L’ISLAMISMO CONTRO L’ISLAM?

“Il vero problema per l’Occidente non è il fondamentalismo islamico, ma l’Islam in quanto tale”. Questa frase, che Samuel Huntington colloca in chiusura del lungo capitolo del suo Scontro delle civiltà intitolato “L’Islam e l’Occidente”1, merita di essere letta con un’attenzione maggiore di quella che ad essa è stata riservata finora.

Secondo l’ideologo statunitense, l’Islam in quanto tale è un nemico strategico dell’Occidente, poiché è il suo antagonista in un conflitto di fondo, che non nasce tanto da controversie territoriali, quanto da un fondamentale ed esistenziale confronto tra difesa e rifiuto di “diritti umani”, “democrazia” e “valori laici”. Scrive infatti Huntington: “Fino a quando l’Islam resterà l’Islam (e tale resterà) e l’Occidente resterà l’Occidente (cosa meno sicura) il conflitto di fondo tra due grandi civiltà e stili di vita continuerà a caratterizzare in futuro i reciproci rapporti”2.

Ma la frase riportata all’inizio non si limita a designare il nemico strategico; da essa è anche possibile dedurre l’indicazione di un alleato tattico: il fondamentalismo islamico. È vero che nelle pagine delloScontro delle civiltà l’idea di utilizzare il fondamentalismo islamico contro l’Islam non si trova formulata in una forma più esplicita; tuttavia nel 1996, allorché Huntington pubblicò The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, una pratica di questo genere era già stata inaugurata.

 

IL RETROTERRA ROMENO DI JEAN PARVULESCO

Quando, adolescente, vidi al cinema Fino all’ultimo respiro, non potei immaginare che in seguito mi sarei occupato di Jean Parvulesco, il cui ruolo era interpretato nella pellicola da Jean-Pierre Melville. Invece alcuni anni dopo, nel 1974, appresi dagli atti di un processo politico che il personaggio della storia di Jean-Luc Godard esisteva realmente e avrebbe voluto realizzare insieme con altri sovversivi, nella prospettiva di un prossimoEndkampf (1), un accordo fondato su due punti: “a) adesione alla politica di lotta internazionale al bipolarismo russo-americano nella prospettiva della ‘Grande Europa’, dall’Atlantico agli Urali; b) contatti con le forze che dal Gaullismo e dal neutralismo euroasiatico si proponevano questa linea internazionalistica” (2).

Tre anni dopo, nel 1977, mi capitò di leggere in un bollettino redatto da Yves Bataille, “Correspondance Européenne”, un lungo articolo intitolato L’URSS e la linea geopolitica, che sembrava confermare le voci diffuse da alcuni “dissidenti” sovietici circa l’esistenza di una tendenza eurasiatista all’interno dell’Armata Rossa. L’autore dell’articolo (del quale pubblicai la traduzione italiana numero di gennaio-aprile 1978 di un periodico che si intitolava “Domani”) era Jean Parvulesco, il quale riassumeva nei punti seguenti le tesi fondamentali di quelli che egli presentava come “i gruppi geopolitici dell’Armata Rossa”, tesi espresse in una serie di documenti semiclandestini giunti in suo possesso.

Alexander Dugin e l’Unione Eurasiatica nel mondo multipolare

l professore ha ripercorso a voce alta le tappe fondamentali del pensiero euroasiatista.  Una corrente concettuale che si sviluppa a partire dagli anni Venti nella Russia Bianca, e che riprende vita negli anni Novanta proprio con il prof. Dugin con la ferma intenzione di reintegrare lo spazio post-sovietico. L’impegno profuso in questo progetto da tre presidenti dello spessore di Nazarbaev (Kazakhstan), Lukasenko (Bielorussia) e Putin (Russia) inizia finalmente a prendere forma e spessore.  La volontà di lanciare una terza (o quarta) via, avversa tanto al liberismo quanto al marxismo, nemica di quell’universalismo dei valori occidentali i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti, ha portato il movimento eurasiatista a impegnarsi nella cooperazione di civiltà differenti. La filosofia eurasiatista insiste sull’esigenza di una pluralità delle culture e delle civilizzazioni che vada  a configurare una strategia fortemente anti-imperialista.

 

Julius Evola e il tradizionalismo russo

L'opera di Evola è stata scoperta in Russia negli anni 60 dal gruppo assai ristretto degli intellettuali dissidenti anticomunisti, detti "i dissidenti di destra". Era una piccola cerchia di persone che avevano rifiutato volutamente la partecipazione alla vita culturale sovietica e avevano scelto l'esistenza clandestina. La contestazione della realtà sovietica è stata presso di essi così totale perché si cercavano i principi fondamentali che avrebbero potuto spiegare le radici di questo giudizio negativo assoluto. E' su queste vie di rifiuto del comunismo che si sono scoperti certi lavori di autori antimoderni e tradizionalisti: soprattutto i libri di Réné Guénon e di Julius Evola. Due personaggi centrali animavano questo gruppo - il filosofo musulmano Geidar Djemal e il poeta non conformista Evgeni Golovin. Grazie ad essi, i "dissidenti di destra" hanno conosciuto i nomi e le idee di questi grandi tradizionalisti del nostro secolo. Negli anni 70 sono state fatte le prime traduzioni dei testi di Evola ("La Tradizione Ermetica") sempre nel quadro della medesima cerchia e sono state distribuite sotto forma di samizdat. La qualità delle prime traduzioni era assai scadente perché esse venivano eseguite da appassionati poco competenti, ai margini del gruppo degli intellettuali tradizionalisti propriamente detti. Nel 1981 è apparsa nel medesimo ambiente la traduzione di "Heidnische Imperialismus", il solo libro disponibile presso la Biblioteca Lenin di Mosca.

Jean Thiriart e Julius Evola: una conciliazione possibile?

Già in Jean Thiriart: l’Europa come rivoluzione abbiamo affrontato la teoria geopolitica di Thiriart riassumibile nella formula “Europa unita da Dublino a Vladivostok”, tuttavia non abbiamo accennato ad un argomento che oggi si impone necessariamente alla nostra attenzione.

La dottrina geopolitica grand-europea o se preferiamo eurasiatica risulta, oltre che incomprensibile, pressoché inadeguata alle esigenze future se ad essa non si associa una rivalutazione, una attualizzazione di quei valori astorici di tipo tradizionale i quali, soli, sono capaci di restituire alle genti d’Eurasia e della Terra, i veri e più profondi principi per una vita secondo giustizia ed armonia. 

Non è di secondaria importanza quindi considerare come possa accordarsi la visione tradizionalista di Julius Evola con la geopolitica ad indirizzo eurasista. 

Il futuro si chiama Eurasia

L'Eurasismo è, innanzi tutto, un modo di concepire la dimensione della "storia". Non più nel "tempo" bensì nello "spazio". E' il rifiuto di vedere quella che siamo usi chiamare "storia" come determinata da una successione di rapporti di causa ed effetto disposti nel tempo. L'ottica è invece quella della "geografia". I popoli, le civiltà nascono e fioriscono in ben precisi ambiti geografici, che ne determinano caratteri e specificità. E che ne definiscono, però, anche i destini politici. Quest'ottica è fondamentale. Se l'applichiamo, possiamo comprendere che le culture, le civiltà sono naturalmente diverse tra loro. E come una particolare pianta cresce e prospera in un determinato terreno e non in un altro, così avviene anche per i modelli culturali e politici. Noi russi non siamo "occidentali". Non siamo neppure europei in senso stretto. Siamo, per natura, "eurasiatici". La nostra cultura profonda è il prodotto dell'incontro/scontro tra Europa ed Asia. E la nostra vocazione è quella di essere il ponte fra i due "continenti". Intesi come "continenti" geografici, ma, al contempo, come due diverse forme dello Spirito e della Tradizione. 

La concezione sacrale degli spazi

Abbiamo definito l’argomento che abbiamo scelto per la nostra trattazione “la concezione sacrale degli spazi”. Come voi ben saprete, la scuola di pensiero del tradizionalismo integrale fonda sé stessa su una considerazione previa: le concezioni polarmente opposte che animano la dialettica dell’approccio dell’uomo alla realtà sono due, simmetricamente contrarie – la Tradizione e la Modernità. Per Tradizione intendiamo genericamente l’approccio “sacrale” al reale, una lettura simbolica del medesimo che, operando attraverso quello che Carl Schmitt definì in “Cattolicesimo Romano e forma politica” principio di rappresentazione, consideri il piano dell’immanente come riflesso speculare del mondo trascendente, così come espresso sistematicamente dalla filosofia platonica. Si sbaglierebbe però definendo il Tradizionalismo come branca filosofica generata dall’idealismo platonico perché, nella sua concezione ortodossa, esso si considera essere la scienza che studia la manifestazione dell’Uno preesistente nell’immanente – una rivelazione eterna – e le vie maestre per poter accedere alla sua esperienza diretta.

Oltre Eurasia e Atlantico: Europa

In quest’ottica la Federazione Russa propone l’integrazione strategico-economica della regione eurasiatica (identificata nella zona centroasiatica dai teorici dell’eurasiatismo e del neoeurasiatismo) accompagnata da un contenimento del fenomeno indipendentista; la Turchia ritorna ad una politica neo-ottomana, favorita dalla presidenza Erdogan, rinnegando fattualmente l’influenza politica che la rivoluzione dei Giovani Turchi ha esercitato su di essa per più di un secolo e tornando in conflitto con gli interessi pan-arabi (in questo senso la strategia di appoggio alla destabilizzazione saudita ed occidentale del governo siriano è evidente); la Cina estende sempre più incessantemente la sua influenza sul Mar Cinese Meridionale, sanando da un lato la ferita aperta con Taiwan attraverso una integrazione morbida nei propri spazi d’influenza e commerciali, entrando in conflitto invece con gli interessi di Vietnam e Filippine che, subodorando la grande strategia cinese, oppongono ad essa un montante orgoglio nazionale; per l’Europa, invece, sembra mancare la visione d’insieme. Non si è in grado, pare, di pianificare una necessaria politica volta al conseguimento dei propri interessi sul globo, il che significa, d’altro canto, poter affermare e salvaguardare la propria visione del mondo, un retaggio culturale millenario che, in relazione continua con quello asiatico, arabo o africano (e frequentemente non distinto nettamente da essi), è da sempre stato faro di civiltà per i Popoli.

Henry Corbin: l'Eurasia come concetto spirituale

“Sottolineare e ribadire le connessioni, le linee di forza che sottendono la trama del concetto spirituale di Eurasia, dall’Irlanda al Giappone”: a questa preoccupazione di P. Masson Oursel, che ispira un programma abbozzato nel 1923 con la Philosophie comparée e proseguito nel 1948 con La Philosophie en Orient, Henry Corbin (1903-1978) attribuisce un “particolare valore”. Trascendendo il livello delle determinazioni geografiche e storiche, il concetto di Eurasia viene a costituire la "metafora dell'unità spirituale e culturale da ricomporre al termine dell'età cristiana ed in vista dell'oltrepassamento degli esiti di questa" Tali sono, quanto meno, le conclusioni di uno studioso che nell'opera corbiniana ha evidenziato le indicazioni idonee a fondare "quella grande operazione di ermeneutica spirituale comparata, ch'è la Cerca d'una filosofia - anzi: d'una sapienza - eurasiatica". In altri termini, la stessa categoria geofisica di "Eurasia" altro non sarebbe che la proiezione di una realtà geosofica connessa all'Unità originaria, poiché "l'Eurasia è, nella percezione interiore, nel paesaggio dell'anima o di Xvarnah ("Luce di Gloria", nel lessico mazdaico), la Cognitio Angelorum, l'operazione autologica dell'Anthropos Téleios; o anche, infine, l'unità fra Lumen Naturae e Lumen Gloriae. Di qui la possibilità d'accostare l'Eurasia interiore alla conoscenza immaginale della Terra come Angelo".

Esploratori dello spirito eurasiatico/Scontro di civiltа o sinergia euro-islamica?

R. - Affermando che dai "medaglioni" contenuti in questo libro emerge chiara l'unitа del Continente eurasiatico, lei ha individuato correttamente lo scopo del libro. Proseguendo un tentativo giа iniziato da tempo e documentato da libri come Imperium e L'unitа dell'Eurasia, ho cercato di mostrare come la varietа delle forme di cultura nate e fiorite nel nostro Continente manifesti una vera e propria continuitа geoculturale, dall'Irlanda al Giappone. Con Esploratori del Continente il tentativo si articola attraverso i profili di personalitа intellettuali che hanno operato in diversi campi: nella filosofia, nell'orientalistica, nella storia delle religioni e nella storia dell'arte.

Nemico sia delle astrazioni mondialistiche sia del "carnevale nazionalista", Friedrich Nietzsche и senza dubbio una figura esemplare di quella razza d'uomini che egli stesso definiva come "buoni Europei". Tuttavia l'orizzonte geoculturale del grande Inattuale non era imprigionato fra l'Atlantico e gli Urali, tant'и vero fin dalla Nascita della tragedia egli afferma la complementaritа dell'Europa e dell'Asia, mentre in Al di lа del bene e del male possiamo leggere che l'Europa non и se non una "penisoletta avanzata" dell'Asia. Se in un libro uscito in Francia parecchi anni fa mi ero soffermato in particolare sull'interesse di Nietzsche per l'Islam ("religione affermativa" da lui contrapposta al cristianesimo), adesso ho completato il giro d'orizzonte effettuato da Nietzsche sul paesaggio spirituale eurasiatico, mostrando come nella sua opera si manifestino influenze provenienti dalla Persia e dall'India.

Giuseppe Tucci

Raniero Gnoli, che di Giuseppe Tucci (1894-1984) fu allievo devoto, commemorando il maestro scrisse di lui che l'idea di "una koinй culturale estendentesi dai paesi affacciati sull'Oceano Atlantico fino a quelli lambiti dal mar della Cina lo accompagnт per tutta la vita, tanto che, poco prima di morire, ancora insisteva coi suoi colleghi italiani e stranieri sulla necessitа ed importanza di una concezione che non vedesse piщ Oriente ed Occidente contrapposti l'un l'altro, ma come due realtа complementari ed inseparabili"1. Lo stesso Gnoli ricorda che Tucci considerava le terre del continente eurasiatico come le sole in cui, "per misterioso privilegio o mirabile accadimento del caso, l'uomo elevт le architetture piщ solenni del pensiero, le fantasie piщ nobili dell'arte, il lento tessuto della scienza, quei tesori di cui oggi l'umanitа tutta partecipa, arricchendoli o corrompendoli

L'Eurasia e l'Ungheria

C. M. - In seguito all'approvazione della nuova Costituzione, forze ideologiche e politiche sostenute dal potere bancario occidentale hanno intentato un vergognoso processo contro l'Ungheria, alimentando nel suo popolo sentimenti euroscettici o addirittura eurofobici. Questa situazione potrebbe indurre gli Ungheresi a rivolgere altrove il proprio sguardo, tant'и vero che il "Washington Post" ha ipotizzato che l'Ungheria possa diventare un avamposto della Russia. In ogni caso, all'Ungheria si presenta oggi la possibilitа di instaurare un rapporto costruttivo con quel nucleo eurasiatico che, nato dall'accordo russo-bielorusso-kazako, presto si estenderа alla confinante Ucraina. Paese reietto in un'Unione Europea indegna di questo nome, l'Ungheria potrebbe svolgere il ruolo di avanguardia europea nella costruzione di un nuovo ordine eurasiatico.

La fortuna di Heidegger in Oriente

Nel 1977 Hans Georg Gadamer notava come Was ist Metaphysik?, la prolusione tenuta da Heidegger a Friburgo in Brisgovia nel 1929, avesse avuto una vasta risonanza fuori dalla Germania e come il pensiero heideggeriano fosse rapidamente penetrato in aree culturali ascrivibili all’Oriente. “È assai rivelativo – scriveva Gadamer – che siano state tanto immediate le traduzioni in giapponese e persino in turco, in lingue cioè che non rientrano nell’area linguistica dell’Europa cristiana. Sembra pertanto che il tentativo heideggeriano di pensare oltre la metafisica abbia riscontrato una precipua disponibilità alla sua ricezione proprio dove la metafisica greco-cristiana non orientava tutto il pensiero come suo sfondo naturale”.

Tre anni più tardi un ex allievo persiano di Heidegger, Ahmed Fardid (1909-1994), diventava l’elemento di spicco di un organismo fondato dall’Imam Khomeyni, il Consiglio Supremo per la Rivoluzione Culturale Islamica, e costituiva il punto di riferimento di un gruppo di intellettuali che si richiamava esplicitamente al pensiero heideggeriano e si contrapponeva al gruppo dei “popperiani”.

Il convegno “Tradizione e Ortodossie”

Si è svolto venerdì scorso, 26 ottobre, a Torino, il convegno “Tradizione e Ortodossie”, organizzato dall’associazione culturale e politica Millennium, nei locali del Centro Culturale Italo-Arabo Dar al-Hikma di Via Fiocchetto 15. La conferenza vera e propria, preceduta e seguita da momenti conviviali di confronto e discussione tra gli intervenuti, ha visto la presenza di relatori di fama internazionale, ed è stata moderata da Alberto Lodi, dell’Università di Pavia. C’è stata una discreta partecipazione di pubblico, specie da parte dei membri della Comunità Religiosa Islamica. Il primo intervento (“Tradizione e postmodernità”) è stato affidato a uno dei più influenti filosofi russi contemporanei, il Prof. Aleksandr Dugin, docente all’Università Nazionale del Kazakistan "Lev Gumilëv" e principale esponente dell’eurasiatismo. Rifacendosi al pensiero tradizionalista, egli ha parlato del ruolo della Tradizione religiosa e spirituale come linea di resistenza nei confronti della modernità. Quest’ultima avrebbe superato ormai la sua fase rigida, materialista e atea – chiamata con il termine alchemico “coagula” –, e si troverebbe ora nella fase liquida, dissolutiva e libertaria – il “solve”, in termini alchemici – ossia il cosiddetto periodo postmoderno. In quest’epoca, si assiste ad un risveglio religioso, la cui apertura però spesso non avviene verso l’alto, verso il divino, bensì verso il basso e le forze infere. Perciò occorre il discernimento degli spiriti, per saper distinguere tra le forme tradizionali di religiosità, invece quelle deteriori e diaboliche.

L’UNITÀ DELL’EURASIA NELLA PROSPETTIVA DI FRIEDRICH NIETZSCHE

Di fronte ad un’Europa che ha santificato il “principio delle nazionalità”, per cui la stessa Germania identifica il Reich – l’Impero – con lo Stato tedesco, Nietzsche si riconferma ancora una volta come il grande Inattuale. Infatti, se da un lato egli respinge come fenomeno didécadence le astrazioni mondialiste, dall’altro vede nel piccolo nazionalismo, “questa névrose nationale, di cui l’Europa è malata”, la manifestazione di una “piccolapolitica” che rischia di “mantenere in eterno la divisione d’Europa in stati minuscoli”. Alla “piccola politica” nazionale Nietzsche oppone una “grande politica”, la politica europea: “Noi siamo, in una parola – e deve essere, questa, la nostra parola d’onore! – buoni Europei, gli eredi dell’Europa, i ricchi, stracolmi, ma anche negli obblighi, smisuratamente ricchi eredi d’un millenario spirito europeo”.

Questo spirito, lo spirito dell’Europa una, si è espresso nell’azione e nell’arte degli uomini più grandi del secolo, da Napoleone e Goethe fino a Wagner: “la vera direzione complessiva, nel misterioso lavoro della loro anima, fu quella di preparare la strada a questa nuova sintesi e di anticipare sperimentalmente l’Europeo dell’avvenire”. Attraverso di loro, ha parlato “la volontà che l’Europa ha di unificarsi“.

Propedeutica alla teoria politica

Ogni teoria politica si fondamenta sulla base di una concezione specifica dell’uomo, del mondo e dei suoi problemi. Per avallare quest’affermazione, bisogna tener presente che per i greci l’uomo è antthropos, che etimologicamente significa “colui che indaga su ciò che ha visto”, “colui che prende in esame”. Laddove per i romani l’uomo è homo che proviene da humus con il significato di “colui che è fermo sulla terra”, “il terracqueo”. Se proseguiamo avanti con quest’approssimazione etimologica possiamo spiegare il perché la filosofia era dei greci e il diritto dei romani, che sono le conquiste più genuine e specifiche da loro raggiunte.

OLTRE IL NAZIONALISMO, PER DIFENDERE IL “SOGGETTO” EUROPA

 D. Professor Mutti, è ormai impossibile interpretare il quadro politico italiano senza collegarlo agli equilibri continentali e globali. Dopo la parentesi del governo guidato dal tecnocrate Mario Monti, cosa si profila all’orizzonte nazionale? Resterà in piedi il sistema bipolare che ha caratterizzato gli ultimi vent’anni?

R. Il bipolarismo dell’ultimo ventennio italiano è tutto sommato formale, poiché costituisce essenzialmente la proiezione locale della coppia elettorale statunitense: l’Asino democratico e l’Elefantino repubblicano, due simboli che non a caso qualcuno avrebbe voluto introdurre anche nell’iconografia partitica della colonia Italy. Si potrebbe parlare di un bipolarismo autentico, solo se in Italia e in Europa prendesse forma, in alternativa al “partito americano” e alle sue correnti interne di sinistra e di destra, una forza politica schierata a difesa della sovranità europea e capace di inserirsi in un panorama internazionale ormai segnato dalla crisi dell’unipolarismo statunitense e dall’emergere di nuovi soggetti continentali.

il neoeurasiatismo in dieci antitesi

Secondo Dugin il neoeurasiatismo si articola in dieci antitesi:

1 Spazio VS tempo
2 Pluralismo inclusivista VS universalismo esclusivista
3 “Le” civiltà VS “la” civiltà
4 Integrazione regionale VS globalizzazione globale
5 Non-modernità (tradizione e postmodernità) VS la modernità
6 Persona VS individuo
7 Multipolarità VS unipolarità e non-polarità (“società aperta”)
8 Non-liberalismo VS liberalismo
9 Anticapitalismo VS capitalismo
10 Relativizzazione dell’Occidente VS Occidente quale paradigma normativo.

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