evidenti, così come il puro utopismo dei progetti alternativi, come la “contro-società” di Cox, che rappresenta qualcosa di inespresso e indefinito. Essi procedono dal vago progetto di ordine socio-politico mondiale, che dovrebbe apparire “dopo il liberalismo”[xi] (Immanuel Wallerstein) e conformarsi alla solita utopia comunista di sinistra. Una versione simile della contro-egemonia è limitata anche dal fatto che spinge frettolosamente nella categoria del “cesarismo”, e quindi dell'”egemonia incompleta”, numerosi altri fenomeni politici che sono ovviamente estranei all’egemonia e che propendono per versioni alternative dell’ordine mondiale. Ciò priva queste alternative di qualsiasi considerazione sul loro sviluppo verso un’efficace strategia contro-egemonica. Tuttavia, questa analisi generale della struttura delle relazioni internazionali alla luce della metodologia neogramsciana costituisce una traiettoria estremamente importante per lo sviluppo della TMW.

Tuttavia, per superare i limiti insiti nella Teoria critica e sfruttare appieno il potenziale del neogramscianesimo, dovremmo ampliare qualitativamente questo approccio, andando oltre il discorso di sinistra (e persino “di sinistra”), che colloca l’intera struttura nella zona del settarismo ideologico e dell’esotismo marginale (dove attualmente si trova). A questo proposito, un aiuto prezioso può essere trovato nelle idee del filosofo francese Alain de Benoist.

Il “gramscianesimo di destra”: la revisione di Alain de Benoist

Negli anni Ottanta, il rappresentante francese della “Nuova Destra” (Nouvelle Droite), Alain de Benoist, ha rivolto l’attenzione alle idee di Gramsci dal punto di vista della loro capacità metodologica[xii]. Proprio come Gramsci, de Benoist ha rivelato la centralità della metapolitica come area speciale di attività intellettuale che prepara (sotto forma di “rivoluzione passiva”) ulteriori cambiamenti politici ed economici. Il successo della “Nuova Sinistra” in Francia, e in Europa in generale, non fa che confermare l’efficacia di questo approccio.

A differenza della maggior parte degli intellettuali francesi della seconda metà del XX secolo, Alain de Benoist non era un sostenitore del marxismo, fatto che ha isolato la sua posizione. Tuttavia, de Benoist costruì la sua filosofia politica su un radicale rifiuto dei valori liberali e borghesi, sulla negazione del capitalismo, dell’individualismo e del modernismo, nonché sul rifiuto dell’atlantismo geopolitico e dell’eurocentrismo occidentale. Inoltre, ha contrapposto “Europa” e “Occidente” come due concetti antagonisti. Per de Benoist, l’Europa è il campo di applicazione di uno speciale Logos culturale tramandato dai Greci, che combina intensamente la ricchezza delle tradizioni celtiche, germaniche, latine, slave e di altre tradizioni europee. L'”Occidente”, invece, equivale alla civiltà meccanicista, materialista e razionalista, basata sul predominio della tecnologia sugli altri ambiti. Alain de Benoist, come Oswald Spengler, intende l'”Occidente” come il “declino dell’Europa” e, insieme a Nietzsche e Heidegger, è convinto della necessità di superare la modernità come nichilismo e “abbandono dell’Essere nel mondo” (Seinsverlassenheit). In questo senso, l'”Occidente” è identico al liberalismo, al capitalismo e alla società borghese contro cui la Nuova Destra si sforzava di combattere. Allo stesso tempo, pur non essendo materialisti, la Nuova Destra era d’accordo con il significato chiave assegnato da Gramsci e dai suoi seguaci alla “società civile”. Ad esempio, Alain de Benoist giunse alla conclusione che il fenomeno che Gramsci chiamava “egemonia” è un insieme di strategie, atteggiamenti e valori che egli considerava “male puro”. Questo ha portato alla proclamazione del principio del “gramscianesimo di destra”.

Questo gramscianesimo “di destra” significa riconoscere l’autonomia della “società civile” come intesa da Gramsci e identificare il fenomeno dell’egemonia in questa sfera e la scelta personale della propria posizione ideologica sul lato opposto all’egemonia. Alain de Benoist ha pubblicato un’opera programmatica intitolata Europa e Terzo Mondo – Una stessa battaglia[xiii] che si basa interamente sul parallelismo tra la lotta dei popoli del Terzo Mondo contro il neocolonialismo borghese e la volontà delle nazioni europee di liberarsi dalla dittatura della società borghese di mercato e dalla morale e prassi dei commercianti, per sostituire tale sistema con un’etica eroica[xiv] (Werner Sombart).

L’importanza cruciale di questo “gramscianesimo di destra” per la TMW è che tale comprensione dell'”egemonia” permette di trascendere il discorso marxista e di sinistra e di rifiutare l’ordine borghese alla base (l’economia) e alla sovrastruttura (la politica e la società civile) non dopo che l’egemonia è diventata un fattore planetario e globale totale, ma nonostante essa. Da qui la sfumatura estremamente importante e carica di significato del titolo della seconda opera programmatica di de Benoist, Contro il liberalismo[xv], che si contrappone a Dopo il liberalismo[xvi] del neomarxista Immanuel Wallerstein. Per de Benoist, non si può contare sul “dopo”. In ogni caso, non bisogna permettere che il liberalismo diventi un fatto compiuto. Il liberalismo deve essere contrastato qui e ora e deve essere combattuto da qualsiasi posizione in qualsiasi punto del mondo. L’egemonia attacca su scala planetaria e trova i suoi portatori sia nelle società borghesi sviluppate sia in quelle in cui il capitalismo non si è ancora affermato definitivamente. Pertanto, la contro-egemonia dovrebbe essere percepita come qualcosa che va al di là delle restrizioni ideologiche settarie; se vogliamo creare un blocco contro-egemonico, allora esso deve includere tutte le forze antiborghesi e anticapitaliste, siano esse di sinistra, di destra o senza alcun tipo di classificazione definitiva (lo stesso Alain de Benoist ha costantemente sottolineato che la divisione tra “sinistra” e “destra” non solo è superata, ma non corrisponde nemmeno alla reale scelta di posizione – oggi ciò che è significativamente più importante è se si agisce per o contro l’egemonia).

Il gramscianesimo di destra di Alain de Benoist ci riporta al Manifesto comunista di Marx ed Engels, nonostante il loro appello piuttosto esclusivo e dogmatico alla formazione di un’Alleanza rivoluzionaria globale senza “compagni di viaggio”. Al contrario, si tratta di un’alleanza che unisce tutti gli oppositori del capitalismo e dell’egemonia e tutti coloro che sono essenzialmente contrari a questa forza. Non è quindi importante quale sia l’alternativa positiva, poiché in questa situazione è più urgente la presenza di un nemico comune. Altrimenti, secondo la Nuova Destra (che di fatto rifiuta di chiamarsi “destra”, l’etichetta che è stata data al suo movimento dai suoi avversari), l’egemonia sarà in grado di dividere i suoi avversari su basi artificiali e di metterli l’uno contro l’altro allo scopo di trattare con successo ognuno separatamente.

Denunciare l’eurocentrismo nella sociologia storica

Il moderno studioso di Relazioni Internazionali e uno dei principali rappresentanti della sociologia storica delle Relazioni Internazionali, John Hobson, presenta un approccio completamente diverso a questo problema. Nella sua opera chiave, The Eurocentric Conception of World Politics (La concezione eurocentrica della politica mondiale) [xvii], Hobson analizza quasi tutti gli approcci e i paradigmi delle IR in termini di gerarchie che si fondano, in linea di principio, sul confronto degli Stati, dei loro ruoli, delle loro strutture e dei loro interessi con la società occidentale come standard di riferimento universale. John Hobson conclude che tutte le scuole di IR, senza alcuna eccezione, si basano su un eurocentrismo implicito che riconosce l’universalità delle società occidentali e ritiene che la storia europea sia una fase obbligatoria per tutte le altre culture. Hobson considera giustamente questo approccio una forma di razzismo europeo che passa gradualmente e impercettibilmente dalle teorie biologiche della “superiorità della razza bianca” alle nozioni di universalità dei valori, delle strategie, delle tecnologie e degli interessi culturali occidentali. Il “fardello dell’uomo bianco” diventa “l’imperativo della modernizzazione e dello sviluppo”. Allo stesso tempo, una società e una cultura indigene sono sottoposte alla “modernizzazione” per default – nessuno chiede se sono d’accordo sul fatto che i valori, le tecnologie e le pratiche occidentali sono universali o se sono oggetto di rifiuto. Solo di fronte a forme violente di resistenza disperata, sotto forma di terrorismo o fondamentalismo, l’Occidente si pone talvolta la domanda: “Perché ci odiano così tanto?”; la risposta è preconcetta: “La ferocia e l’ingratitudine dei popoli non europei per tutte le benedizioni che la “civiltà” occidentale porta con sé”.

Hobson mostra in modo importante e convincente che il razzismo e l’eurocentrismo non esistono solo nelle teorie borghesi dell’IR, ma anche nel marxismo, compresa la teoria critica dell’IR (neo-gramscianesimo). I marxisti, nonostante la loro critica alla civiltà borghese, rimangono convinti che il suo trionfo sia inevitabile e quindi condividono un comune eurocentrismo nei confronti della cultura occidentale. Hobson mostra come lo stesso Marx giustificasse in parte le pratiche coloniali nella misura in cui esse portavano alla modernizzazione delle colonie e, quindi, acceleravano l’insorgere delle rivoluzioni proletarie. In prospettiva storica, quindi, il marxismo è complice della globalizzazione capitalista e alleato delle pratiche razziste di civilizzazione. La decolonizzazione è considerata solo un preludio alla costruzione dello Stato borghese, che deve ancora avviarsi alla piena industrializzazione e alla futura rivoluzione proletaria. Ben poco si discosta dalle teorie dei neoliberisti e dei transnazionalisti.

John Hobson propone quindi di iniziare a costruire un’alternativa radicale, uno sviluppo della teoria delle IR che non si basi sull’eurocentrismo o su approcci razzisti. Egli sostiene il progetto di un “blocco contro-egemonico” che, pur essendo nominato dal neo-gramscianesimo, si libererebbe da ogni forma di eurocentrismo e quindi si amplierebbe qualitativamente.

Il progetto di una teoria non eurocentrica delle IR ci porta direttamente alla teoria del mondo multipolare.

La transizione al multipolarismo

Possiamo ora riunire quanto detto sopra sulla contro-egemonia e collocarlo nel contesto della Teoria del mondo multipolare (TMW), che è una teoria delle relazioni internazionali essenzialmente e coerentemente no-eurocentrica, che rifiuta l’egemonia per i suoi stessi motivi e chiede la creazione di un’ampia alleanza contro-egemonica o di un patto contro-egemonico.

Nella TMW, la contro-egemonia è intesa in modo simile alle teorie neogramsciane e alla Scuola critica di relazioni internazionali. L’egemonia è il dominio del capitale e del sistema politico borghese della società espresso nella sfera intellettuale. In altre parole, l’egemonia è innanzitutto un discorso. Allo stesso tempo, i tre segmenti della società designati da Gramsci, la base e le due componenti della sovrastruttura (la politica e la “società civile”), sono considerati da TMW predominanti sul piano del discorso, cioè della sfera intellettuale, in accordo con l’epistemologia postmoderna e post-positivista. Pertanto, le questioni di egemonia e contro-egemonia sono centrali e fondamentali per la costruzione della TMW e la sua effettiva realizzazione pratica. La sfera della metapolitica è importante quanto la politica e l’economia e non le elimina, ma le precede logicamente e concettualmente. L’uomo, in ultima analisi, ha a che fare con la sua mente e le sue proiezioni. Pertanto, la sistemazione o la riorganizzazione della coscienza comporta automaticamente un cambiamento nel mondo (interno ed esterno).

La TMW è una fissazione del concetto di contro-egemonia nel campo teorico concreto. Fino a un certo punto, la TMW segue rigorosamente il gramscianesimo. Ma quando arriva a esprimere il contenuto di un patto contro-egemonico, emergono alcune divergenze. La più importante riguarda il rifiuto del dogmatismo di sinistra; il TMW rifiuta di considerare la trasformazione borghese delle società moderne come una legge universale, il che avvicina il gramscianesimo e la metapolitica del TMW alla versione della “Nuova Destra” (di Alain de Benoist) piuttosto che a quella della “Nuova Sinistra” (di R. Cox), ma senza escludere il marxismo nella misura in cui è un alleato nella lotta comune contro il capitale e l’egemonia. A rigore, l’espressione “gramscianesimo di destra” non è del tutto corretta – sarebbe più corretto parlare di un gramscianesimo inclusivo, cioè in cui la contro-egemonia è ampiamente intesa come comprensiva di tutti i tipi di confronto egemonico, generalizzando etimologicamente l’altrimenti rigido “contro”). Ciò si contrappone al gramscianesimo esclusivo (in cui la contro-egemonia è intesa in senso stretto come “post-egemonia”). La TMW sostiene un gramscianesimo inclusivo. Questa posizione supera la destra e la sinistra e trascende i confini concettuali delle ideologie politiche della modernità, dispiegandosi così nella forma della Quarta Teoria Politica che è inestricabilmente legata alla TMW.

Il contributo di J. Hobson allo sviluppo di una contro-egemonia inclusiva è estremamente importante a questo proposito. La sua richiesta di costruire una teoria delle relazioni internazionali non eurocentrica coincide esattamente con lo scopo della TMW. Le relazioni internazionali devono essere interpretate da una pluralità di posizioni, così come la costruzione di qualsiasi teoria universale deve tenere conto di diverse culture, civiltà, religioni, gruppi etnici, società e comunità. Ogni società ha i suoi valori, la sua antropologia, la sua etica, le sue norme, la sua identità, la sua concezione dello spazio e del tempo, del generale e del particolare. Ogni società ha il proprio “universalismo” o, per lo meno, la propria concezione dell'”universale”. Ciò che l’Occidente pensa dell'”universalità” è ben noto, anche troppo. È tempo di dare al resto dell’umanità il diritto alla propria voce.

Nella sua dimensione fondamentale, la multipolarità significa il libero polilogo di società, popoli e culture. Ma prima che questo polilogo possa effettivamente manifestarsi, è necessario definire delle regole generali. Da qui una teoria delle Relazioni Internazionali, che comporterà un’apertura di termini, concetti, teorie, nozioni, una pluralità di attori, la complessità e la polisemia delle espressioni. In questo caso, la TMW non è una fine, ma un inizio, la preparazione spaziale di base per il futuro ordine mondiale.

Tuttavia, l’appello al multipolarismo non risuona in uno spazio vuoto. Il discorso sulle relazioni internazionali e sulla pratica politica, sociale ed economica globale è dominato dall’egemonia. Viviamo in un mondo strettamente eurocentrico in cui una sola superpotenza (gli Stati Uniti) insieme ai suoi alleati e vassalli (i Paesi della NATO) sono i dominatori imperialisti e in cui le relazioni di mercato dettano tutte le regole delle pratiche commerciali, in cui le norme politiche borghesi sono considerate obbligatorie, in cui la tecnica e il livello di sviluppo materiale sono considerati i criteri più elevati e in cui i valori dell’individualismo, del comfort personale, del benessere materiale e della “libertà da” sono esaltati al di sopra di tutti gli altri fattori. In altre parole, viviamo in un mondo di egemonia trionfante che ha esteso la sua rete su scala planetaria e ha subordinato l’intera umanità. Pertanto, abbiamo bisogno di un’opposizione, di una lotta e di un confronto radicali affinché la multipolarità diventi reale. In altre parole, abbiamo bisogno di un blocco contro-egemonico (in senso inclusivo). Dobbiamo ora considerare quali sono le risorse di questo potenziale blocco.

La sintassi dell’egemonia e la sintassi della contro-egemonia

Nel suo ologramma concettuale, l’egemonia si basa sulla convinzione che la modernità eccelle sull’antichità (il passato), che la modernità trionfa sulla premodernità e che l’Occidente domina il non Occidente (l’Oriente e il Terzo Mondo).

Abbiamo così la struttura della sintassi dell’egemonia nella sua forma più generale.

Occidente=Modernità=obiettivo=benessere= progresso=valori universali=USA (+ NATO)=capitalismo=diritti umani=mercato=democrazia liberale=legge

VS

Il resto= arretratezza (pre-modernità)=bisogno di modernizzazione (colonizzazione/aiuti/lezioni/controllo esterno)=bisogno di occidentalizzazione=barbarie (barbarie)=valori autoctoni=pseudo-capitalismo (non-capitalismo)=violazione (minor rispetto) dei diritti umani=mercato iniquo (ruolo dello Stato, clan, preferenze di gruppo)=pseudo-democrazia=corruzione

Queste formule di egemonia sono assiomatiche e autoreferenziali, una sorta di “profezia che si autoavvera”. Un termine è giustificato da un altro della catena equivalente e si oppone a qualsiasi termine (simmetrico o meno) della seconda catena. Questa regola senza pretese crea il discorso dell’egemonia. Sebbene possa avere nella sua struttura l’aspetto della causalità, dell’illustrazione, della descrittività, della previsione dell’analisi, della ricerca storica, del sondaggio d’opinione, del dibattito, dell’opposizione, ecc. l’egemonia è in realtà costruita su questa spina dorsale sostenuta da milioni di variazioni e di esperienze divulgate. Se accettiamo queste due catene parallele ed equivalenti, ci troviamo all’interno dell’egemonia e pienamente codificati nella sua sintassi. Ogni obiezione sarà spenta da nuovi passaggi suggestivi che galoppano attraverso l’uno o l’altro termine per arrivare alla tautologia egemonica. Anche le formule più critiche del discorso prima o poi scivolano in questi sinonimi semantici costantemente ripetitivi e si dissolvono. È necessario riconoscere almeno una di queste identificazioni, e poi tutto il resto è preordinato. Ecco perché la creazione di una contro-egemonia inizia con la ritrazione di entrambe le catene. Creiamo la sintassi simmetrica della contro-egemonia:

L’Occidente≠la modernità≠l’obiettivo≠il benessere≠il progresso≠i valori universali≠gli USA (+ la NATO) ≠il capitalismo≠i diritti umani≠il mercato≠la democrazia liberale≠il diritto

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Il resto≠ arretratezza (pre-modernità) ≠ necessità di modernizzazione (colonizzazione/aiuti/lezioni/controllo esterno) ≠ necessità di occidentalizzazione≠ barbarie (selvaggeria) ≠valori autoctoni≠pseudo-capitalismo (non-capitalismo) ≠violazione (minor rispetto) dei diritti umani≠mercato iniquo (ruolo dello Stato, clan, preferenze di gruppo) ≠pseudo-democrazia≠corruzione

Se i segni uguali entrano ipnoticamente nella coscienza collettiva come un dato di fatto, la giustificazione dettagliata di ciascun segno uguale richiede un testo o un gruppo di testi separati. In una misura o nell’altra, la TMW e i suoi paralleli nelle forme della Quarta Teoria Politica, [xviii], dell’eurasiatismo, della “Nuova Destra” (A. de Benoist), della teoria IR non eurocentrica (J. Hobson), del tradizionalismo, del postmodernismo e così via assolvono a questo compito a modo loro, ma ciò che è importante è presentare questo schema come la forma più generalizzata di sintassi contro-egemonica. La negazione di un’espressione significativa è di per sé significativa grazie alla sua negazione del fatto, il che significa che ogni disuguaglianza è in realtà intrisa di significato e di connessioni. Mettendo in discussione la catena dell’identificazione dell’egemonia, otteniamo un campo semantico libero dall’egemonia e dal suo suggestivo “assiomatismo”. Questo ci libera completamente le mani e ci permette di dispiegare un discorso contro-egemonico.

In questo caso, abbiamo recuperato tali linee guida di base per uno scopo specifico: la stima preliminare e più generalizzata delle risorse che possono essere teoricamente previste nella costruzione di un patto contro-egemonico.

Un’élite rivoluzionaria globale

Il blocco contro-egemonico è costruito dagli intellettuali. Pertanto, al suo centro dovrebbe esserci un’élite rivoluzionaria globale che rifiuta lo “status quo” al suo livello più profondo. Cercando di capire la propria posizione in qualsiasi punto del mondo moderno – in qualsiasi Paese, cultura, società, classe sociale, funzione professionale, ecc. – l’uomo prima o poi arriva a comprendere le tesi fondamentali del discorso egemonico, cercando risposte profonde alle domande profonde dell’assetto sociale in cui vive. Naturalmente, questo non è possibile per tutti, anche se secondo Gramsci ogni uomo è un intellettuale in un modo o nell’altro. Tuttavia, l’unico vero intellettuale è colui che rappresenta l’uomo in senso olistico, una sorta di delegato al parlamento dell’umanità pensante (homo sapiens) per conto dei rappresentanti più modesti (coloro che non possono o non vogliono realizzare la pienezza dell’uomo nella forma della possibilità che culmina nell’opportunità di pensare, cioè di essere un intellettuale). Abbiamo in mente un intellettuale di questo tipo quando parliamo di identificazione dell’egemonia. Nel momento in cui si trova di fronte a una scelta, cioè nel realizzare la sua opportunità di diventare un intellettuale, può dire “sì” all’egemonia e accettare la sua sintassi, continuando così ad agire all’interno della sua struttura, oppure può dire “no”. Se dice “no”, viene inviato alla ricerca della contro-egemonia; cerca di entrare nell’élite rivoluzionaria globale.

Questa ricerca può fermarsi allo stadio intermedio. Esistono sempre strutture locali (tradizionalisti, fondamentalisti, comunisti, anarchici, etnocentrici, rivoluzionari di vario tipo, ecc.) che, rendendosi conto della sfida dell’egemonia e rifiutandola, operano a livello locale. A questo punto si tratta già del livello degli intellettuali organici che non si rendono ancora conto della necessità di far culminare il rifiuto dell’egemonia nella forma di una strategia universale e planetaria. Tuttavia, unirsi alla lotta reale (non immaginaria) contro l’egemonia significa che un rivoluzionario prima o poi scoprirà la natura transnazionale ed extraterritoriale dell’egemonia. Per realizzare i suoi obiettivi, l’egemonia ricorre sempre alla combinazione di fattori interni ed esterni, attaccando tutto ciò che considera un nemico o un ostacolo al suo dominio imperiale (gli elementi della seconda catena, “il resto”). Così, la resistenza localizzata alla sfida globale a un certo punto raggiunge i suoi limiti naturali. L’egemonia può ritirarsi in un momento per poi tornare. Nessuno può mai semplicemente schivare i suoi attacchi.

Quando si acquisisce questa consapevolezza, i rappresentanti più sviluppati intellettualmente della contro-egemonia locale sentiranno il bisogno di passare al livello di un’alternativa fondamentale, cioè di padroneggiare la sintassi contro-egemonica. Questo è il percorso diretto verso l’Alleanza Rivoluzionaria Globale che sarà oggettivamente e naturalmente formata dall’élite contro-egemonica globale, destinata a diventare il nucleo della contro-egemonia. Qui sta la necessità della Teoria del Mondo Multipolare.

Note:

[i] Dugin, A. La teoria del mondo multipolare, Mosca, 2012.

[Prima della fine della Guerra Fredda, Waltz portava l’esempio della lotta tra USA e URSS come lotta tra due egemoni. Ora, i suoi aderenti promuovono l’idea che ci sarà un nuovo bipolarismo in cui l’egemonia americana si confronterà con la Cina come nuovo candidato al secondo polo.

[Ciò che possiamo fare, per il momento, è fissare due grandi “livelli” sovrastrutturali: quello che può essere chiamato “società civile”, cioè l’insieme degli organismi comunemente chiamati “privati”, e quello della “società politica” o “Stato”, ha detto Gramcsi. “Questi due livelli corrispondono da un lato alla funzione di “egemonia” che il gruppo dominante esercita in tutta la società e dall’altro a quella di “dominio diretto” o di comando esercitato attraverso lo Stato e il governo “giuridico””. Gramsci A. I Quaderni del carcere vol. 1. Columbia University Press, 1992

[iv] Werner Sombart. Der Bourgeois. München und Leipzig: Duncker & Humblot, 1913

[v] Hegel G. W. F., La fenomenologia dello spirito, Oxford: Clarendon Press, 1977

[vi] Gramsci A., I Quaderni del carcere. Columbia University Press, 1992

[vii] Сох Л. Gramsci, l’egemonia e le relazioni internazionali: Un saggio di metodo// Millennium. 12.1983.

[viii] GUIS. Gramsci, Materialismo storico e relazioni internazionali. Cambridge: Cambridge University Press, 1993.

[Nicola Pratt definisce la contro-egemonia come la “creazione di un’egemonia alternativa sul terreno della società civile in preparazione del cambiamento politico”. Pratt N. Bringing politics back in: examining the link between globalization and democratization// Review of International Political Economy. Vol. 11. No. 2. 2004.

[Marx K., Engels F. Manifesto del Partito Comunista. 1955.Маркс К., Энгельс Ф. Манифест Коммунистической партии // Маркс К., Энгельс Ф. Сочинения. 2-е изд. Т. 4. М.: Государственное издательство политической литературы, 1955. С. 419-459.

[Wallerstein I. Dopo il liberalismo. New York: New Press. 1995

[xii] BenoistdeA. Vude droite. Antologia critica delle idee contemporanee. P., Copernic, 1977.

[xiii] Benoist deA. Europa, Tiers monde, тёте combat. P.: Robert Laffont, 1986.

[xiv] Sombart, Werner (1915): Händler und Helden. München: Duncker & Humblot. 1915.

[xv] de Benoist A. Contro il liberalismo. Alla quarta teoria politica. San Pietroburgo, 2009

[xvi] Wallerstein I. Dopo il liberalismo. New York: New Press. 1995

[xvii] Hobson J. La concezione eurocentrica della politica mondiale: Western International Theory, 1760-2010. Cambridge: Cambridge Umoniversity Press, 2012.

[xviii] Dugin A. La quarta teoria politica. San Pietroburgo. 2009

Traduzione a cura di Lorenzo Maria Pacini